di Maurizio Guaitoli

Matrimonio o… mercimonio populista? Ovvero, i timori e gli auspici per una post-alleanza elettorale tra Pd e Fi sono davvero fondati?

Non è affare di poco conto, a pensarci bene.

Perché nel nuovo sistema elettorale in dolorosa e faticosa gestazione(per ora pasticciato assai, occorre dire: un proporzionale alla tedesca imbrogliato alla latina, che non assomiglia in nulla all’originale inquadrato in una Costituzione senza increspature o pieghe da vecchiaia che dir si voglia), ci sono molti attori che si vorrebbero esclusi, ghigliottinati dalla per nulla generosa soglia del 5%(ma l'8%, a mio avviso, sarebbe stata molto più adatta a questa Italia dei mille litigi). Dai “cespugli”  di sinistra, centro e destra, infatti, potrebbe venire a sorpresa una reazione vincente, anche se più o meno scomposta dati i tempi accelerati con cui si vorrebbe anticipare il voto in autunno. A guastare la festa della sognata Gross-Koalition da parte del binomio che Pannella, bontà sua, ebbe a definire di Renzusconi, ci potrebbero essere le incognite del voto cattolico tradizionale, che un tempo andava ad alimentare le filiere elettorali di destra-centro, come di sinistra-centro.

C’è da dire che le seconde sono oggi molto più robuste delle prime e convergono sulla minigalassia politica che si sta addensando attorno alla figura dell’ex Sindaco di Milano, Pisapia. E sono pezzi molto importanti del defunto Ulivo a riconoscersi in un nuovo centro gravitazionale a sfondo rosa-socialdemocratico, che fanno riferimento alle figure più carismatiche di Prodi, Enrico Letta, Rutelli e altri. Se dovessero chiamare a raccolta i voti sparsi della loro potenziale area elettorale, a Renzi non sarebbe di certo sufficiente nemmeno una soglia capestro dell'8%. E se così fosse, il “dopo”(molti, nell’attuale Pd, sognano un’alleanza con la nuova sinistra dei fuoriusciti!), a urne chiuse, sarebbe un massacro serio per Renzi, alle prese con un Partito riottoso che da sempre, in fondo, preferisce a un “Capo” un organo collegiale direttivo paritetico in cui si prendono le decisioni che contano. Ecco perché oggi la partita vera non è sul sistema elettorale teorico, ma sulla libertà del Capo di candidare i suoi fedelissimi in collegi elettoralmente sicuri. Pannella – sempre lui – sosteneva che solo l’uninominale secca all’inglese(chi prende anche un solo voto in più si porta a casa il seggio parlamentare, senza ballottaggi e trattative sottobanco di sorta), all’interno di collegi piccoli e omogenei territorialmente, avrebbe potuto garantire il tanto auspicato ritorno(a parole!) a un sano rapporto diretto tra eletti ed elettori.

Aspetto, quest’ultimo, che necessita per la sua ricostituzione di tempi molto più lunghi di una semplice tornata elettorale. Decenni di liste bloccate e di Partiti personali (malgrado le apparenze, sono tali “anche” M5S e Lega!) hanno definitivamente consumato la possibilità teorica di un ripristino alla normalità della regola democratica.

La ragione, va detto, è semplicissima: scomparsi i grandi Partiti-Chiesa(Dc, Pci e in parte Psi) con la loro territorializzazione capillare in sezioni e in sottogruppi coesi interni di rappresentanza(coagulatisi attorno al deprecabilissimo fenomeno dei pacchetti di tessere e della cabala combinatoria delle preferenze multiple!), gli attuali Partiti hanno solo una enorme testa(quella del Capo e della sua ristretta cerchia di fiduciari) e un corpo esile e atrofizzato. Ridare linfa a tutto ciò significa resuscitare un Frankenstein. Tanto più che la democrazia diretta alla grillina maniera si è rivelata un disastro totale, a malapena controllato e gestito in emergenza dal suo… “Garante”. Mi chiedo, quindi, quale differenza ci sia tra Grillo, Berlusconi e Renzi, per citare i principali. Salvini e Meloni, infatti, almeno all’apparenza pretendono di avere davvero un “popolo” che si riconosce per il primo nei territori amministrati dalla Lega.

Ma anche i resti assai poco angelici e famelici di “Angelino-senza-quid” sono alla ricerca di un portentoso unguento collante che, partendo da un Meridione clientelare residuale(reso tale dalla drastica riduzione della spesa pubblica e dei suoi interventi “a pioggia”) abbandonato dalla sinistra, ormai più incline a riconoscersi nei ceti medi borghesi e dei garantiti di questo Paese, vada a sparigliare i giochi di Renzusconi e di Grillo.

Ma vuoi vedere che – al contrario di quanto sostiene il Prof. Luca Ricolfi – i populismi di destra(Lega-Fd'I) e quelli di sinistra(M5S soprattutto) sapranno allearsi in Parlamento a danno di tutti gli altri?

In fondo, le due “chiusure”, di cui la prima vuole contrastare la globalizzazione con più protezionismo per imprenditori e operai disoccupati, mentre la seconda intende “mettere le porte” a un perimetro senza barriere per selezionare i flussi migratori selvaggi, potrebbero decidere di non pestarsi i piedi sui programmi concreti per realizzare assieme le cose da fare, in termini antieuropeisti, antiglobalizzazione e antimmigrazione. Certo, come sempre, “Chi vivrà vedrà”.

