di Antonio Corona

stepchild adoptionIl problema centrale della stepchild adoption(adozione del figlio del partner) sarebbe costituito dal rischio di utero in affitto.

Quale che sia la “parte” sul proscenio, pare non si parli d’altro.

Tutti, in questa vicenda, almeno a parole, si dichiarano contrari alla maternità surrogata.

Ciò potrebbe peraltro paradossalmente determinare una discriminazione all’interno di quella stessa galassia gay cui, i promotori della nuova disciplina all’esame del Parlamento, desiderano invece estendere per intero i diritti delle coppie eterosessuali.

Una donna, a differenza di un uomo, può infatti sempre farsi fecondare pure, volendo, senza il consapevole consenso del padre della creatura.

Salvo, in teoria, che con la vietata eterologa assistita, pratica tuttavia di non proprio immediata dimostrazione.

La legge attuale proibisce sia la fecondazione eterologa assistita, sia l’utero in affitto.

Ergo, relativamente alla stepchild adoption, per essere “a norma”, prima di unirsi con una del proprio sesso, una persona deve essersi accoppiata con un’altra di sesso opposto.

Ne discende quindi che, a prescindere che si tratti di uomo o donna, il genitore biologico del bambino in una coppia gay debba essere bisex o, perlomeno, esserlo stato.

O no?

E ancora: “Non permettere l’eterologa assistita e l’utero in affitto significa di fatto discriminare tra chi possa accedervi recandosi all’estero e coloro che non abbiano la stessa possibilità!”.

Per analogia, qualcuno potrebbe allora sollecitare medesima benevolenza nei riguardi di quegli sventurati pedofili che non possano permettersi ogni tanto una sana e rigenerante pausa di turismo sessuale in qualche consenziente Paese esotico.

Comunque la si metta è che, nel dibattito in atto, non si sia andati oltre il generico asserire che un bimbo abbia diritto a un padre e a una madre.

Ad avviso di chi scrive, la domanda fondamentale – la cui risposta, quale che sia, risolva alla radice ogni altra questione – dovrebbe piuttosto essere: per la crescita, lo sviluppo e la salute psichica di un essere umano, è indifferente che la coppia che lo accudisca sia etero od omo?

Un riscontro in senso positivo, porterebbe a concludere che, a conti fatti, tra maschio e femmina non corra alcuna sostanziale diversità.

Contrariamente, viene da osservare, a quanto da ogni dove asserito non appena se ne presenti la occasione.

Differenze antropologiche in alcuni casi perfino fieramente rivendicate, un po’ come ebbe a fare Malcolm X per la razza nera, per la quale, a differenza di Martin Luther King, non ambiva alla integrazione con quella bianca.

D’altro canto, per sua natura, è la stessa omosessualità a confermare implicitamente la esistenza di una diversità.

Se così è, a naso, ma neanche troppo, non deve essere dunque esattamente la stessa cosa se coloro che si occupano della crescita di un bambino siano o meno dello stesso sesso.

Altrimenti, come si è detto, occorrerebbe ammettere che tra maschio e femmina non vi sia alcuna sostanziale differenza.

La stessa teoria gender rifugge siffatta conclusione, quantunque qualificando la distinzione in ragione non della biologica appartenenza di sesso, bensì della soggettiva inclinazione sessuale.

Ma:“Non vi è alcuna evidenza scientifica che avere i ‘genitori’ omo penalizzi il bambino!”.

Sarà pure, benché, in questo caso, l’afferente onere della prova dovrebbe ricadere su coloro che desiderano modificare il corrente stato di cose.

Tornano alla mente le motivazioni con le quali, anche nelle schiere degli assertori della novità normativa in discorso, ci si sia strenuamente battuti contro gli ogm: la mera loro presunta dannosità.

Secondo, cioè, il principio di precauzione che suona all’incirca: “Non posso dimostrare la fondatezza delle mie riserve ma, per affermarle, rivendico il diritto di appellarmi comunque al non si sa mai”.

Bizzarro che si pretenda di farlo valere per patate e granoturco e non pure per un essere umano, il più inerme e vulnerabile: un bimbo, che, in quanto soggetto passivo in questa contesa, andrebbe tutelato con ogni scrupolo.

Ma, come si accennava, sembra che il problema principale sia l’utero in affitto: con il corpo della donna, la sua dignità, tirati per la giacchetta ora dagli uni, ora dagli altri, secondo convenienza.

Potrebbe altresì osservarsi che, entro determinati limiti di tempo, una donna può decidere da sola se continuare o meno una gravidanza.

Ha quindi potere assoluto di vita o di morte sul feto che porta in grembo, può disporne fino a decretarne la rimozione.

Perché negarle allora di mettere a disposizione il suo utero per fare un dono?

Rischio di mercificazione?

Se pure fosse, per caso – potrebbe ulteriormente argomentarsi – la prostituzione sarà mica stata vietata?

Che differenza ci sarebbe – si potrebbe incalzare – tra prestare il proprio corpo per un momento di piacere o per una nascita su commissione?

C’è di che avvertire i brividi lungo la schiena a sentire affrontare in cotal provocatorio modo siffatti argomenti.

Forse, sarebbe però intellettualmente onesto.

Meglio e più tattico invece, gli uni, sbandierare al vento il rischio dell’utero in affitto, ammiccando al campo avverso sensibile al pericolo di mercificazione del corpo della donna.

Gli altri, di rimando, con non dissimili scopi, sostenere che la adozione del figlio del partner sia innanzitutto nel superiore interesse del bimbo, che in tal modo acquisirebbe ulteriori diritti(nei riguardi del compagno/a del genitore biologico). Sorvolando sulla circostanza che la stepchild adoption non sia un obbligo, quanto la soddisfazione del desiderio del/della partner del genitore.

Conclusioni?

Per essere conseguenti fino in fondo, si dovrebbe dire con chiarezza che la facoltà della fecondazione eterologa assistita e dell’ utero in affitto è corollario necessario delle unioni civili, da estendere al contempo a ogni tipo di coppia, pure… coniugata, “anche”… etero.

Oppure, di contro, sostenere apertamente che le unioni omo, civili o non dichiarate formalmente che siano, non possano contemplare alcun tipo di adozione.

Il timore è che quello che si va profilando all’orizzonte sia l’ennesimo, vero e proprio mostro giuridico di ipocrisia.