di Antonio Corona*

“Nei casi previsti dal presente articolo, la prescrizione della sanzione o del diritto alla riscossione delle somme dovute a titolo di sanzione amministrativa, nonché le spese addebitate in caso di soccombenza in giudizio, non determinano responsabilità contabile.”.

Si auspica vivamente che siffatta disposizione – riformulazione dell’art. 102/c.8 del d.lgs n. 507/1999(Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205)o qualsiasi altra con analogo scopo, venga inserita, in sede di conversione in legge del d.l. n. 19/2020(Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19), al corrente art. 4(Sanzioni e controlli) del medesimo provvedimento normativo.

In principio, “Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale.”.

È(/era…) l’art. 3(Attuazione delle misure di contenimento)/c.4, del d.l. n. 6/2020(Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19).

Sennonché….

Appena trentuno giorni, ed ecco irrompere prepotentemente sulla ribalta il cennato art. 4 del d.l. n. 19/2020: “1. Salvo che il fatto costituisca reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento (…) è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma (…) e non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall’articolo 650 del codice penale (…). 3. Le violazioni sono accertate ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689; (…) Le sanzioni per le violazioni delle misure di cui all’articolo 2, comma 1, sono irrogate dal Prefetto. Le sanzioni per le violazioni delle misure di cui all’articolo 3 sono irrogate dalle autorità che le hanno disposte. (…) 8. Le disposizioni del presente articolo che sostituiscono sanzioni panali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto (…)”.

Et voilàle jeux sont faits!

Sconcerto?

Neanche più di tanto.

Non è d’altronde la prima volta che, senza alcuna possibilità di dire la propria, ci si venga messi di fronte al fatto compiuto; le prefetture siano utilizzate, se non di esecutrici testamentarie, a mo’ di discariche a cielo aperto di inesercitate attribuzioni altrui.

In un Paese non nuovo ad affrontare e risolvere problemi con sanatorie a vario titolo, indulti e quant’altro, le periodiche depenalizzazioni appaiono peraltro semplicemente come una delle modalità più ricorrentemente impiegate a tali fini.

Alla stregua delle accise sulla benzina, per intendersi, aumentate in un battibaleno dalla sera alla mattina quando ci sia bisogno di battere cassa.

E pazienza per chi ci vada di mezzo.

Pazienza se tutto, o gran parte, vada puntualmente ad abbattersi sulle spalle sempre più incurvate delle prefetture, imponendo loro il peso di ulteriori, gravosi carichi di lavoro accumulati altrove.

Come, cioè, se fosse indifferente, per le prefetture, trovarsi di punto in bianco:

  • a dovere rinotificare montagne di atti – entro termini perentori, pena, altrimenti, possibile danno all’erario – provenienti da altri lidi;
  • ad attendere poi, nelle ipotesi di opposizione o mancato pagamento – e ancora entro termini perentori(v. supra) – alle conseguenti procedure, rispettivamente, di archiviazione o irrogazione delle sanzioni;
  • impastoiate in sede giudiziaria, a seguito di prevedibili impugnazioni delle ordinanze-ingiunzione.

A provvedere quindi, a regime, alle incombenze relative alle violazioni divenute di competenza a motivo, e successivamente alla stessa accertate, della intervenuta depenalizzazione.

Una cospicua mole di attività, dunque, quella riassunta, che, vale ripetere, va a sommarsi a quella ordinariamente assolta da uffici già tra l’altro, nella pressoché totalità, affetti da grave carenza di personale in conseguenza, non ultimo, del blocco, da una eternità, del turn over.

Progressivamente, il personale della Amministrazione civile dell’Interno si è ridotto di oltre il 20%, fino alle attuali circa ventimila unità complessive: di norma, avanti con gli anni, non poche delle quali, varrà rammentare, ormai prossime al collocamento a riposo per raggiunti limiti d’età.

Questo, lo scenario di fondo.

Nel quale, con annessi e connessi, va a inscriversi la vicenda in narrativa.

Detto degli adempimenti, un problema che, adesso, potrebbe rivelarsi enorme come un macigno, risiede nella circostanza che, in buona entità, le violazioni qui di immediato interesse poggino sulle sabbie mobili, fondandosi esse su di una normativa a dir poco… incerta e volatile.

Sin dall’origine, infatti, in considerevole misura, è risultata di non inequivoca interpretazione, provocando un torrente ininterrotto di circolari e… f.a.q.(!)(frequently asked questions) esplicative.

Nel mentre, le disposizioni – contenute in dd.P.C.M., decreti ministeriali, ordinanze regionali e sindacali, non di rado intersecantisi – si sono succedute(/si succedono) a ritmo serrato, talvolta confermando, talaltra modificando o sopprimendo le precedenti.

Un esempio tra gli altri.

Ordinanza del Ministro della Salute del 20 marzo 2020, art. 1/c.1, lett. d): “nei giorni festivi e prefestivi, nonché in quegli altri che immediatamente precedono o seguono tali giorni, è vietato ogni spostamento verso abitazioni diverse da quella principale, comprese le seconde case utilizzate per vacanza.”.

