di Antonio Corona*

Secondo Karl Marx, non esistono capitalisti buoni e capitalisti cattivi.

Esiste piuttosto e soltanto il capitale, con le sue ferree logiche.

E il conseguimento del profitto ne è la ragion d’essere.

Il saggio del profitto è definito come rapporto tra plusvalore – ovvero, la differenza tra il valore del prodotto del lavoro e la remunerazione sufficiente al mantenimento della forza-lavoro, differenza di cui in un regime capitalistico si approprierebbero gli imprenditori-capitalisti – e somma del capitale fisso e variabile.

Vi è chi peraltro osserva che, con il procedere della accumulazione, il sistema economico tenda a investire maggiormente nel capitale fisso, a motivo pure del progresso tecnologico.

Ora, essendo il plusvalore originato dal pluslavoro, il saggio del profitto, come dianzi definito, decresce all’aumentare del capitale fisso.

Aumentando la componente degli investimenti sul totale del capitale di impresa, la diminuzione del saggio del profitto determinerà l’implosione del sistema capitalistico.

Che ciò avvenga o meno, il meccanismo di base rimane lo stesso.

Non è un caso che, a tutt’oggi, il costo del lavoro, non ultimo per il relativo carico fiscale che lo grava, continui a rappresentare una delle criticità di maggiore complessità e dibattito, poiché costituisce uno degli elementi chiave nella dinamica competitiva tra sistemi-paese e al loro stesso interno.

Dinamica competitiva che impone prodotti di qualità superiore, a prezzi altamente concorrenziali.

Si comprenderà come le democrazie occidentali di stampo liberale possano quindi andare in affanno, in ispecie in fasi economiche recessive, nella continua ricerca di un accettabile equilibrio tra esigenze proprie del capitale e altre improntate a principî assai diversi e con esse financo confliggenti.

Gli esperimenti di socialismo-reale del decorso XX secolo, informati alla collettivizzazione(/statalizzazione) della proprietà e dei mezzi di produzione, hanno d’altra parte fallito nel proporsi come alternativa.

Paradossalmente, la sconfitta patita ha favorito forme di capitalismo di Stato, in quanto tali nondimeno rispondenti, in un mondo ormai ampiamente globalizzato, alle regole del mercato.

Questo, sul versante della economia reale.

Accanto alla quale, fino a sovrastarla, è andata progressivamente a svilupparsi e ad affermarsi la finanza, con effetti significativamente e gravemente distorsivi.

Sono ancora evidenti i segni profondi provocati dagli sconquassi della, appunto, crisi finanziaria di una decina di anni fa, che ha rischiato di mandare letteralmente a picco Paesi, come l’Italia, nonostante fosse ritenuta, essa, in possesso di solidi fondamentali.

E nel bel mentre del successivo, impervio percorso di ripresa, con una B.C.E. tuttora impegnata, con massicci acquisti di titoli di Stato, a non fare deflagrare i cdd. debiti sovrani, ecco un microscopico intruso a flagellare tutto e tutti, a mandare all’aria tutti i migliori proponimenti.

È ben noto ciò che sia avvenuto sin dal primo apparire della pandemia in atto.

La situazione è apparsa talmente drammatica da indurre l’austera Unione Europea ad accantonare, almeno per ora, quella linea rigorista che già di suo stava rischiando di strangolare alcuni dei Paesi membri, aprendosi al fattivo sostegno delle economie maggiormente in crisi, con il varo anche di strumenti di assoluta novità.

In virtù pure della intensa attività del Governo pro-tempore, l’Italia ha ottenuto oltre duecento miliardi di euro nell’ambito di un programma di essi, il recovery plan.

Quindi, benché non proprio inaspettata, come un fulmine a ciel sereno ecco la crisi politica, per motivi che non sta qui rammentare e analizzare.

Ciò che veramente importa è che, a fronte della verificata impossibilità di ricostituzione della maggioranza appena andata in frantumi, il Presidente della Repubblica abbia conferito l’incarico, accettato con riserva, di formare un nuovo esecutivo a Mario Draghi.

