di Maurizio Guaitoli

isisEsistono le… "radici del Male"?

Nel caso di Daesh-Isi il suo naturale… terreno di coltura è stato l'Iraq che, durante tutti gli anni dell'occupazione anglo- americana, ha rappresentato un'immensa palestra di terrorismo e di militanza politico- religiosa, per tutte le fazioni pro-Al Qaeda, con Bin Laden che sognava e vaticinava, dai suoi inaccessibili nascondigli afghani, il ritorno universale al Califfato islamico.

Lì, si collocano le radici di quanto sta accadendo oggi nelle vaste aree sottoposte alla dittatura islamica di Daesh-Isi, che rappresenta la continuità di quel sogno politico-religioso di dominio del mondo, corroborato da propositi autenticamente… genocidiari, in cui si promette l'Apocalisse, nel caso che gli infedeli di tutto il mondo non accettino la capitolazione.

Questa promessa solenne venne formulata nel giugno 2014, con la conquista di Mossul – due milioni di abitanti, caduta sotto l’urto di un attacco dall’esterno e della insurrezione di una quinta colonna, che si era tenuta nascosta in città – quando al-Baghdadi salì sul pulpito della Grande Moschea della città.

Fu lì, in quell'occasione, nello stupore di tutto il mondo, che venne proclamata la rinascita del Califfato, con una nuova dichiarazione di guerra all’Occidente, a seguito della minaccia di "arrivare a Roma", con ciò intendendo la conquista, con la spada, di quelle regioni e di quei popoli dei continenti europeo e africano che, in un'epoca lontana, erano stati sudditi dell'impero ottomano.

Quindi, la questione fondamentale, oggi, è la seguente: come si affronta la sfida di Daesh-Isi?

Dall'idea che mi sono fatto – spero di essere più preciso, tra qualche tempo, con approfondimenti ad hoc – partirei da quello che io ritengo sia il vero Tallone di Achille del Califfato.

Ovvero: il fatto di essersi dichiarato Stato e, quindi, con l'obbligo solenne(fatto, in primis, a se stesso e alla sua sterminata platea di credenti e potenziali seguaci) di conservare e far rispettare le seguenti tre fondamentali caratteristiche della statualità, che  lo obbligano ad avere:

  • un territorio fisico, con frontiere riconosciute e riconoscibili;
  • un'organizzazione territoriale degli organi amministrativi, di giustizia e militari;
  • un Governo e delle Istituzioni funzionanti.

Ovviamente, le peculiarità seconda e terza, per uno Stato islamico integralista, sono diretta emanazione della Sharija, la legge coranica. Pertanto, venendo meno una sola di queste tre prerogative fondamentali, nemmeno le rimanenti due sono destinate a sopravvivere.

Ne consegue, ad es., che una azione di forza, sul modello dell'invasione dell'Iraq, con lo stesso contingente di soldati e di reparti speciali, potrebbe distruggere la debole entità statuale nascente(costretta a difendersi e attaccare, su un fronte molto ampio), previo un carpet-bombing(bombardamento a tappeto) su tutte le attuali roccaforti dell'Is.

Tuttavia, chi attacca deve dare per scontato che un warning preventivo, prima di avviare le operazioni dall'alto, per consentire alle popolazioni civili di abbandonare i luoghi abitati-bersaglio, sarebbe in ogni modo vanificato dalla ferocia dei fondamentalisti.

Esattamente quanto accaduto, recentemente, a Gaza, dove Hamas ha preso, letteralmente, in ostaggio i civili, costringendoli a rimanere nelle case, i cui sotterranei sono stati utilizzati come magazzini, per ammassare armi e munizioni, in appoggio alla guerriglia anti-israeliana.

Pertanto, un eventuale comando alleato di una spedizione anti-Is sarebbe obbligato a valutare, preventivamente, l'impatto delle sue scelte sull'opinione pubblica internazionale(occidentale e musulmana, in particolare), mettendo nel debito conto, a consuntivo, una contabilità elevata di vittime civili innocenti, decedute sotto i bombardamenti e/o a causa della mancanza di generi di prima necessità e di medicinali.

È disposto l'Occidente a correre il rischio, equiparando Al Bagdadi a Hitler e, quindi, a pagare il prezzo storicamente pesante, simile a quello che sostenne quando gli Alleati anglo-americani presero la decisione di radere al suolo le città tedesche(ricordate Dresda?), per piegare definitivamente la resistenza del… Mostro?

L'inevitabile operazione di terra, poi, dovrebbe garantire la chiusura ermetica di tutte le vie di comunicazione e di rifornimento dei soldati di dio, facendo mancare ai centri abitati e ai presidi militari nemici i beni strettamente necessari di sopravvivenza(acqua, cibo e medicinali).

Per di più, il filtraggio deve essere completo, nel senso che nessun combattente agli ordini del Califfo nero deve poter fuggire dalla regione accerchiata e sotto assedio alleato. Pena, altrimenti, come già accaduto in Afghanistan, Siria, Iraq e Libia, che il seme avvelenato di gente esperta in armi ed esplosivi si dissemini, come furia al vento, nelle regioni viciniori, o rientri in incognito in Europa, come cittadino comunitario, per poi colpire all'interno dei confini di qualche Stato membro.

Ricordate la minaccia incombente del Califfo nero di conquistare… Roma?

In merito, ho già fatto notare come debba intendersi per "Roma" quello che, storicamente, corrispondeva al versante occidentale europeo della dominazione araba, al tempo della massima espansione dell'Impero Ottomano.

