di Paola Gentile

Il governo dell’immigrazione appare sempre più agitato: ormai non passa giorno senza che gli organi di informazione riportino un’intervista con la quale il Ministro Salvini rilascia dichiarazioni sul tema, scagliandosi contro questo o quell’altro preannunciando il blocco dei porti e, da ultimo, quello degli aeroporti, a evitare che altri migranti, stavolta provenienti dalla Germania, facciano ingresso nel nostro Paese.

In realtà, quello dell’immigrazione, a mio avviso, è un falso problema, perlomeno nei termini in cui lo pone il Ministro: oggi siamo infatti ben lontani dagli arrivi di massa che hanno portato migliaia di migranti sulle nostre coste sino a tutto il mese di luglio dello scorso anno; la questione appare dunque più che altro di principio, volta com’è a richiamare l’attenzione degli altri Stati membri dell’Unione Europea sul fatto che l’Italia, che in passato si è assunta sempre l’onere di accogliere la maggior parte dei migranti, non debba essere lasciata sola e che le responsabilità vadano correttamente ripartite tra tutti coloro che hanno siglato gli accordi che sono alla base dell’Unione.

Questo, naturalmente, non vuol dire che la nostra appartenenza all’Europa debba essere messa in discussione, ma che occorre un opportuno riequilibrio tra coloro che intendono fare il bello e il cattivo tempo e coloro che invece sono stati sinora costretti a subire decisioni prese a livello d’oltralpe, che hanno penalizzato tutti i Paesi europei le cui coste si affacciano sulle sponde del Mediterraneo.

Il tema dell’immigrazione non mi pare dunque che la punta di un iceberg, invocando il quale il nostro Governo punta i piedi per rimettere in discussione equilibri ormai consolidati che ci hanno visto sempre, purtroppo, dalla parte dei più deboli.

In questa ottica parlare dei blocchi portuali o aeroportuali non sembra inopportuno e non credo di debba temere, come paventato da Martina, il rischio di un isolamento, se essere perfettamente integrati significa dover subire passivamente le decisioni altrui, come è stato sinora.

Con questo non si vuole per carità sostenere che occorra far leva su un nascente “sovranismo”, che non ci porterebbe da nessuna parte, ma semplicemente che l’asse Parigi–Berlino debba smettere di imporre regole per il proprio esclusivo tornaconto.

Il discorso può essere facilmente esteso anche a un’altra questione, ben più importante, che riguarda il rispetto dei vincoli del Patto di stabilità da parte dell’Italia: pure qui il nostro Paese sembra aver preso una decisione coraggiosa, ma anche un po’ ardita, con lo stabilire al 2,4 % il rapporto tra deficit e PIL per il prossimo anno, scommettendo sul fatto che per determinare una crescita bisogna superare le politiche di austerità che ci sono state imposte per rimanere negli standard europei.

L’argomento impone ben più complesse riflessioni, che non mi pregio di affrontare in queste poche righe, ma ritengo sia cosa ormai incontrovertibile che i parametri di Maastricht che il nostro Paese ha sottoscritto penalizzino i Paesi economicamente più fragili, come l’Italia, a tutto vantaggio della locomotiva tedesca che di certo può contare su un bilancio più solido.

Solo i fatti potranno o meno dare ragione alle scelte di “cambiamento” proposte dall’attuale Esecutivo; se le “nuove” politiche risulteranno vincenti, e cioè se davvero la Nazione registrerà l’auspicabile crescita, allora risulterà corretta l’opinione di chi è convinto che dare respiro alle politiche nazionali di bilancio degli Stati che hanno adottato l’euro in fondo non significa evocare lo spettro della fine dell’Europa, con buona pace dei tecnocrati di Bruxelles che fanno calare o rialzare lo spread solo sulla base delle loro semplici dichiarazioni.

Anche su questo fronte penso non si possa non essere d’accordo con quelli che pensano che l’Europa che viviamo, per essere realmente democratica come lo sono gli Stati Uniti d’America, dovrebbe trovare legittimazione in una investitura popolare degli organi veramente decisionali del Continente, il Consiglio e la Commissione, e non soltanto del Parlamento che siede a Strasburgo.

Buon lavoro e buona fortuna dunque al Presidente Conte e al Ministro Tria, con l’auspicio che l’Italia, con le sue scelte innovative, non venga travolta da un “rischio Grecia”.