di Antonio Corona

crocifissoSi mettano da parte terrorismo e scandali vari.

Almeno per qualche attimo.

Si lasci spazio, com’è giusto che sia, alla serenità di un evento che ci accompagna e non smette di meravigliarci ormai da millenni.

Però…

Poiché siamo inarrivabili nel complicarci la vita, complichiamoci anche il Natale.

Per esempio, “espungendo” il presepe dalle scuole.

Cosicché, quello che è simbolo di pace, tenerezza, fratellanza, tolleranza, incontro, da alcuni viene trascinato nella arena delle discussioni neanche fosse un segno divisivo e di contrapposizione, brandito come tale dalle fazioni in tenzone.

Occorre avere massimo rispetto verso chi non creda o creda diversamente.

Certo, ci mancherebbe.

Ma, si permetta, perché volere relegare nel solo privato una delle nostre tradizioni più antiche e genuine, uno dei pilastri sui quali è stato edificato “questo” mondo?

Si dirà che, a ben vedere, si tratti di casi sporadici e isolati, semmai amplificati e ingigantiti dai clamori dei mass media.

Comunque sia, in quel giorno scuole e luoghi di lavoro rimangono chiusi esattamente per quello che accadde oltre duemila anni fa.

E la domenica?

E il 15 agosto, l’8 dicembre, il 1° novembre, i Santi patroni?

Come altrimenti spiegare, a chi non creda o creda diversamente, che quei giorni, e come mai, siano comunque di festa e così celebrati?

Insomma, “no Cristo, no party”.

Si è provato a fare schiodare il crocifisso dalle pareti degli uffici pubblici, insoddisfatti dagli esiti legali sul suolo patrio non si è esitato a ricorrere innanzi all’Europa.

E l’Europa, persino questa Europa che tende a rifuggire dalle proprie radici giudaico-cristiane, che è stata a un passo dall’espellere dal suo seno la Grecia, culla della sua civiltà, ha sentenziato che il crocifisso possa rimanere dov’è.

E allora?

Non sarà mica un po’ di timore a indurre a non cantare le arie di Natale e a non preparare il presepe…

Avrà mica influito, stavolta, magari pure comprensibilmente, quanto tragicamente avvenuto a Parigi lo scorso 13 novembre…

È peraltro ricorrente che ci si sporga a tendere la mano all’Islam c.d. “moderato” all’indomani di un atto terroristico.

Dopodiché, passato lo spavento, tutto torna a sprofondare nell’oblio, per essere rispolverato in fretta e furia all’attentato successivo.

A proposito, che anno è?

“2015…”

Ma 2015 rispetto a cosa?

“Dalla nascita di Cristo.”

Cristo chi?

E già, perché c’è chi proponga che a.C. e d.C., per non disturbare la sensibilità di qualcuno, possano assumere il significato, rispettivamente, di “avanti e dopo… Convenzione”.

Logica che pare tanto parente a quella di genitore1 e genitore2, neanche fossero “volanti” di arboriana memoria.

“Volante1 a volante2…”.

Almeno, allora, ci si rideva sopra.

Oggi, sembra si vogliano progressivamente porre madri e mamme, padri, papà e babbi, se non fuorilegge, tra le parole in disuso.

Ma come si fa a eliminare… “mamma”?

La bisillaba più semplice che la natura mette in bocca al neonato in cerca di calore, protezione e, diciamolo pure, cibo.

Sì, perché se fosse riuscito maggiormente facile pronunciare come primo vocabolo la parola… “autotreno”, oggi, ahinoi!, la mamma la chiameremmo probabilmente proprio… “autotreno”.

Fortunatamente è andata diversamente e così continua ad andare da sempre.

Viva la mamma, viva il papà.

Con tutto l’ovvio e dovuto rispetto per quanti non lo possano diventare, quale che ne sia la ragione.

2015 d.C..

Pensare che quel Cristo si immolò sulla croce per la salvezza di tutti noi, credenti o meno.

Un agnello sacrificale che, pure, aveva dimostrato di sapersela cavare egregiamente con i miracoli.

Avrebbe potuto sottrarsi al Suo destino.

Non gli sarebbero state necessarie legioni di Angeli, capelli sciolti al vento e lance spianate.

Sarebbe stato sufficiente dare a Pilato le risposte che questi impazientemente aspettava per chiuderla lì, magari con una sonora razione di frustate, dato che gli era andata male cercando di farlo liberare al posto di Barabba.

Non lo fece.

Cristo resuscitò, è vero, ma il calvario non se lo risparmiò per niente.

C’è chi, nella storia, ha ucciso in Suo nome, sebbene Lui non lo abbia mai chiesto, come pure quando, fatta rinfoderare la spada che Pietro aveva sguainato a difenderlo dal bacio traditore di Giuda, scelse di consegnarsi, inerme, a quelli che sarebbero diventati i suoi carnefici.

Chissà quante volte deve averci osservato, rattristato e sconfortato, mentre ci scannavamo e continuiamo a scannarci tra di noi…

Credere in Lui può esporre a morte sicura.

E sì, perché ci sono personaggi dal profilo ideologico giurassico che pretendono di imporre il loro credo a chiunque, a cominciare dagli infedeli.

E allora, non si sa mai, visti i matti che girano, via Cristo, via dai bambini che Gesù ha amato più di se stesso.

Non è escluso che un giorno ci si possa abituare a chiamarci genitore1 e genitore2, che la “C” di a.C. e d.C. significhi Convenzione, che il 6 gennaio non si festeggi più la Epifania.

Ma, fino ad allora, ci si lasci vivere pienamente questo momento che capita una volta l’anno, il 25 dicembre, come simbolo di pace, perdono e misericordia, di amore.

Il giorno della nascita di Gesù il Cristo.

Non si pretende che lo si riconosca necessariamente Figlio di Dio.

Se il 25 dicembre si festeggia, tuttavia, è perché è nato Lui.

E allora, un sereno, Santo Natale.

Di letizia, di serenità.

Tra figli, questo noi tutti quanti sì, figli di un Padre.

Di Dio, di Allah, di Budda…

In fondo, è poi davvero così importante?

Auguri.