di Marco Baldino

Ho letto con estremo interesse il contributo sullo Schiaffo del soldato(e whistleblowing) di Antonio Corona(v. precedente raccolta de il commento, www.ilcommento.it) e, siccome riguarda un argomento a me particolarmente caro, pur dopo una lunghissima assenza ho ritenuto di “commentare… il commento”, secondo il rivoluzionario spirito libertario di questo attraente veicolo culturale.

Sul tema ebbi modo di scrivere già su queste pagine nel lontanissimo febbraio 2016, raccontandone la lentissima evoluzione normativa. Pur essendo trascorso oltre un anno e mezzo debbo amaramente constatare che il Parlamento non ha permesso al whistleblowing di fare sensibili passi in avanti.Sì, rispetto a venti mesi fa il Senato, grazie a una mobilitazione cui hanno preso parte associazioni internazionali da sempre in difesa dei diritti dei cittadini, e grazie soprattutto al continuo pungolo del presidente Cantone, ha approvato un provvedimento in seconda lettura.

Ma lo ha approvato con modifiche, a mio giudizio non vitali, ma ritenute necessarie comunque per “approvare senza approvare”, rispedendo la palla alla Camera che, in fine-legislatura, con tanti provvedimenti molto più sponsorizzati, davvero non so se riuscirà a chiudere il cerchio.

Ma ciò accade perché, forse forse, a parte l’entusiasmo indefesso dei 5Stelle, nessuno vuole chiudere un provvedimento che fa a cazzotti con la nostra cultura, che preferisce nascondere la polvere sotto il tappeto, piuttosto che farla vedere e poi buttarla nel secchio della spazzatura.

La nostra è la cultura del “chi fa la spia non è figlio di Maria”, che troppo spesso punta il dito sul responsabile, magari per  comprenderlo e perdonarlo, piuttosto che sull’oggettiva commissione di una azione irregolare.

In breve, troppi peccatori dimenticati e pochi peccati puniti.

Ecco perché il whistleblowing è un istituto tipico della cultura anglo-protestante.

Ecco perché la traduzione italiana del termine ancora non trova albergo.

Ma forse è meglio così, se anche un illuminato analista come Antonio Corona usa la soggettività penale del termine “denuncia”, piuttosto che l’oggettività etica del più corretto “segnalazione”.

Utilizzando questa seconda definizione verrebbe meno anche il dilemma sulla rilevazione della identità del segnalante, perché l’attenzione dovrebbe essere rivolta alla attività di indagine per scoprire il marciume della attività di maladministration ove si annida e ove procura danni.

Di lì deriverebbe, “in seconda battuta” e in maniera oggettiva, l’individuazione del responsabile e le necessarie conseguenze a suo carico.

Antonio dice che sono “improponibili” i paralleli con testimoni e collaboratori di giustizia, a costante rischio della stessa vita, loro e dei propri cari.

Più che di improponibilità, ossia di assurdità, io parlerei di intensità e gravità differenti di un danno che comunque il segnalante indiscutibilmente patisce, come appresso preciserò.

Non perde la vita, certamente, almeno in Italia, ma sicuramente viene privato della solidarietà dei colleghi, della considerazione, della stima e, quindi, della sua stessa autostima.

Viene demansionato, se non addirittura estromesso dalla vita produttiva dell’azienda.

Diviene vittima di mobbing con tutte le conseguenze di carattere fisico, psichico e psicologico che lo stress da lavoro correlato e il burn out disegneranno nella sua esistenza anche affettiva e familiare, creando così i presupposti per un potenziale disgregatore di rapporti umani se non addirittura un candidato al suicidio.

Ecco perché il whistleblower va al tempo stesso difeso, tutelato e anche premiato per ciò che fa e per come si espone.

Anche con la garanzia dell’anonimato quando occorre.

Se qualcuno pensa che quanto dico rasenti la paranoia vorrei segnalare il libro Il disobbediente di Andrea Franzoso, testo recensito sul Corriere della Sera del 13 ottobre scorso, recensione molto opportunamente riportata anche sulla rassegna stampa del nostro Ministero.

L’autore è un dipendente delle Ferrovie Nord che ha avuto il coraggio di denunciare le spese pazze compiute dal Presidente di quell’azienda.

Beh, che fine abbia fatto questa persona all’interno dell’Azienda non voglio dirvelo.

Vi lascio tuttavia immaginare.

Se fossimo stati negli Stati Uniti, a questa persona sarebbe spettato per legge il 30% di quanto recuperato.

Per premiarlo e precostituirgli un paracadute dalle inevitabili ritorsioni.

Ecco, in breve, perché mi sarebbe piaciuto che fosse stata approvata l’originaria proposta di legge AC 3365, molto simile al “Rapporto Garofoli” prodromico alla legge 190 del 2012, e non solo l’annacquato testo del AC 3365-B.

Ma anche questo pannicello sarebbe meglio del nulla.

Solo per testimoniare che non siamo il Paese delle Tre Scimmiette, dove “cu è surdu orbu e taci….campa cent’anni in paci.”.

_________________________________________

Risponde Antonio Corona

Grazie per il tuo contributo che, mi sembra, contenga numerosi elementi in comune con il mio: sì al whistleblowing, sì assolutamente alle misure anti-ritorsione.

No invece, per i motivi già espressi, all’“anonimato” del denunciante/segnalante.

Un caro saluto,

a.c.