Ebbene, già a partire dal 2002, si discuteva sulla penetrazione qaedista in Europa, amplificata dal clima di terrore, mediaticamente diffuso attraverso siti fondamentalisti, che facevano capo a una miriade di sigle di comodo, definite dai Servizi dell'epoca come una sorta di concessionarie del terrore.

In un mio quanto mai profetico intervento, pubblicato in quel periodo, avvisavo che, ormai, non sarebbe più stato possibile, dopo averlo così maldestramente evocato, far rientrare nella lanterna magica il perverso genio del fondamentalismo integralista e delle sue feroci ancelle della conflittualità inter-araba.

L'avere spalancato il famoso Vaso di Pandora, a seguito dell'invasione dell'Iraq(dopo aver messo the Boots on the ground, o gli "scarponi sul suolo" – arabo -, come si dice nel gergo militare Usa), ha preparato e reso irresistibili le attuali disgregazioni a catena di Stati "artificiali", come Libia, Siria, Iraq, etc..

Ciò che sta accadendo, oggi, con il Califfato Nero, è soltanto una semplice, ovvia conseguenza della nostra leggerezza di allora, essendo Noi parte di quell'Occidente, che credeva(in buona, o in cattiva coscienza) di poter esportare la Democrazia in quelle aree disastrate del mondo.

Nella mia previsione dell'epoca, era altresì fuori di dubbio che, spariti gli odiatissimi infedeli dal sacro suolo dell’Islam, il destino di quelle aree, ribollenti odio anti- occidentale, fosse segnato: l’idra a mille teste del terrorismo fondamentalista era destinata a moltiplicarsi, in primo luogo a spese dello stesso mondo arabo.

Facile ipotizzare che, finché fosse durata, l'occupazione americana avrebbe tenuto uniti arabi sunniti, nostalgici del regime di Saddam, e integralisti islamici di ogni tendenza, nel rispetto (di facciata) della lotta contro il nemico comune invasore.

Rientrati a casa i marines, nazionalisti pro-Saddam, sciiti, sunniti, curdi e fanatici di Al Qaeda si sarebbero dati battaglia(come effettivamente è accaduto e sta ancora accadendo!), senza esclusione di colpi, per la conquista del potere e/o dell’autonomia territoriale.

Prevedevo che, da quel punto in poi, la peste fondamentalista avrebbe contagiato i così detti Stati arabi “moderati” e le “petro- monarchie” del Golfo, con un sicuro effetto- boomerang, per l'Occidente.

Oggi, il Nuovo Califfato è lì, a dimostrazione di quanto le nostre strategie, in questo XXI sec., si siano rivelate miopi e, imperdonabilmente, colpevoli!

Inutile la speranza che alcuni, o molti, coltivavano, più di un decennio fa, in base alla quale il terrorismo qaedista, dopo i fuochi d'artificio del Settembre 2001, si sarebbe consumato, in una sorta di aggressione auto- immunitaria, a causa delle microiniziative delle sue cellule sparse per il mondo, prive di un'organizzazione centrale, di un capo universalmente riconosciuto e di un territorio di riferimento(come, ad es., lo era lo Stato talebano afghano e, ancora oggi, lo rimane l'Iran).

Il terrore à la carte, di ieri e di oggi(in cui, cioè, vi sia una prevalenza assoluta delle scelte individuali, in merito agli obiettivi da colpire), è una diretta conseguenza della vastità della rete globale(internet), attraverso la quale i centri operativi remoti generano e coagulano consensi, al fine di creare quell’esercito potenziale di “martiri” suicidi, pronti a colpire ai quattro angoli della Terra.

Ieri, l’Islam radicale, sunnita e sciita, non possedeva un  coordinamento centralizzato delle strategie di attacco(gestite, cioè, da un unico centro di potere e dal suo quartier generale, fisicamente individuabile), indirizzate contro l’Occidente nel suo complesso e contro la modernità di cui quest’ultimo è portatore.

Oggi, invece, tutto ciò non è più vero, dopo  la  sfida  lanciata  da  Al  Baghdadi  al mondo: la rinascita del Califfato, sotto la sua guida e il suo nuovo… Regno, è destinata – e non  così  in  astratto,  come  si  pensa!  –  a riunificare tutti i popoli della Umma islamica.

La presenza di un Califfo, per di più, fa sì che gli eventuali leader non restino puramente dei soggetti isolati, in balìa delle imprevedibili fluttuazioni di umore dei loro simpatizzanti e potenziali affiliati, ma divengano esecutori leali e fedeli della sua volontà.

Quel "Vi conquisteremo attraverso l'immigrazione", da parte degli estremisti islamici, di oggi come di ieri, è una vanteria, una minaccia a vuoto, ovvero corrisponde a una realtà di fatto, prossima ventura?

L'aspetto più problematico, da questo punto di vista, è rappresentato da una, più o meno, sistematica volontà di "dis- integrazione", ovvero di un ritorno alle origini della società tribale e credente dei padri, da parte dei giovani di terza e quarta generazione, di origine magrebina, o turca. Quel loro rivolgersi all'Islam, affascinati e attratti dalle prediche degli imam radicali, soprattutto nelle periferie parigine, ma anche in molti altri Paesi comunitari, è simbolo di riscatto dalla condizione di marginalità in cui vivono.

Ecco, perché, in primo luogo, faremmo bene a tenere d'occhio chi è nato da noi, ma… non sarà mai come noi!