di Michela Signorini

A marzo, ho incontrato la signora Oxana, in una farmacia vicino alla Basilica di S. Sofia, a Roma.

Teneva in mano un foglietto sgualcito e riempiva uno scatolone di cartone con  medicine di tutti i tipi, bende , siringhe , disinfettanti, per un totale di 500euro: quasi un mese del suo stipendio, mi dirà poi.

Visto che anche io ero lì per acquistare  medicinali da spedire con Tir diretto a Kiev , e che lei era a piedi, le ho dato un passaggio in macchina.

Oxana ha un figlio di 21anni , arruolato nel Donbass, e, lontano , ai confini con la Moldavia,  suo marito, sessant’anni, si è arruolato come volontario per difendere la sua terra.

Con consapevolezza e paura, certo, ma senza esitazione.

Lei è rimasta sola a Roma, come tante connazionali, a lavorare, con il cuore spezzato.

Abbiamo scoperto che in Ukraina il significato di Patria ha un senso.

E mi chiedo, inconsapevolmente: come si comporterebbero  i miei amici o  le persone che conosco, in una situazione simile?

Non posso saperlo, naturalmente.

Stiamo tutti partecipando a questa guerra con il cuore e con indignazione, timore per il nostro futuro, la nostra l’economia, il gas,  partecipazione e solidarietà vissuta  filtrata dai  social, tv, stampa, attraverso uno schermo virtuale.

Non siamo noi che stiamo sotto i bombardamenti, o dormiamo in metro, o ci nascondiamo con i nostri figli in bunker senza luce né riscaldamento.

E si parla, si discute di strategia militare, sono stati scomodati Generali, Comandanti, rigorosamente con giacche piene di gradi e distintivi,  seri ma inespressivi, freddi, che parlano di difesa, cessate il fuoco, bombe a grappolo, e chi più ne ha…, esperti di strategie militari con tanto di cartine geografiche e carri armati.

Venti di guerra.

Certo, l’informazione puntuale e gli inviati di guerra ci fanno vivere questa realtà, tanto tragica quanto inaspettata, in diretta, “minuto per minuto”.

Non ricordo un coinvolgimento così forte neanche ai tempi dell’11 settembre.

Forse, perché l’America è più lontana o perché, in questo caso, lo stillicidio degli attacchi durerà a lungo, in un crescendo drammatico di cui non si conosce l’esito finale.

Allora, una  domanda che faccio a me stessa: perché ti ci metti anche tu?

Nell’immediato, non previsto, condividere il dolore e la tenerezza, lo strazio delle tante Oxana che soffrono con dignità e lavorano, sole, per aiutare i loro uomini che sono rimasti a casa e che ora una casa non ce l’hanno più.

Carica come un mulo con il suo scatolone pieno di medicine sulle ginocchia, perché la mia macchina era già piena, le ho dato un passaggio e siamo andate insieme a consegnare le scorte di medicine alla citata Basilica di S. Sofia.

Avrei voluto conoscere  di più della sua storia, ma il tragitto era breve e il rispetto per  questa signora con gli occhi gonfi di lacrime silenziose mi hanno impedito di andare oltre.

Le ho solo chiesto se aveva contatti con i suoi uomini.

Mi ha risposto, a bassa voce, che tutte le mattine, verso le cinque, il figlio le manda un messaggio via sms.

E cosa le dice?

“Niente, mi dice solo: mamma, ti amo”.

Fine di una storia vera.

E poi, come dimenticare…

Sono trascorsi diciassetteannidiciassette.

Una vita fa.

Era il mese di ottobre 2005 quando una delegazione dell’Associazione Europea dei Rappresentanti dello Stato sul territorio(AERTE), si imbarcava  su un volo diretto a Kiev e , dopo una breve sosta di poche ore, giusto il tempo di  avere un idea della città, ripartiva, di notte, per la destinazione finale, Luhansk.

Due ore di viaggio, circa 800 kilometri, tanta la distanza da Kiev, su un aereo privato militare, una sorta di Air Force One versione locale, arredato con salotto interno per meeting di lavoro in alta quota, vodka compresa nel prezzo…

La delegazione era composta da venticinque funzionari, due per l’Italia, in rappresentanza di sedici paesi UE, per partecipare al comitato di collegamento annuale, su invito del governatore di Lugansk , M. Alexey Danilov.

Finalità dell’incontro, il punto della situazione, con relativo bilancio degli incontri precedenti, e la definizione del programma delle successive XIII giornate europee, che si sarebbero poi svolte a Parigi nel luglio del 2006, con le relative tematiche individuate dalle rispettive delegazioni.

