di Antonio Corona

mani_ue4 novembre.

Pure per i prossimi due anni, la giornata dell’Unità italiana e delle Forze armate costituirà altresì occasione di ricorrenza del centenario della Grande Guerra.

Trento e Trieste divennero italiane.

Non altrettanto tutti gli altri territori promessi all’Italia dalla Triplice Intesa, con il Patto di Londra, per il “cambio di casacca” nel gioco delle alleanze.

Anche da qui, il mito della vittoria mutilata.

Involontariamente, non poco vi contribuì Woodrow Wilson.

Tanto favorevole al diritto di autodeterminazione dei popoli – che non trovò però applicazione nella assegnazione di Fiume – il Presidente americano fu altrettanto avverso a una pace che fosse modellata sulle e dalle ansie espansionistiche di coloro che avevano prevalso.

In tale direzione si mosse sin dal 1916 quando, assicurando all’elettorato la neutralità degli Stati Uniti nel conflitto in corso sul suolo europeo, ottenne il rinnovo del mandato presidenziale e, senza tuttavia riuscirvi, si adoperò attivamente per una cessazione immediata delle ostilità senza vincitori né vinti.

Se non altro nell’immaginario collettivo, la Triplice Alleanza, sebbene voluta inizialmente proprio dall’Italia in funzione anti-francese, poteva nondimeno apparire singolare: Roma alleata di quella Vienna, nemica storica, che si ostinava a occupare territori al di qua delle Alpi…

Non altrettanto poteva dirsi invece nei riguardi della Germania.

Nel corrente 2016, ricorre il centocinquantesimo anniversario della III Guerra d’Indipendenza, la Prussia schierata a fianco del nostro Paese contro l’Austria.

Non che Bismarck non avesse il suo tornaconto: ovvero, affermare intanto la supremazia della Prussia in seno alla Confederazione germanica, espellendone Vienna.

L’Italia riportò rovesci disastrosi: Lissa, Custoza, pagine dolorosissime…

Fu la vittoria prussiana sugli austriaci a Sadowa che, in fine, (di nuovo per il tramite di Parigi…) consegnò il Veneto al novello Regno peninsulare.

Seppure indirettamente, ancora la Prussia, stavolta rivolta contro la Francia, contribuì decisivamente alla annessione di Roma.

Napoleone III, sconfitto a Sedan e fatto prigioniero, non poté intervenire in soccorso del Santo Padre di cui si era proclamato il difensore.

Mentre in Francia si schiudevano le porte alla Terza Repubblica, l’Italia otteneva finalmente la sua Capitale naturale.

E a quasi dieci anni esatti dalla proclamazione del Regno d’Italia, la Prussia, nel gennaio 1871, salutava la nascita del suo Impero tedesco.

Dal 1866 in poi, insomma, i destini dell’Italia e della Germania si sarebbero spesso incrociati e intrecciati, fino a consumarsi tragicamente nella folle e disumana avventura del totalitarismo nazi-fascista.

Il dopo è storia recente.

Rimane questo rapporto tra Roma e Berlino dal quale, fino alla I Guerra Mondiale, si è forse più ricevuto che dato.

Non pare dunque un accidente che, inizialmente, l’Italia avesse dichiarato guerra soltanto all’Austria, nonostante i tentativi di lusinghe di quest’ultima per scongiurarla.

D’altra parte, cosa aveva da reclamare l’Italia dalla Germania?

Solamente l’anno successivo, nel 1916, cento anni fa, sotto pressione dei suoi nuovi Alleati, Roma ruppe gli indugi.

Gli Stati italiano e germanico nascono entrambi nell’‘800.

Un secolo, in Europa, contrassegnato dalla nascita dei moderni Stati nazionali.

Altre e importanti compagini statali esistevano già da tempo, costituitesi solitamente senza però una convinta partecipazione popolare.

Guerre e conquiste varie, che pure avevano preteso importanti tributi di sangue a intere masse di semplici cittadini, erano rimaste un affare sostanzialmente tra monarchie.

Non di rado, annessioni e alleanze si decidevano a tavolino architettando trame dinastiche.

Lingua comune, tradizione culturale, credo religioso delle popolazioni interessate, sono i principali elementi che, singolarmente o congiuntamente, assurgono invece al proscenio della origine degli Stati ottocenteschi.

Fu in ragione della confessione greco-ortodossa che, in quella prima metà del secolo, la Grecia si affrancò dall’islamico Impero Ottomano.

Altrettanto fece il Belgio, cattolico, nei riguardi della luterana Olanda.

Motivazioni, condivisibili o meno, che almeno apparentemente trascendevano questioni eminentemente materiali, quali quelle economiche.

Se furono le guerre di religione, nel ‘600, a ispirare Thomas Hobbes per il suo Leviatano, è dalla tragedia del secondo conflitto mondiale che nascono il desiderio e la speranza di una Europa unita.

