di Leopoldo Falco

Tra le storie di mafia che mi è capitato di conoscere a Trapani, quella di Rita Atria è una delle più tragiche.

Comprendi che abisso scavi la mafia in certi contesti, quanto sia radicata, quanto sia difficile e importante la battaglia culturale che si combatte per debellarla, per far comprendere d intere comunità, che la subiscono, che è necessario finalmente prendere una posizione chiara e contraria.

La storia di Rita Atria, suicida a 18anni non compiuti, è sconvolgente perché esprime tutta la crudeltà e la ferocia della presenza mafiosa in taluni contesti familiari.

La famiglia Atria era purtroppo una famiglia mafiosa.

Il padre e il fratello di Rita erano uomini d’“onore” e, come tali, erano stati eliminati da famiglie nemiche: in particolare l’omicidio del fratello aveva sconvolto Rita che gli era legatissima e aveva compreso, e con lei la cognata Piera Aiello che vi aveva assistito, che quel vortice di violenza e di vendetta era foriero solo di morte e non dava alcuna prospettiva a loro e ai loro figli: perché non poteva esserci futuro a Partanna per chi nasceva in quel contesto familiare.

Piera e Rita, colpite tragicamente negli affetti, nel dolore maturarono insieme la consapevolezza che era necessaria una scelta radicale, una rottura completa con quel mondo e soprattutto con la famiglia, irremovibile nella sua posizione, in quanto non conosceva alcun sentimento di pentimento o di pietà: solo pulsioni di vendetta, di odio atavico nei confronti dello Stato e di altre famiglie, nella logica che il sangue chiama altro sangue, in una spirale di violenza bestiale senza fine.

Piera e Rita maturarono insieme la volontà di rinnegare quella cultura e quella unica tragica prospettiva per credere in un futuro diverso, nella giustizia, nella legge, nei principî che lo Stato intendeva tutelare…

Poi Rita incontrò Paolo Borsellino e comprese che vi erano persone che quei principî li incarnavano, che meritavano fiducia, che rendevano credibile quel salto nel buio…

Una giovane donna, già provata dalla vita, ragiona d’istinto e può essere molto coraggiosa: e Rita decise di abbandonare la famiglia e il suo mondo riponendo fiducia in quel magistrato rigoroso e determinato…

Le due cognate maturarono insieme la scelta di divenire collaboratrici di giustizia, anche denunciando e facendo arrestare per attività mafiose colui che da 30 anni era Sindaco a Partanna: dovettero partire, vivere sotto copertura, recidere ogni legame con il passato… maledette dalla famiglia, che le giudicava delle infami.

Una scelta drammatica… un salto nel buio, solo contando sulla fiducia in quel magistrato…

Per cui, quando Rita venne a sapere dell’omicidio di Borsellino, che per lei “era” lo Stato, il mondo le crollò addosso… e le sembrò che senza di lui non vi fosse futuro… che la mafia ancora una volta avesse vinto… che la sua battaglia fosse persa…

E una settimana dopo la strage di via d’Amelio scelse di farla finita, perché evidentemente non aveva diritto a vivere una vita normale…

Riporto l’ultimo messaggio annotato sul suo diario: “Prima di combattere la mafia, devi farti un autoesame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici; la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarci. Borsellino sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta.”.

Sono parole drammaticamente lucide, che evidenziano una consapevolezza all’epoca non comune, ma anche una finale, terribile dichiarazione di resa, che turba perché è evidente che lo Stato era impreparato a gestire i testimoni di giustizia e non poteva essere rappresentato dal solo Borsellino…

La tomba di Rita nel cimitero di Partanna è divenuto un luogo simbolo e ogni anno il 26 luglio vi si celebra l’anniversario di quel tragico epilogo: è situata vicino a quella della famiglia Atria, ma separata, in quanto la madre e la sorella la hanno rinnegata perché infame, intendendo farle pagare anche in morte “quel tradimento”.

La madre anzi distrusse con un martello la lapide sepolcrale perché Rita non meritava alcun perdono e umana pietà, non doveva essere ricordata.

Poi, la famiglia pose una nuova lapide sul suo sepolcro che riportava incisa nel marmo l’abiura per chi aveva tradito i valori familiari… affinché la maledizione fosse eterna e Rita fosse rinnegata per sempre…

E su quella tomba, per tanti, negli anni, è iniziato un percorso.

La città di Partanna è stata inizialmente distante, soprattutto sino a quando è stata in vita la madre.

Successivamente, sotto la spinta di “Libera” e di altre associazioni antimafia, quell’anniversario è divenuto un appuntamento al quale hanno partecipato Sindaci, cittadini e soprattutto giovani provenienti anche da altre regioni.

Perché si è compreso che tutti insieme si doveva esorcizzare quella maledizione fissata sul marmo, si doveva affermare che lo straordinario coraggio di quella ragazza non era stato dimenticato e aveva profondamente scavato nelle coscienze.

