di Andrea Cantadori

Quando, nel 2013, il premier David Cameron annunciò che avrebbe indetto un referendum sulla Brexit, si intravvedeva che nella élite britannica si stava facendo strada l’idea di trasformare l’Isola in una enorme Singapore, con lo sguardo rivolto verso le opportunità offerte dalla Cina.

Ora il disegno sta prendendo forma e l’accordo fra la Bank of England e la People’s Bank of China mette una parte considerevole dell’enorme liquidità cinese in mani britanniche.

Lo stesso Cameron, che nel frattempo è diventato presidente del fondo sovrano Cina-Regno Unito, ha riconosciuto che, in fin dei conti, la Brexit non ha portato le conseguenze che si temevano.

Se lo dice lui, che si è dovuto dimettere in seguito all’esito del referendum, c’è da credergli.

E l’Italia, che atteggiamento ha nei confronti della Cina?

Un ruolo per il nostro Paese potrebbe essere ritagliato nel colossale progetto inizialmente denominato Via della Seta e ora Bri(Belt and Road Initiative), che vede la Cina impegnata con altri 70 Stati.

Bene hanno quindi fatto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni a recarsi nella capitale cinese, dove sono stati ricevuti con il massimo degli onori.

Purtroppo, non altrettanti onori sono stati riservati alla delegazione cinese giunta a Venezia per l’inaugurazione dell’anno del turismo 2018 Europa-Cina: all’evento, programmato da mesi, l’Italia non era presente a livelli adeguati di rappresentanza politica, con la conseguenza che il vice Primo Ministro cinese, Qi Xuchun, ha risposto alle assenze italiane lasciando il posto vuoto a tavola nel pranzo di gala offerto nella Sala dei Dogi.

E poi c’è la questione dei porti: inizialmente i cinesi avevano individuato nel porto di Taranto uno dei possibili terminal europei.

La vicenda ha dell’incredibile.

A seguito alle lungaggini della politica e all’incertezza delle vicende giudiziarie, la Cina ha abbandonato il progetto e ha acquistato il porto greco del Pireo.

Con questa mossa, era chiaro che la storica Via della Seta tracciata da Marco Polo poteva anche tagliare fuori proprio l’Italia dall’enorme traffico di merci generato da Bri.

Lo smacco è stato in parte attutito grazie alla lungimiranza dell’A.D. delle Ferrovie, Renato Mazzoncini, che ha acquistato le ferrovie greche con una tempestività che sarebbe stata impossibile alla politica.

Questa abile mossa sta spingendo i cinesi a riconsiderare i porti italiani come luoghi di approdo.

Speriamo di non sprecare anche questa occasione.

In taluni casi, anche i Prefetti potrebbero attivarsi per rimettere in moto opere pubbliche che languono o sono bloccate a causa di veti poco lungimiranti.

Sono noti, infatti, i problemi infrastrutturali delle aree portuali e delle vie di comunicazione nelle zone più interne.

È un errore pensare che un’opera pubblica finisca sul tavolo del Prefetto solo quando costituisca fonte di rischio per l’ordine pubblico.

E c’è l’Africa, di cui tanto si parla unicamente sotto il profilo dell’immigrazione. Sfugge che milioni di cinesi sono autorizzati da Pechino a lasciare la Cina per recarsi in quel Continente, dove è in atto un processo di penetrazione ben visibile con la realizzazione di strade, aeroporti e ferrovie.

Quale potrebbe essere la porta d’accesso in Europa delle merci e delle materie prime africane se non l’Italia?

Lecito attendersi dal futuro Governo una attenzione particolare alle tematiche che decideranno il ruolo geopolitico dell’Italia.

Le forze politiche dovrebbero abbandonare il vecchio vizio di agire contro qualcuno o qualcosa e dedicarsi, invece, alla costruzione del futuro.