di Antonio Corona

refugee-welcomeCapita non di rado preferire di astenersi dall’intervenire su taluni temi di particolare attualità.

Un po’ per la complessità, difficilmente comprimibile in poche battute.

Un po’ per la competenza richiesta, merce invero decisamente rara tra gli innumerevoli pronti a offrirsi tuttologi per coriandoli di visibilità.

Oltre che per evitare di dire sciocchezze, capita altresì preferire di astenersi per non intrupparsi nelle vocianti polemiche che puntualmente, offuscandole, avvolgono le materie del contendere in dense nebulose.

E, non ultimo, poiché ritrovarsi eventualmente voce fuori dal coro, condanna spesso alla messa all’indice.

Se, tuttavia, ci si imbatte in un “Così i barbari dell’Isis perderanno”, apparso l’11 settembre scorso su Corsera(pagg. 1 e 6) a firma di Bernard-Henry Lévy…

Incidentalmente: ma non doveva essere la questione israelo-palestinese il problema dei problemi in medio-oriente, dalla cui soluzione sarebbe dipesa la normalizzazione della intera area?

Venendo all’articolo.

Vi si legge che l’Isis sarà sconfitto perché:

  • i suoi sono pessimi soldati, come tali tra l’altro arretrati disordinatamente in una cruciale circostanza;
  • non amano la morte quanto i curdi amano la vita;
  • di fronte hanno un esercito sempre più professionale(composto da peshmerga di ogni età, uomini e donne);
  • i loro capi si nascondono mentre i generali curdi sono tutti lì in prima linea, rispettati e rispettabili;
  • non conoscono altra politica se non quella della terra bruciata;
  • le truppe del Presidente(del governo regionale del Kurdistan iracheno, n.d.r.) Barzani possono riprendere Mosul(in Iraq, n.d.r.) quando vogliono;
  • i curdi, quando è necessario, sono capaci di correre il rischio di morire e di compiere atti di coraggio eccezionali(il significato letterale di peshmerga è “colui che va incontro alla morte”);
  • nei suoi ranghi ci sono traditori;
  • i peshmerga hanno rinforzato le loro posizioni.

Ah, quasi si dimenticava.

L’Isis sarà infine sconfitto perché la coalizione internazionale, che si batte al fianco dei curdi, un giorno(quando, è evidentemente considerato un dettaglio) si deciderà a dare il colpo di grazia(!).

Insomma, l’Occidente(occorrerà stabilire, prima o poi, cosa si intenda come tale) può dormire sonni tranquilli.

Sì, d’accordo, 6milioni di siriani si starebbero mettendo in cammino verso l’Europa, ma non è proprio il caso di stare a sottilizzare.

Anche se lì, però, quel mattacchione di Putin, rompendo gli indugi, ha deciso ora di inviare uomini e mezzi a sostegno di Assad in nome della lotta al terrorismo jihadista, suscitando non pochi maldipancia nelle capitali europee e di oltre Atlantico.

Ma cosa è venuto in mente a quel benedetto Vladimir Vladimirovič, che con il suo intervento militare potrebbe così pregiudicare una iniziativa politica(/diplomatica)?

A onor del vero, non pare proprio che Washington, appena qualche tempo prima, abbia fatto la schizzinosa quando proprio la misericordiosa mediazione russa ha messo la classica pezza a colori sulla figuraccia rimediata da Obama.

La minaccia del Presidente statunitense di tuoni e fulmini su Damasco se solo questa si fosse permessa di impiegare armi chimiche contro i ribelli, era stata bellamente ignorata, con gli Stati Uniti rimasti a contemplarsi l’ombelico paralizzati dalla loro mancata reazione, mentre migliaia di persone venivano gasate.

E dire, come sostengono osservatori di più parti, che l’obiettivo di Obama sarebbe a dir poco ambizioso: eliminare contemporaneamente Assad e Isis, tenendo al contempo fuori Mosca da quello scenario.

Beninteso(!), without boots on the ground.

A ben vedere, ciò appare in rigorosa coerenza con una delle principali ragioni dell’accordo sul nucleare con Teheran – ritenuto disastroso da Israele – addotte dal Presidente, che l’ha fortemente voluto, per convincere il Congresso americano alla ratifica.

Ovvero: “l’alternativa sarebbe la guerra!”.

Sì, ma paventata da quale dei due contraenti?

La risposta, in un senso o nell’altro, fa, eccome, la differenza.

Tornando all’articolo, che parrebbe per certi versi paradigmatico dell’atteggiamento dell’Occidente.

Così sintetizzabile: aspettare, non assumere iniziative che non siano “politiche”.

O, se si preferisca, “soluzioni diplomatiche”.

Quelle che paiono tanto ridursi al tentativo “di sfinire il nemico a chiacchiere nella speranza che, alla fine, si suicidi”, per dirla con Angelo Panebianco(Noi e le guerre-Occorre rimettere i piedi per terra, Corsera, 14 settembre 2015, pagg. 1 e 27).

Forse, sotto sotto, confidando che qualcun altro finisca con il togliere le castagne dal fuoco: come i curdi di cui sopra.

