di Antonio Corona

Un trentunenne alla guida di una delle primissime economie planetarie.

È la proposta di una delle principali forze politiche del Paese in vista delle consultazioni elettorali alle porte.

Decideranno gli elettori.

Una ipotesi, quella pentastellata, che qui piuttosto intriga come testimonianza di un trend in atto avviato, agli albori della corrente legislatura, con il fallimento del tentativo di Pier Luigi Bersani(all’epoca sessantenne) di costituire una maggioranza in Parlamento.

È il 2013.

Febbraio, elezioni politiche.

Il PD, secondo la vulgata imperante, “non” vincitore, manca dei numeri occorrenti per formare il governo.

A marzo, il segretario emiliano prova infine con i 5stelle ricevendone però l’indisponibilità.

Fa il resto quanto avvenuto in aprile in occasione della elezione del nuovo Presidente della Repubblica, salvata in extremis con la conferma di Giorgio Napolitano.

Bersani cede il passo.

Il pallino torna al Quirinale.

Stavolta con successo, l’incarico viene conferito a Enrico Letta(quindici anni in meno di Bersani), anello di ideale congiunzione tra PD e FI dello zio Gianni.

Sono le larghe intese, di lì a poco attraversate e lacerate dalla vicenda della decadenza di Silvio Berlusconi da senatore per effetto della legge Severino e dalla scissione consumatasi in seno al PdL.

Trecento giorni e quell’esecutivo si dissolve come neve al sole.

Si è sfilato il suo maggiore azionista, al cui vertice è intanto assiso Matteo Renzi.

Questi(nove anni meno di Letta), appena trentanovenne, diviene il più giovane capo del governo nella storia della Repubblica.

Spedito in soffitta il primato di Giovanni Giuseppe Goria che, nel 1987, a quarantaquattro anni, dopo avere ricoperto diverse responsabilità ministeriali, è premier.

Ora, dunque, un trentunenne candidato a Palazzo Chigi.

Immarcescibili i vari Berlusconi, Prodi, Monti, nel giro di appena una legislatura potrebbe compiersi la virtuale staffetta tra un sessantenne e un trentunenne.

Uno stravolgimento generazionale, forse impensabile e irrealizzabile se non avessero funto in sequenza da ponte virtuale un quarantacinquenne, prima; un trentanovenne, poi.

Un fenomeno invero non soltanto nostrano(v. la “sorpresa” trentunenne Sebastian Kurz in Austria o il “vecchio” trentanovenne Emmanuel Macron in Francia).

Sta avvenendo tutto così repentinamente che, posto accanto a un Di Maio, uno stesso Renzi sembri un po’… attempato.

Sempre più spesso, nei confronti politici, in particolare televisivi(con immagini visive, cioè), invitati o incaricati a partecipare sono dei giovani, siano essi rappresentanti di qualcuno/qualcosa o semplici commentatori politici.

In una fase storica in cui si assiste non di rado a una demonizzazione di tutto ciò che è passato o lo evochi, i giovani, possibilmente di bella presenza, risultano la plastica, estetica raffigurazione del nuovo, della discontinuità.

E non importa se i relativi interventi, conditi sovente di argomenti triti e ritriti, paiano mandati a memoria e come tali ripetuti.

Nel confronto(televisivo), chi non sia giovane parte con l’handicap, è il “vecchio”, a prescindere dalla qualità dei contenuti esposti.

Beninteso, non si discute minimamente un sedicenne Rivera titolare in prima squadra.

Il punto è capire quanti ce ne siano effettivamente in giro ed evitare di bruciare anzitempo (potenziali) preziosissime risorse del Paese.

L’impressione è che si stia facendo strada la convinzione che, tutto sommato, maturità ed esperienza non abbiano tutta questa importanza.

Viene nondimeno da domandarsi quanti, per una delicata operazione chirurgica impegnativa, si mettano serenamente nelle mani, con le dovute eccezioni, di un dottorino alle prime armi e non preferiscano invece il navigato luminare.

Di recente, si è avuto modo di scambiare due chiacchiere con un rinomatissimo chirurgo.

Il discorso è finito sui presidî sanitari sul territorio che ogni comunità, comprensibilmente, cerca di sottrarre ai tagli.

Bene, come ausilio di valutazione, diceva, le statistiche starebbero a dimostrare come, sotto una certa soglia di interventi l’anno, in una qualsiasi struttura i rischi per i pazienti crescano.

Insomma, pare di capire, più interventi chirurgici, più esiti favorevoli e viceversa.

Ergo, maggiore familiarità con il bisturi, maggiore esperienza, maggiore garanzia di buona riuscita.

Partendo dalle tonsille, non dal trapianto di testa(annunciato per il prossimo anno…).

Quello che appare perciò pacifico quando è in gioco la pelle, non lo sembra altrettanto quando si tratti del timone di una macchina pur complessissima e delicatissima, qual è certamente uno Stato, specie con tanti acciacchi come quello italiano.

Il discorso è di carattere generale, prescinde da considerazioni di merito, che non stanno allo scrivente, su esempi concreti.

Come si è detto e si ripete, un Rivera è sempre un Rivera e va mandato subito in campo.

Sembra lecito chiedersi se intere generazioni, non da oggi, non siano o non siano state (messe) in grado di proporsi.

Da una lettera ad Aldo Cazzullo(Risponde Aldo Cazzullo-La generazione saltata e i laureati disoccupati, Corsera, 13 ottobre 2017, pag. 27): “(…) in questo periodo assisto a una perseverante scoperta dell’acqua calda riguardo ai laureati italiani (…) I laureati bistrattati, pochi e aggiungo anche umiliati (…) riguardano anche la mia generazione, ho 46 anni, generazione completamente dimenticata dopo che Mario Monti ha affermato che è una generazione perduta irrimediabilmente. (…)”.

E Cazzullo: “Appartengo alla sua stessa generazione e purtroppo devo concordare con Mario Monti. Siamo una generazione destinata a essere saltata. Si è passati direttamente dagli ottantenni ai trentenni (…)” (appunto…).

Se così fosse, motivi?

Tra i tanti possibili, probabilmente la accelerazione subita da ogni processo sociale, nonché un livellamento che finisce con il privilegiare ciò che “costa” meno.

Tra un dipendente con qualche capello bianco(e, si presume, esperienza e superiore retribuzione) e un neo-assunto, se possibile si preferisce il secondo, almeno per profili lavorativi di non particolare qualificazione professionale ma non solo.

All’ILVA di Taranto, la cordata proprietaria in pectore è disposta a mantenere un certo livello occupazionale.

A condizione, tuttavia, di un previo licenziamento delle attuali maestranze e, quindi, di una loro (parziale…) (ri)assunzione ex novo, con conseguente perdita secca di bonus e provvidenze maturate nel precedente status lavorativo in ragione delle rispettive anzianità.

Un caso isolato?

Comunque sia.

Quello che accade in un settore della società, può rivelarsi anticipatore di movimenti assai più ampi e profondi.

Come l’usa e getta, si tratti di un talent o di una prestazione.

Che si stia entrando in una stagione ove tutto, comprese le relazioni personali, sia sempre più liquido, carente di ragionevoli certezze e solidi riferimenti?

Nessuna meraviglia allora se, in un panorama del genere, “un” Papa Francesco si stagli come un gigante.

Forse, l’unico autentico.