di Maurizio Guaitoli

Nel 2021, chi vincerà la battaglia ideologica tra democrature, democrazie e capitalcomunismo alla cinese?

O quella molto più concreta della cybersicurezza, che darà al vincitore pro-tempore il dominio sull’informazione?

Come si vede, non è una guerra in armi (per ora!) ma tra sistemi politici, esattamente come lo fu la Guerra Fredda Usa-Urss. Gli scenari dell’anno che verrà, vedranno forze in campo destinate a sfidarsi nel corso dei prossimi decenni, alternando correnti di multilateralismo e di bilateralismo, il primo più democrat, il secondo più conservatore. Nell’era Trump, in nome dell’America first, si erano abbandonati i grandi tavoli comuni della trattativa internazionale(Onu-Oms; Accordo di Parigi sul clima; Wto; nucleare iraniano; Trattato Transpacifico, o Tpp; etc.), per avere le mani libere dai vincoli della globalizzazione, in vista di un progressivo decoupling Cina-Usa, con il previsto e fiscalmente agevolato rientro in America di attività industriali che avevano delocalizzato in Asia.

Questo tipo di politica aveva comportato il ritorno del protezionismo, con l’imposizione di un lungo elenco di dazi e sanzioni per tutelare le produzioni interne. Tutto il contrario di quanto intende fare oggi la subentrante Amministrazione Biden, intenzionata a rinsaldare i vincoli con l’Unione Europea e a proseguire il confronto con la Cina come sparring partner: uno sfidante, cioè, con il quale darsele di santa ragione senza mai arrivare tuttavia al count-down del conflitto aperto.

Nel frattempo però, Pechino ha anticipato con notevole abilità diplomatica le future mosse degli Usa, rilanciando forte sul multilateralismo. Infatti, colmando il vuoto del neo-isolazionismo americano, la Cina ha firmato nel novembre 2020 il più grande accordo di libero scambio nel mondo, denominato Recep(Regional Comprehensive Economic Partnership, in cui la somma del Pil dei Paesi sottoscrittori rappresenta il 30% di quello mondiale ) che, oltre alle dieci economie dell’Asean, include Cina, Corea del Sud, Giappone, Nuova Zelanda e Australia. L’Accordo comprende 20 capitoli di regole che riguardano l’interscambio commerciale, gli investimenti, il commercio elettronico, la proprietà intellettuale e gli appalti pubblici. E tutto ciò, nonostante che Xi Jinping abbia un conto aperto con Camberra(che si è vendicativamente tradotto in sanzioni all’esportazione agroalimentare australiana), a causa delle sue critiche sull’origine e la gestione iniziale della pandemia, tradotte poi nella richiesta di una commissione d’inchiesta internazionale per stabilirne le cause e le responsabilità(beninteso, cinesi!). Ancora più di recente, e a sorpresa, la Cina ha sottoscritto un secondo, importante accordo di libero scambio proprio con la Ue, favorito dalla presidenza tedesca dell’Unione di Angela Merkel, intenzionata a tutelare gli enormi interessi industriali e commerciali che legano l’interscambio tra Berlino e Pechino, mettendo così (volutamente) l’Amministrazione Biden dinnanzi al fatto compiuto.

Secondo Bruxelles, l’accordo bilaterale sugli investimenti, chiuso all’inizio di gennaio dopo sette anni di trattativa, dovrebbe contribuire a dare sollievo alle imprese europee che desiderano lavorare ed esportare i propri prodotti verso i mercati cinesi. La conclusione formale del nuovo trattato commerciale, denominato C.A.I., Comprehensive Agreement on Investment, avverrà tra non meno di un anno, dando così modo all’Amministrazione Usa di concordare con Bruxelles una strategia più efficace per riequilibrare l’intero interscambio Occidente-Cina. Questa improvvisa accelerazione è dovuta ai fondati timori di Xi Jinping in merito alla creazione di un fronte occidentale compatto contro l’abuso di posizione dominante da parte di Pechino, conseguente a un inaccettabile, gigantesco dumping sia sulla forza lavoro, sia sui consistenti aiuti di stato concessi da decenni alle imprese cinesi che competono sui mercati internazionali, con particolare riferimento alle reti 5G in cui Huawei, il suo campione nazionale, gode di un sicuro vantaggio sul resto dei Paesi avanzati. Così, la Cina è più che mai decisa a disfarsi del vecchio multilateralismo globalizzante, per sostituirlo con un sistema di accordi bilaterali, sottoscritti in base ai suoi interessi geostrategici.

