di Antonio Corona*

““Genova, 8 settembre 1847

 Italiani! Fratelli!

 L’Italia s’è desta.

In testa, l’elmo di Scipione l’Africano, a rievocare la gloria dell’eroe romano che, a Zama, sconfisse il cartaginese Annibale.

La Vittoria viene ora a offrirsi nuovamente all’Italia, affinché l’Italia rinnovi i fasti di Roma antica di cui, per volere divino, la Vittoria fu schiava.

 Da secoli siamo calpestati, derisi, perché non siamo un popolo unito, coeso.

Guardiamoci attorno!

La nostra Patria è divisa, smembrata: sette Stati, sette confini, sette vessilli.

È giunta l’ora di tornare a raccoglierci attorno a un’unica bandiera, a un’unica speranza, sospinti da un medesimo afflato.

Sono l’unione, il genuino amore fraterno, a indicare ai popoli il destino loro riservato dal Signore.

Prestiamoci dunque irrevocabile, reciproca, solenne promessa di affrancare, insieme, il suolo patrio.

Uniti, per Dio!, chi sconfiggerci mai potrà?

Ovunque, dalle Alpi alla Sicilia, riecheggia l’antico giuramento che a Legnano vide la Lega Lombarda sbarrare il passo al Barbarossa.

In questa novella impresa, costituisca per ognuno di noi sostegno e conforto la forza d’animo, il temperamento di Francesco Ferrucci.

Correva l’anno 1530.

Benché ormai già ferito e preso prigioniero alle porte di Firenze mentre combatteva contro le milizie di Carlo V, venne infilzato, inerme, da Maramaldo, italiano al soldo straniero.

“Vile, tu uccidi un uomo morto!”, lo apostrofò Ferrucci in un ultimo anelito di vita, consegnando così Maramaldo alla memoria dell’eternità con impresso, indelebile, il marchio dell’infamia.

Alligna, nei giovani Italiani, l’ardimento del fanciullo Giambattista Perasso, il Balilla.

Nel 1746, con una pietra scagliata contro l’occupatore austriaco, accese la sollevazione popolare che liberò Genova.

 Fratelli, udite!

Ogni campana d’Italia batte i rintocchi che, secoli fa, chiamarono i Siciliani alla rivolta dei Vespri.

Gli eserciti mercenari sotto le insegne austriache si flettono come giunchi al vento.

La nera bicipite aquila d’Asburgo, una volta fiera e tracotante, ha perduto le penne.

Insieme all’alleato cosacco, è vero, si è abbeverata con il sangue italiano e polacco.

Ma quel sangue le è costato caro, si è tramutato in famelica brace che le sta dilaniando il cuore.

 È dunque tempo di agire, di serrarci a coorte, pronti a sacrificare la nostra stessa vita!

A chiedercelo, è la nostra amatissima Patria.

Avanti, senza timore, a dimostrarci degni del coraggio e dell’onore dei nostri Avi!

Viva l’Italia!

 Un fraterno saluto.

Vostro

Goffredo Mameli””


Il Canto degli Italiani: in prosa.

Una scelta che non vuole certo suonare pretenziosa e irriverente nei riguardi di un testo, sacro, che non smette di far battere tumultuosamente i cuori, che ha dato voce a sogni e speranze cullati, coltivati, frustrati, infine realizzati, di generazioni e generazioni.

Scelta, quella della prosa, da intendere piuttosto a mo’ di espediente di immediata lettura di un fraseggiare, consueto oltre centosettant’anni fa, non altrettanto oggi.

Epoca, l’odierna, peraltro poco incline a sollevare lo sguardo dagli affanni del quotidiano, epoca dal linguaggio contrappuntato dai tweet, dai “per” sostituiti dalle “x”, dal “t.v.b.” in luogo del “ti voglio bene”.

Un’epoca frenetica, incessantemente sollecitata dai dettami inesorabili della globalizzazione: quasi per contrappasso, essa stessa alla sbarra dei maggiori indiziati della diffusione nel mondo di un microscopico esserino, potenzialmente in grado di stenderla al tappeto.

Probabilmente a motivo del marasma loro intorno, non pochi dei nostri ragazzi sembrano difettare in pazienza, capacità di concentrazione, autodisciplina.

Senza di esse, peraltro, e salvo casi sporadici dove sono caso e fortuna a farla da king maker, ogni traguardo significativo è di norma precluso.

Persino Coppi, senza allenamento e applicazione, non sarebbe stato Coppi.

Lo smartphone è un grande strumento, una straordinaria opportunità.