Esattamente colui che, da Presidente della B.C.E., con le sue innovative iniziative, ha garantito un valido salvagente a questo e agli altri Paesi della U.E..

Tre, come indicategli dal Capo dello Stato, le priorità da affrontare: pandemia in corso; definizione e attuazione del recovery plan; crisi sociale.

I mercati stanno reagendo benissimo al conferimento dell’incarico e stanno scommettendo sul suo felice esito.

Lo spread con i titoli tedeschi è in netta flessione come mai da anni.

Le straordinarie considerazione e credibilità che il Presidente incaricato gode negli ambienti internazionali – tra non molto, il G20 a presidenza italiana… – sta riverberandosi positivamente sulle possibilità di riuscita di un compito a dir poco titanico.

Mentre si sta scrivendo, sono in corso le consultazioni di rito.

L’obiettivo dichiarato è quello del più ampio sostegno parlamentare al nuovo governo.

Invero, risultato non facile da realizzare.

Come da taluni osservato, infatti, mettere insieme “il diavolo e l’acquasanta”, equivale a votarsi a certo naufragio quando saranno affrontati argomenti non soltanto divisivi, ma autentici punti non negoziabili per le diverse compagini politiche.

E dunque?

L’impressione – temeraria, se non del tutto… strampalata – è che, in realtà, in gioco non sia la aggregazione di una maggioranza intorno a un programma in maggiore o minore misura condiviso.

Bensì, di una estesa maggioranza quasi “a prescindere”, con facoltà di proposta e contributo, ma che – pure, se occorra, con licenza di roboanti proclamazioni di eventuale dissenso – si affidi completamente all’inquilino in pectore di Palazzo Chigi, ne avalli i provvedimenti, quali che siano, almeno per quanto attenga ai temi oggetto della azione di governo.

Riservando viceversa il resto alla libera dialettica parlamentare.

Insomma, una sorta di “non disturbare il conducente”.

Se si preferisca, una sorta di (non dichiarata) attuazione “per via analogica”, in tempo di pace, dell’articolo 78 della Costituzione.

Un ipotetico fallimento del tentativo di Mario Draghi, mercati finanziari in testa, sarebbe d’altronde accolto ovunque malissimo, con prevedibili nefaste, disastrose, irrimediabili conseguenze per il Paese, tra le quali quella di essere bollato da imperitura patente di inaffidabilità.

Impensabile, per altro verso, che gli osservatori internazionali possano tollerare un Draghi ostaggio dei minuetti romani.

In altri termini, viene da ipotizzare che la investitura di Super Mario, come viene sovente evocato, consegua all’essere egli ritenuto veramente come ultima, estrema chance sull’orlo dell’abisso, uomo della provvidenza nelle cui mani, novello Cincinnato, rimettere in questa drammatica contingenza il destino di questo Paese.

Se così fosse, sarebbe forse il caso che, chi nutrisse delle perplessità, tra l’altro del tutto legittime, se ne facesse una ragione.

Se così fosse, e comunque la si pensi, si permetta di rivolgere, per risolutezza e immenso coraggio, il più sincero “Chapeau! Monsieur le Président Sergio Mattarella”.

Se, come ci si augura con tutto il cuore, ci si sarà rimessi in careggiata, dal 2023 ci sarà poi tutto il tempo per tornare alla consueta Politica.

Magari, chissà, pure migliorata.

È prevedibile che, in quello tratteggiato o in diverso scenario, prefetture e Viminale siano di nuovo e ulteriormente mantenuti schierati in prima linea.

Sicuramente, circa coesione e tensioni sociali.

Probabilmente, riguardo a compiti correlati alla attuazione del recovery plan.

Non escludendo coinvolgimenti atti a contribuire a un sollecito svolgimento della campagna di vaccinazione.

Tra le altre attività, quelle correlate alla immigrazione, in virtù anche dell’impatto sul tema, da verificare, delle afferenti novelle legislative.

Notazione conclusiva.

L’evidente delicatezza dell’insieme, parrebbe suggerire una conduzione quanto mai competente della Amministrazione dell’Interno, magari da chi la conosca nei minimi dettagli.

*Presidente di AP-Associazione Prefettizi