La via maestra, dunque, per evitare ulteriori rappresaglie da parte occidentale è di rientrare in tutto o in parte in un gioco commerciale più fair e non troppo dissonante dalle regole vigenti del Wto, attivando, attraverso un trattato di libero scambio con Bruxelles, quei meccanismi di reciprocità e di apertura dei mercati interni ai quali il regime cinese si era finora opposto con la massima determinazione, con la scusante di essere un… Paese in via di sviluppo, oggi divenuta anacronistica essendo la Cina la seconda potenza industriale del mondo! Nell’accordo firmato da Ursula von der Leyen e Xi Jinping rimane fuori, come sempre, la questione dei diritti umani(v. Hong Kong!) e del lavoro coatto che coinvolge milioni di persone appartenenti a minoranze etnico-religiose, confinate all’interno dei così detti campi di rieducazione e di formazione(s’intende, del perfetto cittadino confuciano e comunista). La mossa, tuttavia, rischia di creare un serio attrito con il previsto riavvicinamento europeo verso l’America di Biden, che si è già chiaramente espresso a favore di una “alleanza con l’Europa per esercitare pressioni su Pechino affinché desista dalle sue pratiche commerciali aggressive”(v. Financial Times del 31 dicembre, Questions remain over Bruxelles-Beijing pact), senza tener conto che la Cina sia maestra nel violare accordi internazionali, come quello sottoscritto con l’Inghilterra su Hong Kong, o con l’Australia sul libero commercio, oggi violato con l’imposizione di barriere tariffarie sui prodotti agroalimentari australiani(v. Financial Times del 6 gennaio 2021: Europe has handed China a strategic win).

Il C.A.I. prende in carico le innumerevoli contestazioni e controversie sollevate dalle compagnie occidentali nei confronti di Pechino, in merito ai seguenti aspetti: l’obbligo di condividere il proprio know-how tecnologico in cambio dell’accesso al mercato cinese; lo sbilanciamento a favore delle imprese controllate dallo Stato che penalizza la libera concorrenza; la mancanza di trasparenza del meccanismo di erogazione dei sussidi statali. Su questi temi ipersensibili, l’accordo spiana la strada agli investitori europei in quanto proibisce sia il trasferimento forzoso di tecnologia, sia il ricorso a pratiche distorsive dello stesso segno. Altre parti del testo riguardano i diritti di accesso settore per settore al mercato cinese, rimuovendo le barriere che facevano obbligo di costituire joint-venture con imprese locali, o limitavano gli investimenti stranieri. I comparti in cui le imprese europee si avvantaggeranno di un più ampio diritto di accesso includono l’automotive(tedesco-italiano, in prevalenza), gli apparati di telecomunicazioni, il cloud-computing(erogazione su richiesta, da un fornitore a un utente finale, dei servizi in rete), la sanità privata e i servizi di supporto al trasporto aereo. Inoltre, per quanto riguarda i servizi finanziari, l’Ue potrà operare sullo stesso piano degli Usa.

Certamente, nota Financial Times, il trattato Ue-Cina sugli investimenti, riferendosi specificamente a barriere non tariffarie, risulta ben più limitato rispetto ad analoghi accordi di libero scambio sottoscritti dall’Europa con Canada, Giappone e Inghilterra. Lo stesso Commissario Ue al commercio, Valdis Dombrovskis, ammette che restano fuori dal C.A.I. materie importanti quali: la sovrapproduzione di acciaio; la discriminazione nell’accesso a contratti e appalti pubblici; il commercio di beni contraffatti. Per gli europei, un modo di venire a capo delle suddette controversie, con particolare riferimento ai sussidi statali cinesi all’industria nazionale,  passa per una più puntuale e adeguata riforma del Wto e per strumenti multilaterali che prevedano (e siano in grado di applicare!) severe sanzioni nel caso di violazioni accertate.