Se lo si utilizzi però prevalentemente per chattare, giocare, perdersi dietro al web o social influencer di turno, a notizie di dubbie provenienza e utilità, ecco il fruitore ridotto a soggetto passivo, progressivamente condotto alla incapacità di discernimento, potenziale preda di chi ne sappia o voglia approfittare.

Ragazzi indotti a rispondere meccanicamente a continue sollecitazioni, con “nemici”(mostri, alieni ecc., non importa) da abbattere non appena appaiano minacciosi sullo schermo.

E così, anziché essere stimolati alla ragione, alla logica, tanti, troppi di loro paiono venire iniziati alla dipendenza, alla impulsività, financo alla compulsività.

Il loro primo pensiero, non appena schiusi gli occhi, è allo smartphone, con il quale si erano addormentati con occhi dardeggianti, neanche fossero quelli di un drago, per l’uso forsennato.

Eppure dovrebbe essere a tutti evidente che, per cercare di cavarsela meglio che sia possibile, il vero strumento, senza discriminazione alcuna tra donne e uomini, alti e bassi, magri e obesi, che ciascuno di noi ha a disposizione sin dalla nascita, è il cervello.

Cervello, perciò, e determinazione, e propensione alla fatica(/sacrificio/attenzione).

Certo, se poi si riesca a condire il tutto con un pizzico(q.b.) di talento…

E memoria.

Tanta memoria, poiché ciò che non si trattenga, si sedimenti, si elabori, si perde.

Come andare a pesca con una rete fallata.

La memoria è sì un dono, che può essere comunque esercitata e coltivata.

Non tutti possono correre i 100piani in nove secondi e cinquantotto come Usain Bolt.

Ma tutti, allenandosi, sicuramente migliorarsi, di molto.

Memoria, dunque.

Memoria singola, memoria personale.

Memoria condivisa.

Senza memoria condivisa, una qualsiasi comunità è simile a una persona affetta da Alzheimer.

E chi non ricorda, non sa nemmeno più orientarsi, dove andare.

Quanti anziani si vedono in giro con un foglietto in tasca recante generalità e indicazione di un familiare da contattare nella eventualità?

Una comunità senza memoria è destinata a finire così, a smarrire la via, a ripercorrere incoscientemente sentieri già battuti, magari tragicamente, che si credevano ormai definitivamente alle spalle.

A non imparare dalla esperienza.

Senza conoscere, rammentare, dare la giusta considerazione a quanto costò ai nostri nonni assicurarci un presente e un futuro di democrazia, questa democrazia non si potrà mai apprezzarla e custodirla come merita.

Analogamente per l’enorme tributo di sacrifici e sangue offerto da coloro che, un secolo prima, lasciarono in eredità un Paese di nuovo finalmente unito e sovrano.

Di qui, l’importanza (pure) del 17 marzo.

Di qui, il centosessantesimo compleanno della nostra bella Italia.

Non vale la pena festeggiarlo, questo genetliaco? Almeno ricordarlo?

Quando un nostro caro compie gli anni, non è nostra premura fargli gli auguri, come a dirgli “grazie di esistere”?

Sono, quelli descritti, alcune delle ragioni che, in collaborazione con le Istituzioni locali, hanno indotto questa prefettura, “sfidando” il covid, alla trasposizione in video di una rappresentazione andata in scena per la prima volta nel 2011, per il 150° dell’Unità.

Titolo: Oggi, 17 marzo 1861. L’Italia s’è desta! 160 anni fa, l’Unità-(intervista alla Storia).

Una iniziativa, tuttora in fase di ultimazione, rivolta innanzitutto agli studenti, ma anche semplicemente a chi ne possa avere interesse.

Una iniziativa, torna doveroso, resa possibile dal concreto, generoso sostegno de ilcommento.it.

Incrociando le dita sulla sua riuscita, una iniziativa che intende proporsi come testimonianza di genuina passione civile; contributo, per quanto minuscolo, al consolidamento della coesione sociale, della memoria collettiva di una comunità, la nostra comunità, nella quale ci si riconosca, ci riconosciamo: Sorelle e Fratelli.

D’Italia.

Dunque: d’Europa.

*Prefetto della provincia di Forlì-Cesena

p.s.

La rappresentazione sarà resa disponibile via internet il 17 marzo p.v..

Canali di accesso:

  • sito della prefettura di Forlì-Cesena;
  • ilcommento.it(pure nella sezione “video”).

 Per eventuali necessità, Capo di gabinetto Prefettura FC, dr. Valentina Sbordone.