Vogliamo spendere ora qualche parola su Manchester, iniziando con un forte abbraccio ai genitori delle piccole vittime? Sì?

Allora, parliamo di quella fattispecie un po' orrida definita come il… Supermusulmano.

Ti senti “Super”?

Allora, di sicuro, sei un ottimo candidato per il Califfo Nero di Mosul, Al Baghdadi, preso in trappola(si spera…) assieme ai suoi feroci sicari nelle rovine della seconda città dell?Iraq, devastata dalla guerra civile che il suo Islamic State ha scatenato in Siria dal 2014. Sempre lui, che ha riconosciuto come suo figlio prediletto l’ignobile assassino che il 22 maggio ha colpito bambini e ragazzi giovanissimi in un pacifico anfiteatro di Manchester, alla fine di un concerto per teenager della popstar Ariana Grande.

Ma, come si definisce lo stereotipo del “Supermusulmano”, teorizzato dallo psichiatra franco-tunisino Fethi Benslama?

Sentiamo in proposito lui stesso, in un intervento su France Culture del 13 maggio 2016:

“(…) Il supermusulmano vuole essere ancora più musulmano di ciò che effettivamente è. La relativa incarnazione la si può ritrovare nei social come YouTube. Si diventa super passando per un sentimento di grandissima colpevolizzazione, disagio e defezione in rapporto alla propria religione e identità, rilanciando il tutto nel campo della religiosità, che passa per il mostrare le stigmate, i segni che dimostrano come il buon credente sia un eccellente musulmano. Tutto ciò è il prodotto di più di un secolo di islamismo, che ha rappresentato una difesa dell’Islam attraverso una forma religiosa estrema, rispetto sia a ciò che l’Occidente vanta come autonomia del politico, sia a tutte le invenzioni che hanno fatto seguito al Secolo dei Lumi, per fronteggiare le quali l’islamismo ha sviluppato una sorta di superpotenza religiosa che ha dato vita a questa tendenza del supermusulmano e alla sua reincarnazione(…)”.

In proposito, Raphael Liogier sostiene che, “(…) a partire da questo sentimento di colpa, di voler fare di più, della denuncia della defezione e dell’affievolimento della fede responsabili del declino dell’Islam, nasce l’auto-rimprovero e l’espiazione, il ridimensionamento e la re-idealizzazione, la santa obbligazione a essere ancor di più musulmani: e tutto ciò porta al supermusulmano. Da parte sua, Benslama tende a collocare quanto sopra nella genealogia dell’islamismo e nelle sue conseguenze psicologiche(…)”.

Qualcun altro, osservando questo universo impazzito, sia laico sia religioso, proclama che “tout le monde est fou”. Il che, però, dal mio punto di vista è soltanto un alibi, per coprire la “trahison des clercs” che oscura il principio di responsabilità lasciando fuori la funzione di scelta.

Mi spiego meglio: una civiltà, per dirsi tale, fissa un suo perimetro valoriale, dicendo a tutte le altre: “Questo è il set irrinunciabile e irriducibile dei valori fondanti della mia cultura, delle mie tradizioni e dell'interpretazione(formale o orale) del Diritto Naturale. Se mi sfidi ti combatto perché metti in gioco la mia stessa esistenza”.

Cioè, per una civiltà che coltivi la propria identità non tutto è equivalente o relativo. Perché una vera civiltà separa in base alla sua esperienza millenaria ciò che ritiene sia Il Bene, da quello che considera Il Male. Le civiltà storiche in sé non hanno nulla a che vedere con la psicologia, la psicopatologia, la psicoanalisi, Freud, Lacan, Jung, etc..

La loro chiave di volta, come per tutte le specie animali, è: Esistere, Sopravvivere.

Quindi, nel caso dello jihadismo, come di ogni forma di terrorismo fondato sulla jouissance(principio del pieno godimento nel proprio sacrificio e nel martirio, così come accadde durante le persecuzioni dei cristiani che accettavano la morte per sé, in nome di Dio, senza perseguirla per gli altri, i loro stessi carnefici), del godere nell’annientarsi e nell’annientare il nemico politico, sociale, religioso non c’è relativismo che tenga: perché io, soggetto destruendi, devo, mi obblighi a distruggere te, con ogni mezzo, perché tu hai solennemente giurato di distruggermi di fronte al tuo Dio.

Quindi: tu barbaro premi alle porte per saccheggiarmi, violentare le mie donne, uccidere i miei figli?

Bene, avrai una risposta che moltiplica per mille la tua irragionevole violenza.

Nell’arena del Colosseo globale, oggi non c’è che un pollice verso: chi perde nella lotta muore.

Non lo puoi risparmiare, perché lui non risparmierebbe mai te.

Ecco: siamo ai fondamentali.

All'Homo Sapiens-sapiens delle origini.

Contro chi vuole distruggerti devi usare le armi.

Il resto, sono solo elucubrazioni mentali, come quelle di Benslama.

Solo il più forte sopravvive.

E io non ci vedo proprio, noi figli dell'Illuminismo, pregare Allah dieci volte al giorno!