Tra l’altro, una delle ragioni pratiche per cui Pechino ha deciso di stringere sull’accordo, prima del giuramento dell’Amministrazione Biden, è di mantenere le attuali condizioni di accesso al libero mercato europeo, prima che vengano adottati da Bruxelles i nuovi regolamenti per contrastare la concorrenza sleale dei Paesi extra Ue. Alla Cina verrà garantito l’accesso al settore delle energie rinnovabili per ogni singolo mercato interno degli Stati membri, ma limitatamente a una quota massima del 5%, soggetta al rispetto delle condizioni di reciprocità. Sul piano dei principî, l’accordo prevede un impegno solenne della Cina (che certamente non verrà mantenuto!) a ratificare le due convenzioni internazionali per il contrasto del lavoro forzato e per la libertà sindacale. Dal punto di vista delle multinazionali europee, l’accordo bilancia quello sino-americano della “Fase-1” per l’accesso delle imprese americane ai mercati cinesi, anche se autorevoli fonti di Bruxelles fanno notare la assai scarsa incidenza del C.A.I. sulle componenti strutturali dell’economia cinese, che continuerà a creare barriere informali agli investimenti stranieri. Qui lo squilibrio tra Pechino e Bruxelles grida in effetti vendetta: infatti, mentre un imprenditore cinese può rivolgersi a un tribunale europeo per contestare eventuali aiuti di stato, non esiste analoga garanzia per i nostri investitori che operino in Cina.

La strada per raggiungere la parità, come si vede, è ancora molto lunga e sarà dominata dalla legge della tripla “C”: cooperazione, competizione, confrontation tra Cina e Occidente. Intanto, l’Ue ha già detto chiaramente che intende chiamarsi fuori nella nuova, prevedibile, guerra fredda Cina-Usa. I soliti cuor di leone… La strategia di Pechino appare, a tutti gli effetti, molto più interessante e articolata, rispetto al basso profilo dell’Europa e al comportamento ondivago dell’America, sedotta e abbandonata dal trumpismo, oggi spaccata in due come una mela tra l’eredità repubblicana di Trump, populista e assai poco incline alla mediazione politica, opposta all’altra democrat e decisamente obamiana di Biden. Nel contempo, l’uno e l’altro fronte se la debbono vedere con le rispettive ali estreme, piuttosto irriducibili e violentemente opposte tra di loro, come QAnon(quelli che credono al complotto mondiale giudaico-massonico del Deep State) da una parte, e Black lives matter, dall’altra. Intanto, anche l’Africa si muove a livello continentale per la creazione di un mercato unico tra 54 Paesi africani, firmando un accordo di libero scambio, entrato in vigore il 1^ gennaio scorso, denominato African Continental Free Trade Area, o AfCFTA.

Il Trattato continentale africano si pone i seguenti obiettivi: creare un mercato unico, al fine di rendere più solida l’integrazione economica del continente; realizzare un libero mercato ricorrendo a più accordi negoziali; favorire la libera circolazione di persone, capitali, investimenti e l’unione doganale continentale; realizzare uno sviluppo socioeconomico inclusivo e sostenibile, nonché la parità di genere e le trasformazioni strutturali interne agli Stati membri, potenziandone la competitività sia sul Continente che sul mercato globale; incoraggiare la sicurezza alimentare, nonché lo sviluppo agricolo e industriale attraverso la diversificazione e il consolidamento delle catene del valore regionali; risolvere le sfide poste dall’appartenenza di un Paese membro a molteplici unioni di Stati. Quindi, sarà bene fare molta attenzione a ciò che accadrà in Africa nel prossimo decennio.

Infine, Scenario Covid: vincerà il vaccino o il virus?

Temo che la verità sia nell’esatto mezzo.

Impareremo a convivere con il virus, fino a che, come tanti altri, si addormenterà definitivamente nel suo guscio biologico.