di Andrea Cantadori

Questa opera voluminosa, non è solamente una indispensabile guida per gli amministratori, gli operatori, i cultori del diritto o della materia.

È anche quella che gli analisti chiamerebbero “un punto di situazione”.

Sì, perché i concetti affrontati sono il frutto di un portato storico e di una società che si evolve velocemente.

Sono concetti relativamente nuovi, sui quali c’è ancora molto da lavorare per calarli sul piano della assoluta concretezza: si pensi a quanto è stato fatto per contrastare il fenomeno della corruzione, ma si pensi – soprattutto – a quanto ancora rimane da fare.

E si pensi anche al concetto di legalità, che spesso associamo ad altri concetti, quali trasparenza, accesso e partecipazione: tutti termini che solo in epoca recente hanno trovato diritto di cittadinanza.

Nello Statuto albertino del 1848, il re era il solo detentore del potere esecutivo, tanto che poteva dichiarare la guerra “dandone notizia alle Camere”.

In un simile contesto storico, ingerirsi negli affari della pubblica amministrazione, che risaliva fino alla persona del sovrano, era una pretesa giuridicamente insostenibile e al limite della blasfemia, considerata l’investitura anche divina del re.

Ovviamente su tutto gravava un plumbeo segreto d’ufficio, dove dominava l’autorità sui cittadini, definiti dallo Statuto come “amatissimi sudditi”.

L’attuale Costituzione ha frantumato la concentrazione di potere che faceva capo al sovrano e l’ha distribuita fra più soggetti, tuttavia quando si trattò di precisare i rapporti fra pubblica amministrazione e cittadini, si limitò a osservare, all’art. 98, che i pubblici impiegati “sono al servizio esclusivo della Nazione”.

Invero, si tratta di un concetto dal sapore ancora risorgimentale e piuttosto vago, dove non si rinviene una precisa legittimazione dei cittadini ad agire.

Conseguentemente, il testo unico sul pubblico impiego del 1957 riaffermava un generale principio di segreto d’ufficio, prevedendo solamente alcune oscure e contradditorie eccezioni.

È negli anni ‘80 che si affaccia sulla scena una ventata innovatrice, resa possibile anche grazie ai lavori della commissione presieduta dal Prof. Nigro, che sfociò nella legge n. 241/1990 sulla trasparenza amministrativa e sull’accesso agli atti.

Prima del 1990, il nostro ordinamento era dunque ancora dominato dal principio della segretezza dell’azione amministrativa.

In tal modo, erano di fatto depotenziati i principî costituzionali formalmente riconosciuti dall’art. 97 della Carta, cioè quelli di legalità, imparzialità e buon andamento.

Oggi, il diritto di accesso agli atti delle pubbliche amministrazioni e delle società che producono beni e servizi è divenuto un corollario dell’azione amministrativa, al quale nessuno autorità può legittimamente sottrarsi.

Esso ha una duplice valenza: da un lato, di garanzia del cittadino che intende tutelare situazioni giuridicamente rilevanti; dall’altro, di realizzazione dei principî costituzionali.

Sono evidenti le implicazioni che tutto ciò comporta anche sul fronte della lotta alla corruzione.

Il principio di “trasparenza”, che racchiude in sé tutto quell’insieme di norme e di comportamenti che regolano il rapporto fra l’agire pubblico e i cittadini, è divenuto parte integrante della nostra cultura giuridica e civile.

Viene tuttavia da chiedersi: parliamo di concetti da considerarsi ormai scontati, acquisiti, quasi banali?

Ovviamente, la risposta non può che essere negativa.

I problemi appaiono in tutta la loro evidenza quando ci si cala sul piano operativo concreto.

Dal punto di vista sistematico, infatti, il diritto di accesso è parte di un paniere di concetti che comprendono anche il segreto d’ufficio e la riservatezza, mentre talune incertezze operative si mantengono vive anche in seguito a recenti sentenze della Cassazione o prese di posizione del Garante della privacy.

Il tutto, poi, senza volere considerare le reticenze che talvolta ancora sopravvivono nella pubblica amministrazione.

Nelle intenzioni, gli ostacoli alla realizzazione della cosiddetta “casa di vetro” della pubblica amministrazione, avrebbero dovuti essere spazzati via con il cosiddetto decreto Brunetta, cioè il decreto legislativo 29 ottobre 2009, n. 150, che ha stabilito che “La trasparenza è intesa come accessibilità totale delle informazioni (quindi non più dei soli documenti amministrativi) allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità”.

Si tratta di una importante affermazione di principio, che però è stata accompagnata da una mancanza, nel senso che non è stato indicato cosa rimane in vigore del sistema precedente.

Questo breve excursus vuole semplicemente evidenziare come sull’argomento siamo ancora ben lontani dal raggiungere un approdo certo, che offra un quadro ben definito dei diritti.

Per personale esperienza di commissario straordinario negli enti locali, posso testimoniare quanto sia ancora lungo il percorso culturale che porti i cittadini a essere considerati tali e non più “amatissimi sudditi”.

Suona così ancora di attualità la domanda posta a Sant'Agostino nelle Confessioni da un dignitario: cosa vogliamo offrire con il nostro servizio?

Oggi, a quella domanda, che pare essere rivolta agli uomini del nostro tempo, ritengo che si possa rispondere rifacendosi ai valori fondamentali della società.

Quell’operosa, vigorosa e onesta società italiana che altro non chiede che istituzioni efficienti e in grado di offrire risposte certe, orientate unicamente al perseguimento dell'interesse pubblico.

In questo senso, il volume curato da Umberto Tasciotti offre indicazioni costruttive e ci accompagna attraverso norme e interventi amministrativi necessari per comprendere i rapidissimi processi di trasformazione caratteristici del nostro tempo.