Oppure come in Libia, da dove Bernardino Leon, l’emissario dell’ONU, sta annunciando per la ennesima volta che si sarebbe finalmente a un passo da una intesa tra Tripoli e Tobruk(fusse che fusse la volta ‘bbona…) per un Governo di unità nazionale in chiave anti-Isis.

D’altra parte, si sostiene, per un intervento, specie se militare, nella ex colonia nostrana, occorre il consenso di quelle autorità, altrimenti si violerebbe l’altrui sovranità.

In Libia, tuttavia, regnerebbe tuttora il caos, non vi sarebbe alcuna autorità effettivamente rappresentativa(nemmeno quelle di Tripoli e Trobuk, che controllano modeste porzioni di territorio), né perciò alcuno Stato.

Ergo – specie ove la azione di Leon continuasse a non concretizzarsi – nessuno Stato, nessuna sovranità. O no?

Intanto l’Isis, quella che secondo Bernard-Henry Lévy è ineluttabilmente destinato a essere sconfitto(dai curdi…), sta mettendo e consolidando piede a Sirte e dintorni.

Dove, piaccia o meno, non si intravvede purtroppo lo straccio di un peshmerga.

Nel frattempo, masse di migranti a vario titolo approdano alle coste europee.

La Germania, con un autentica piroetta degna di una leggiadra étoile, si dichiara ora disposta ad accogliere 500.000siriani l’anno.

In cambio, pretende “solo” che Italia e Grecia (e adesso pure Ungheria, la stessa che ha eretto il “muro” tra sé e la Serbia…) realizzino in casa loro gli hotspot per la identificazione delle centinaia di migliaia di arrivi.

Senza minimamente volere pensare male, sta che Berlino si troverebbe a dovere accogliere comunque importanti “numeri” di migranti.

Tanto vale perciò sceglierseli, magari tra quelli più istruiti, “secolarizzati” e filo-occidentali come gran parte dei siriani, mettendosi al contempo al riparo da tutti gli altri disperati meno desiderati una volta che questi, identificati in Italia, Grecia e Ungheria, non possano poi sottrarsi alle maglie strette di un accordo di Dublino non ancora modificato e per quanto mitigato da possibili accordi di redistribuzione.

Angela Merkel viene additata come esempio da seguire per la intuizione di ovviare al bassissimo tasso di natalità(tedesco) con l’ingresso di braccia e forze fresche(assicurate dai migranti siriani): chi, altrimenti, in quel Paese, potrebbe mai provvedere a pagare un giorno le pensioni di domani, fornire risorse con il frutto del proprio lavoro per continuare a rendere sostenibile l’attuale sistema di welfare?

Benché, si permetta di osservare, per quanto consta lo status di rifugiato dovrebbe essere provvisorio: valere, cioè, per il solo tempo in cui sussistano le condizioni per il suo riconoscimento.

Semplificando, coloro che fuggono da uno Stato che li perseguita, dovrebbero rientrarvi non appena quella situazione venga meno.

Lo status di rifugiato non è per sempre.

Come si fa perciò a investirvi sul lungo termine?

I siriani fuggono da Assad e dall’Isis.

Si deve allora per caso immaginare che, seppure inconfessabilmente, si ritenga che in fondo non vi siano realisticamente speranze per un ribaltamento della situazione?

Oppure che la necessità di ovviare all’invecchiamento delle popolazioni europee con l’assorbimento di richiedenti asilo contribuisca alla irresolutezza dell’Occidente?

O che una volta in Europa nessuno, se non al massimo taluno, voglia poi più tornare nel Paese di origine e venga in qualche modo regolarizzato?

Sia come sia, la Siria si starebbe spopolando di autentici anticorpi a dispotismo e fanatismo.

Il rischio, per niente remoto, è che nessun intervento decisivo in quel Paese e dintorni finisca con il consegnare definitivamente quelle terre, e non solo, a regimi sanguinari, ostili e sempre maggiormente prepotenti e arroganti.

È pur vero che un eventuale intervento militare costi, e non poco, in termini finanziari e di consenso.

C’è per caso in giro qualcuno in Europa o in America disposto ad accollarsene gli oneri?

Meglio allora rifugiarsi in rassicuranti ipotesi tipo quella di Bernard-Henry Lévy o di quei tanti analisti inneggianti alle “primavere arabe”, sebbene i fatti abbiano dimostrato quanto poco ci abbiano capito.

È proprio vero che spesso si preferisca credere a quello che si desidera credere.

Ultima notazione a margine(ma mica tanto).

Angela Merkel, cui è cara la relazione responsabilità/solidarietà, dichiara che chi arriva(/sia ospitato) debba rispettare le leggi di chi accoglie.

Ineccepibile, no?

Sennonché, salvo che in sistemi totalitari, un ordinamento costituisce anche elemento identitario della collettività che lo esprime, in quanto di norma ne riflette valori e principî diffusamente condivisi(ci si tornerà in altra occasione).

Se coloro che arrivano sono portatori di altri riferimenti, cosa accade?

Qual è il modello per integrarli?

Multiculturale o per assimilazione?

È soltanto un caso che Angela preferisca i siriani?

Piccola postilla: quanti di noi si riconoscerebbero nel ritratto dei peshmerga tratteggiato dal “nostro” Bernard-Henry Lévy?

Meglio proprio astenersi dall’intervenire su temi di particolare attualità…