di Marco Baldino

Nella precedente puntata(v. il commento, anno XV, quinta raccolta, www.ilcommento.it) ci eravamo fermati alla presentazione delle candidature.

Procediamo ora in quei momenti in cui la competizione elettorale si fa più “calda” e inizia la vera e propria campagna elettorale, disciplinata, come ognun sa, da normative piene di buone intenzioni per i tempi d’adozione, ma  giurassiche nei tempi attuali.

Erano tempi in cui la parola “rete” veniva associata alla pesca, al calcio, al tennis, alla pallavolo, ma non si sognava neppure che un giorno questa parola avrebbe significato l’estrema facilità di diffusione globale di qualsiasi idea, pensiero o proposta da parte di qualsiasi individuo.

Oggi invece è così. E forse ne dovremmo prendere atto.

La disciplina normativa – al contrario – continua a privilegiare, considerandoli luoghi primari di diffusione, quegli obsoleti, antiestetici e persino pericolosi cartelloni che a ogni tornata inondano le nostre città e rimangono clamorosamente vuoti di qualsiasi contenuto o messaggio.

Si disciplinano in maniera capillare le forme di pubblicità nelle sedi dei partiti, in tempi in cui partiti e loro sedi sono solo un vecchio ricordo, cui sopravvivono al massimo negozi adattati a comitati elettorali di singoli candidati che esigerebbero una disciplina più agile e idonea e non disposizioni castranti in nome della forzata assimilazione a un passato ormai remoto.

La propaganda viene svolta nei gazebo, dove è più facile l’incontro diretto fra eligendo ed elettore, essenziale nel rapporto fiduciario empatico tipico della politica contemporanea.

Ma questi luoghi non sono disciplinati ex se ma anch’essi analogicamente ricondotti a fisiche similitudini del passato con le quali i punti di contatto sono sempre più flebili.

Si disciplinano nel dettaglio le forme di pubblicità sui mezzi mobili, prescrivendo divieti tassativi di sosta, quando il mezzo mobile maggiormente utilizzato per la propaganda elettorale è oramai il mezzo di trasporto pubblico, che prima che alle regole della campagna elettorale obbedisce a quelle più impellenti del traffico, delle fermate per far salire e scendere i passeggeri e della sosta prolungata al capolinea.

E completamente fuori da tutta questa rigorosissima disciplina è internet, con la sua prorompente libertà che abbatte tutte le barriere, spaziali e temporali, che se ne infischia dei 200metri perché ce l’hai sul tuo telefonino e se ne infischia anche delle giornate di silenzio elettorale, perché ti segue 24ore al giorno, anche mentre stai votando.

Allora, forse, occorrerebbe un po’ meno repressione, oggi inutile, e un po’ più di moderna regolamentazione: ma di ciò che si fa realmente oggi, non di come si faceva campagna nei giorni in cui dal video ti salutava Ugo Zatterin.

Passiamo al voto.

Da anni si riscontra un progressivo calo dell’affluenza.

Il diritto-dovere di votare previsto dalla Costituzione con tutti i suoi addentellati etici e democratici ha fatto il suo tempo.

Oggi il voto è essenzialmente motivazione, e si va se si vuole lanciare un segnale e dire qualcosa a favore o contro chi governa.

Oggi, inoltre, i telegiornali non sono programmi a diffusione capillare, specie quelli dell’intermedio giornaliero.

Come dicevo, c’è la rete 24ore al giorno.

Pertanto, che senso ha la rilevazione delle 12 e delle 19 con indicazione del tempo meteorologico?

Se il voto è un messaggio volontario, si dà anche con la grandine, la neve o il solleone.

E anche se si trova fila, come è stato dimostrato nelle scorse politiche.

A nulla serve sapere se alle 12 o alle 19 hanno votato in pochi o in tanti.

Se voglio dare il messaggio vado a prescindere.

Altrimenti rimango a casa. Sempre a prescindere.

Ma poiché il discorso “percentuali” di voto ancora ha un senso, allora parliamo seriamente dei numerosi astenuti coattivi, ossia di coloro che per insuperabili impegni di lavoro o di studio sono assolutamente impediti di votare nel comune di residenza e non lo possono fare in quello in cui fisicamente si trovano.

A tale disguido nella scorsa legislatura aveva cercato di porre rimedio un interessantissimo progetto di legge che, purtroppo, è naufragato prima di completare il suo iter.

Si tratta dell’A.S. n. 2708, già approvato dalla Camera, e che, quindi, avendo avuto un esame approfondito, ed essendo stato proposto da una forza politica che compone l’attuale maggioranza, potrebbe, in un prossimo futuro, essere approvato definitivamente.

Anche perché contiene numerosissime innovazioni che vanno proprio nella direzione di una semplificazione ed efficientazione del procedimento elettorale.

In particolare, per combattere il fenomeno degli astenuti coattivi era stato proposto che, limitatamente ai referendum abrogativi o alle elezioni per il parlamento europeo – ma io credo che con il sistema delle liste bloccate tale eccezione potrebbe tranquillamente essere estesa alle elezioni politiche – con una esplicita dichiarazione del datore di lavoro o comunque del responsabile professionale, e una parallela opzione dell’elettore, lo stesso può votare nel luogo in cui forzatamente si trova comunicandolo in tempo al proprio comune di residenza che provvede alla cancellazione temporanea.

Nulla di trascendentale.

E concludiamo con il post voto. Altro capitolo dolente.

Novara, che di solito fa le cose per bene e al massimo ha chiuso alle 5 di mattina del lunedì, quest’anno ha concluso le operazioni circa alle 12 e solo perché una task force del Comune è andata in tutti i seggi, trovando ragazzi addormentati e presidenti nel panico e in preda a una matematica diventata drammaticamente un’opinione.

 La giustificazione risiede nella sempre minore esperienza e nel sempre maggiore numero di ore ininterrotte di attività.

Allora forse dovremmo fare una riflessione.

Che garanzia possono offrire persone in genere non navigate e che sono in piedi da oltre 24ore, per certificare dati che dovrebbero disegnare la realtà politica di un quinquennio? Non sarebbe piuttosto il caso di potenziare il compenso, per adeguarlo alla delicatezza del compito, e di scegliere non soltanto persone pseudo bisognose, ma persone veramente all’altezza, eliminando anacronistiche incompatibilità professionali e anagrafiche e rivalutando l’esperienza acquisita?

Se poi aggiungessimo anche una vera e propria rivisitazione in senso semplificatorio di tutte le procedure. forse non sarebbe male.

Magari introducendo anche l’ausilio di strumenti meccanici come i “conta schede” che almeno certifichino gli esatti totali.

Forse ho detto troppo.

Però da dieci anni riscontro un progressivo scollamento fra regole e realtà che, quest’anno, a mio giudizio ha raggiunto il punto di non ritorno.

La soluzione?

Affidare ai nostri bravissimi colleghi della Direzione Centrale dei Servizi Elettorali il compito di redigere un nuovo testo legislativo elettorale onnicomprensivo che fotografi le esigenze della realtà e possa anche essere oggetto di aggiornamenti annuali veloci ed efficaci.

Ai politici poi il compito di approvarlo, senza troppo modificare.

Proprio nel rispetto della sublime qualità dei nostri colleghi che, fra l’altro, sono in continuo contatto con noi “periferici” che costantemente li aggiorniamo sulle nostre esigenze.

Questo scritto è anche l’occasione per ringraziarli per le loro continua presenza, inalterabile cortesia, irraggiungibile competenza.