Che non è vero che la mafia vinca sempre, non è vero che quella terra sia maledetta, senza speranza.

Non è vero che il sogno di Rita di vivere una vita normale sia stato inutile, perché la sua tragedia è servita ad altri a comprendere e a trovare il coraggio di fare un passo avanti…

Questo e altro ci siamo detti in questi incontri, in uno dei quali ho conosciuto Piera Aiello che vi ha partecipato protetta da uno scudo umano formato dagli uomini della scorta: modalità di sicurezza estreme e impressionanti, fortemente contrastanti con la serenità e, in posteriori momenti, l’allegria di Piera.

Anche osservando i numerosi presenti, si provano sentimenti struggenti e si comprende la tragedia collettiva vissuta da queste comunità… ed è di grande conforto vedere nei volti di quei ragazzi, venuti da lontano a partecipare a quel dolore, una grande, sofferta solidarietà, una forte determinazione a dire tutti insieme “basta!”.

Rita Atria è stata davvero una vittima innocente: cresciuta in quella famiglia e in quell’ambiente, ha vissuto giovanissima l’esperienza del dolore e dell’odio, ma ha avuto la forza di respingerla.

Per cercare non vendetta, ma giustizia.

È vittima come Falcone, Borsellino, dalla Chiesa, Chinnici e tanti altri che, per motivazioni etiche e scelte di vita maturate negli anni, e con il supporto di famiglie che condividevano con eguale senso morale quelle scelte generose, hanno assunto determinate posizioni e rischi.

Ma, con i suoi 17anni, Rita non aveva lo spessore morale di quegli eroi e, sola con la cognata, doveva vivere quella rottura drammatica con la famiglia e con tutto il suo mondo…

Non ce l’ha fatta, perché venuto meno il suo unico punto di riferimento, in quegli ultimi tragici istanti di vita prima di lanciarsi nel vuoto dal suo appartamento romano ha pensato che la mafia vince sempre, che per lei, rimasta sola, non vi fosse alcuna speranza, che avesse perso…

E la condivisione di quella disperazione, la struggente sofferenza che si prova a pensare alla solitudine vissuta da quella ragazzina coraggiosa, ci fanno tornare sulla sua tomba, sulla quale è ancora presente quella lapide ingiuriosa.

Ci siamo detti di essere convinti che il sacrificio di Rita non sia stato inutile, che, anzi, abbia scosso le coscienze ancora più di quelli di altri eroi che, più strutturati nelle loro scelte, hanno combattuto con coraggio la mafia, anche loro provando all’approssimarsi della fine quella solitudine e quel senso di sconfitta.

E riecheggia drammatico, struggente, il grido di disperazione di quella ragazzina che si era fidata di quel magistrato che ai suoi occhi rappresentava lo Stato: quel grido ci trafigge e ci impone di fare un passo avanti, di essere presenti accanto a persone come Rita chiamate a fare, anche oggi, scelte drammatiche.

Ci diciamo che, se siamo in tanti a condividere tutto ciò, prendiamo atto che il sacrificio di Rita non è stato inutile, che al contrario delle prime apparenze, Rita ha vinto… ha perso la mafia, che oggi gode minori consensi anche a Partanna, ma soprattutto hanno perso tutti quelli che la hanno lasciata sola e che, ancora oggi, ancora non hanno preso una posizione netta.

Lo scorso anno ho partecipato alla celebrazione con un ospite, il mio amico Vittorio Zappalorto, che da Udine era venuto a trascorrere un periodo di vacanza in Sicilia: mi ha detto di essere rimasto conquistato dalla Sicilia e segnato da quell’evento, straziante per tutti, e a maggior ragione per una persona sensibile che in vacanza cerca momenti di riposo…

Ma è stato contento di partecipare anche perché per fortunata coincidenza ha incontrato lì una delegazione della sezione di Libera di Udine che ha molto gradito di condividere quella esperienza con il suo Prefetto.

Ritengo che questa comune presa di coscienza, questa condivisione di valori, di dolore e speranza, che ha unito in quel cimitero rappresentanti delle istituzioni e cittadini comuni, costituisca un momento di unità e di verità di grande importanza nella lotta alla mafia.

Perché è inaccettabile che poche migliaia di mafiosi rovinino la vita a milioni di siciliani onesti.

Perché, per talento e valori, i siciliani sanno essere straordinari e non è giusto chiedere a qualcuno di essere un eroe e di affrontare, per generosità e coerenza, il sacrificio estremo… non è giusto che quegli eroi al culmine della tragedia avvertano un senso di solitudine e sconfitta…

Cara Rita, noi non c’eravamo quando avevi bisogno di noi.

Ora, per quanto forse in ritardo, ti vogliamo bene.

E ti diciamo: “hai vinto”.