Da parte italiana, proponemmo la semplificazione dei rapporti e delle procedure nell’ambito della Pubblica Amministrazione, estendibile anche al panorama internazionale.

L’obiettivo, avvicinare le pubbliche amministrazioni ai cittadini, non più semplici “fruitori” di servizi, ma attori responsabili e consapevoli della vita sociale.

Una vera e propria sfida a lungo termine, un processo inevitabile, inarrestabile, la ricerca di un linguaggio comune.

Nel 1994, il Ministro Cassese aveva dato inizio alla “rivoluzione della burocrazia”.

Chi conosceva lo smart working?

Ci saremmo arrivati comunque, prima o poi, anche senza la pandemia, era questo il destino della digitalizzazione, globalizzazione, informatizzazione… togliendo spazio alla socialità, vicinanza fisica, comunicazione “in presenza”, termine triste  ma realistico.

Che fa la differenza.

Ma, direbbe il grande Eduardo, “chest’è…”.

Tornando a Luhansk, capitale della provincia di Donbass, Alexey Danilov ci guidò in alcune visite per farci conoscere le località  più interessanti della zona.

Mancavano quasi dieci anni al conflitto in Crimea dell’aprile 2014 che ne avrebbe minato gli equilibri geopolitici.

Iniziammo  dalla  cittadina di Alchevsk, circa 45km da Luhansk, uno dei più grandi centri industriali e siderurgici della provincia, con il relativo “impianto di trattamento delle acque occidentali”, che visitammo dotati di caschi gialli da minatori, forse per proteggerci da… non ricordo, o forse per folklore.

L’amico Ignazio, con il quale ho condiviso queste giornate, probabilmente ricorda meglio di me.

La visita si concluse con un meeting su temi ambientali, in particolare sulle modalità attuabili per risolvere il problema del filtraggio dell’acqua potabile destinata alla popolazione.

Nel pomeriggio, breve sosta presso la cittadina di Luhanska Stanitsa, un piccolo centro che si trova a un centinaio di metri dalla linea che separa la zona amministrata da Kiev da quella controllata dai ribelli filo-russi nell’Ukraina orientale, ormai distrutta dai bombardamenti.

Ricordo l’atmosfera di cordialità e accoglienza da parte di un Paese con un forte senso di appartenenza, orgoglioso della sua cultura e storia, da conservare e proteggere, come abbiamo poi visto, a tutti i costi.

In questo breve viaggio a ritroso nel tempo, mi sono avvalsa del programma che ho recuperato, dopo tanti anni, anche perché i nomi delle città e dei luoghi visitati, impronunciabili, giacevano fra le carte, persi nella memoria.

È stata indubbiamente una esperienza formativa per tutti noi, come in genere accade quando si esce dal proprio “nido” per confrontarsi con realtà e mentalità così diverse.

Adesso, che l’Ukraina, in un contesto di guerra, ha dichiarato di sentirsi “europea”, e ha richiesto di volere entrare a pieno titolo nell’Ue, l’incontro fra rappresentanti delle Istituzioni “europee”, in un tempo di pace ormai lontano, assume un significato dolorosamente ancora più forte.

Tuttavia, l’insieme dei ricordi mi è apparso come oscurato da un velo grigio, colore predominante, che ha come opacizzato i volti pallidi e i sorrisi malinconici dei delegati ma anche della gente comune incontrata in quei quattro giorni.

Anche le foto a colori recuperate dal mio album, chiuso da allora, ma che ho voluto recuperare, mi hanno trasmesso questa sensazione, di certo condizionata dalla situazione attuale, di un tempo che non c’è più.

Per questo motivo, ho voluto ridare vita in qualche modo a memorie, luoghi, persone, che probabilmente hanno perso tutto e che immagino in queste ore buie stiano combattendo per potere continuare a vivere da uomini liberi.

Nel frattempo, Alexey Danilov, nominato capo del Consiglio nazionale di sicurezza e difesa, dichiarava, secondo quanto riportato da un video di un sito web( debitamente tradotto), “(…) non ci sono truppe russe al confine, ma c’è una minaccia e Putin ha deciso di destabilizzare l’Ukraina internamente (…) vuole che il nostro Paese cessi di esistere nei confini in cui esiste oggi (…) se non potrà farlo, allora le armi potrebbero essere usate come opzione (…)”.

Era il 30 dicembre 2021.