L’idea di pace, libertà, si è tuttavia concretamente poi tradotta in istanze di carattere preminentemente economico, CECA, EURATOM, MEC…

Attualmente, l’Unione Europea si regge sostanzialmente su libertà di circolazione di persone e merci.

Schengen ne è la massima esplicazione.

Non sembra perciò un caso che proprio su questioni di siffatta natura, costantemente alla ribalta per una crisi che sembra non volersi rassegnare a scemare definitivamente, l’intera impalcatura stia ondeggiando pericolosamente.

BREXIT è temuta principalmente per le possibili ripercussioni economiche.

Verosimile che gli attuali, imponenti flussi di migranti sarebbero oggi vissuti diversamente se si versasse in una situazione di diffusi benessere e prosperità.

Tendono a prevalere contrapposti egoismi nazionali: eminentemente, appunto, di natura economica.

Così non è per esempio avvenuto con la riunificazione tedesca della fine del ‘900.

Nonostante i pesanti oneri sostenuti, i tedeschi dell’ovest non ebbero a esitare a ricongiungersi ai loro fratelli dell’est.

Fratelli, come quelli che, noi tutti, cantiamo in strofa quando echeggiano nell’aria le note di Michele Novaro.

“Stringiam’ci a coorte, siam pronti alla morte, siam pronti alla morte, l’Italia chiamò!”.

Quanta potenza evocativa…

Magistralmente, con pochi tratti di inchiostro, Goffredo Mameli prima disegna un virtuale ponte di continuità temporale con le vicende, gloriose e millenarie, della Roma un tempo dominatrice del mondo.

Poi, a nome di un popolo intero, proferisce la solenne offerta (finanche) del sacrificio della propria stessa vita sull’altare del più alto valore di Patria.

Declama infine, asciuttamente, con forza e immediatezza: presenti!

Retorica, quanta se ne vuole.

Ma quanta idealità…

Quando non sono stati i soli parlamenti nazionali a pronunciarsi, similare idealità non si è evidentemente riusciti a infondere nei cittadini dei diversi Paesi che hanno regolarmente bocciato ogni progetto di Costituzione europea.

Lo si è detto in altre occasioni.

È mai possibile che, quando suona l’Inno europeo, non lo si possa cantare tutti insieme, “semplicemente” perché manca… il testo?

Se è stato forse agevole individuare un brano musicale ritenuto all’altezza, altrettanto non deve essere risultato metterlo in versi.

In che lingua, poi? E, soprattutto, per dire cosa? Cosa, che unisca intimamente e saldamente i popoli di una moltitudine di Stati?

Ciò di cui si avverte la mancanza, in questa nostra Europa, è la idealità, quella idealità che, forse, unica e sola, può aprire la strada a una unione autenticamente politica.

È su questo che probabilmente occorre lavorare, intensamente, con rinnovate passione e fiducia.

Non sarà solamente conferendo formali, maggiori poteri al Parlamento di Strasburgo.

L’Europa ha necessità di riscoprire, ripartendo dal suo più profondo, i motivi del sogno che l’ha generata.

Difficile, seppure giustificatamente, chiedere e ottenere solidarietà, ora per un motivo, ora per l’altro, tra Paesi che, pur membri di un medesimo organismo, alla fine si sentano reciprocamente estranei.

Finché ci si sentirà innanzitutto Italiani, Spagnoli, Tedeschi, Francesi, Ungheresi e quanti altri, difficilmente si riuscirà a considerarci appartenenti a una medesima famiglia.

Le rivalità vadano confinate e consumate nei campi da gioco: come si potrebbe rinunciare a una avvincente Italia-Germania, al pari di combattutissime Roma-Lazio, Inter-Milan, Juventus-Napoli…

Comprendere facendone tesoro, rielaborandolo alla luce di mutati contesti e condizioni, ciò che consentì nel Vecchio Continente la nascita dei moderni Stati nazionali, può aiutare a imboccare con maggiori decisione e successo la via da percorrere.

A questo serve la Storia, a questo dovrebbero servire le ricorrenze.

A riflettere, a trarre dal passato, senza nostalgie e testa ingessata all’indietro, indicazioni per disegnare il tracciato del domani.

Non a limitarsi a passare liturgicamente in rassegna picchetti d’onore in armi e, anno dopo anno, ad ascoltare messaggi istituzionali in fotocopia, senza ispirazione, esausti, troppo spesso uguali a se stessi, intrisi di algida e sterile ripetitività.

Affinché un giorno, con la voce rotta in gola dalla commozione, ci si trovi finalmente uniti, tutti insieme, Italiani, Spagnoli, Tedeschi, Francesi, Ungheresi e quanti altri, a cantare, all’unisono: Fratelli d’Europa!