Neanche il tempo di prenderne nota, che (duegiornidue dopo!) sopravviene il d.P.C.M. 22 marzo 2020, art. 1/c.1, lett. b): “è fatto divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi (…) in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza o per motivi di salute; conseguentemente all’articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 le parole ‘È consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza’ sono soppresse;”.

Con l’occasione, e per stare a queste ore.

Che (piacevolissima) sorpresa, il 25 aprile, davanti ai televisori, avere potuto accompagnare idealmente con lo sguardo l’amatissimo Presidente della Repubblica, rigorosamente “mascherinamunito”, mentre saliva solennemente i gradini dell’Altare della Patria per rendere onore ai nostri Caduti.

Sorpresa vieppiù gradita atteso che, non oltre qualche giorno prima, in una direttiva ai prefetti sulle celebrazioni della Liberazione, a firma di autorevole membro del Governo, veniva tra l’altro comunicato che, attesa l’emergenza in atto, quel suggestivo omaggio non avrebbe avuto luogo.

Tornando al punto.

In tutta coscienza: può, tutto questo, avere comprensibilmente ingenerato, e continuare a ingenerare, non poca confusione tra i cittadini e indotto(/indurre) in errore gli stessi organi accertatori, con riflessi sulla legittimità delle contestazioni?

Potrà rendere, tutto questo, oltremodo disagevole, in sede di decisione sulla opposizione o di irrogazione della sanzione, la corretta individuazione della norma effettivamente vigente, e suo effettivo significato(!!), al momento esatto dell’accertamento?

E quali potranno essere i parametri di valutazione di cui terranno conto in concreto i giudici di pace(o, per talune fattispecie, i tribunali), specie se chiamati a pronunciarsi in una epoca storica – ci si augura, ormai lontana dal contesto e dal clima emergenziali – che possa favorire ascolti più… benevoli e comprensivi alle argomentazioni di fatto e di diritto addotte dai presunti trasgressori?

Appare così tanto temerario, allora, immaginare che ciò possa infine tradursi in un autentico “bagno di sangue”(per le prefetture)?

Nota a margine, di non trascurabile rilievo.

L’impianto sanzionatorio, come depenalizzato, si basa sul ripetuto art. 4/c.1 del d.l. n. 19/2020, che si rammenta: “Salvo che il fatto costituisca reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui all’articolo 1, comma 2, individuate e applicate con i provvedimenti(dd.P.C.M., n.d.r.) adottati ai sensi dell’articolo 2, comma 1 (…)”.

Per ipotesi: ciò non sta a significare che, le misure indicate in dd.P.C.M. o altri provvedimenti previsti, se non ricomprese tra quelle tassativamente elencate all’art. 2/c.1 del suddetto decreto-legge, risultino pertanto prive(!) di sanzioni, e dunque non perseguibili almeno in ragione dell’art. 4 del medesimo d.l. n. 19/2020?

In conclusione.

Tutto quanto sopra rappresentato.

È umanamente, professionalmente, moralmente(con tutto il rispetto, riservando l’Etica ai temi fondamentali dell’Esistenza) accettabile scaricare sul malcapitato dirigente competente di turno:

  • la complessità, la contraddittorietà delle descritte situazioni e circostanze;
  • gli elementi di incertezza e confusione che le contraddistinguono;
  • la responsabilità, a fronte di condizioni talmente precarie, di decidere se archiviare o sanzionare con la spada di Damocle a penzolargli minacciosa sulla testa,

la non remota eventualità di potersi comunque trovare, sebbene nella sostanza diligentemente incolpevole, a doversi giustificare del suo operato, se non addirittura a rimetterci personalmente di tasca propria?

Tra rinotifiche, liquidità della normativa di riferimento, afferenti interpretazioni e quant’altro, si ritiene ve ne sia abbastanza perché la Amministrazione non esiti a farsi carico della questione in prima persona.

Sommessamente, all’inizio di queste brevi considerazioni, una proposta in tal senso AP l’ha formulata.

Una idea, la suddetta, diretta ad assicurare un minimo almeno di serenità a quanti di noi, nell’espletamento dei propri compiti, intanto nella materia in esame, si trovino a fare i conti con i titoli di coda, gli strascichi, le mille e mille regole, eccezioni, interpretazioni, sovrapposizioni, bizzarrie, i bizantinismi, di una normativa – che per altro verso, non andrà mai dimenticato, sta tuttora svolgendo un ruolo cruciale nel contenimento della pandemia – dalle peculiarità assolutamente inedite e inaudite.

Un dedalo di disposizioni destinate infine a cessare nei loro effetti con il venire meno della situazione, di assolute emergenza e imprevedibilità, di cui è figlia, nemmeno lontanamente immaginabile se non forse nelle trame del più audace catastrofismo.

La palla, al Viminale.

*Presidente di AP-Associazione Prefettizi