di Pietro Alberto Lucchetti

Ringrazio, anzitutto, Uccio Corona per avermi accordato l’opportunità di ricordare qui il Prefetto Carlo Mosca.

D’altronde, le considerazioni che seguono scaturiscono direttamente dal suo scritto, pubblicato subito dopo la scomparsa del Prefetto, che è stato mio Direttore alla Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno.

Ma Mosca, preso nella sua singolare complessità, anche solo di Gran Commis, è di complicata decifrazione.

Proverò, allora, ricorrendo all’esperienza, a scandagliarne la figura, in parallelo con quella di Claudio Meoli.

In effetti, la mia carriera, ora al 37° anno, ha contato quattro Capisald (i Presidenti, Scalfaro, Ciampi, Napolitano e Mattarella), durante il servizio al Quirinale, e due Maestri, Claudio Meoli e Carlo Mosca, da direttore di sezione fino a viceprefetto ispettore aggiunto, sempre alla Scuola del Ministero dell’Interno.

Meoli e Mosca mi sono apparsi allora, nella consuetudine di lavoro, assai diversi: un gentle giant introverso, autentico, il primo; un Granatiere di Savoia ieratico, misurato, il secondo.

Entrambi, professorali: Meoli, dal canto suo, portatore di dottrina “liquida”, vale a dire magmaticamente enunciabile; Mosca, assertore di certezze maturate e asseverate nel tempo.

Entrambi, ancora, interpreti senza rivali della declinazione binaria a fondamento del Dicastero dell’Interno: Amministrazione civile e Amministrazione della Pubblica Sicurezza.

Leader, i due, in compagini antitetiche, che esercitavano, Meoli, attrazione curiosa, Mosca, fascino arcano.

Portatori d’innamoramento viscerale per la carriera, che percepivo, con immediatezza, dalle argomentazioni all’apparenza disincantate, dell’uno, e dalle affabulazioni, tanto mistiche quanto cartesiane, dell’altro.

Superbamente colti, rendevano percettibile l’incanto per la classicità, rinvenendone ovunque evidenze e carsismi, nonché distinguendone esiti perfino in fenomeni sociali e amministrativi poco più che agli esordi.

Antesignani della emancipazione del personale dal provincialismo, hanno animato e promosso il confronto internazionale, forse anche perché incentivati da una generazionale ritrosia per il linguistico fluente, gestita, talvolta, all’impronta, da Claudio Meoli, mentre sempre, con elaborata compostezza, da Carlo Mosca.

Empatici, nondimeno, con diversa inclinazione.

Meoli, curioso di natura, costruiva forti rapporti intellettuali con chiunque fosse latore di autentica originalità a cifra pubblicistica, armando corrispondenze totalizzanti per destinatari votati a full immersion dal ritmo incalzante.

Mosca, parimenti, sollecitava adesione alla koiné della dedizione atemporale all’ufficio, solleticando, altresì, l’escursione, progressiva e felice, verso dominî incogniti.

Ricordo la SSAI farsi vanto di mostre d’arte, sperimentazioni teatrali, iniziative sportive, musicali, filantropiche, dopolavoristiche, di apprendistato, campus estivi, accordi con sodalizi religiosi e aconfessionali.

Si affacciò, allora, con Carlo Mosca, quell’idea di “Ministero-Mondo” che egli propugnava essere custodita nello scrigno favoloso dell’Amministrazione generale.

Intrinseco alla propedeutica penale, Mosca si appoggiava al principio per cui tutto ciò che non è vietato risulta lecito, escogitando di trovare nel contenitore dell’Amministrazione generale l’oro di Alì Babà, fonte di ogni competenza extra ordinem per il Ministero.

Di contro, Meoli, che al diritto amministrativo attribuiva il crisma di garantire il cittadino dall’eventuale arbitrio autoritativo, nutriva diffidenza per tutto ciò che non fosse numerus clausus, tassativamente normato dal popolo legislatore.

L’Amministrazione generale non poteva quindi che configurarsi come contenitore delle competenze tipizzate, ivi allocate dalla legge.

A Claudio Meoli convinceva assai il profilo, a tutto tondo, di “Ministero-Arte” del diritto positivo.

Oltre, Carlo Mosca auspicava guarentigie pure per lo iure condendo.

L’uno e l’altro hanno esercitato il potere delle regole: con cautela, con convinzione, attingendo a ogni risorsa disponibile.

Talvolta, ne sono stato testimone, senza entusiasmo, ma sempre senza iattanza e senza cinismo.

Non rammento decisioni, di entrambi, dettate da un prevalente interesse personale, connesso con la carriera.

Di certo, ambedue mi hanno esplicitato che la Direzione della Scuola è stata la loro più felice esperienza amministrativa.

Mi conforta credere, quindi, che si rallegrino di essere ricordati, più che quali titolari di prestigiosi incarichi, oltre a quelli rivestiti, come Maestri.

Io li affermo tali, con affetto e molta gratitudine.