di Marco Baldino

Nell’incarico svolto presso la Prefettura di Novara mi è spesso capitato di dovere illustrare agli Amministratori Locali la ratio delle disposizioni in materia di toponomastica, concepite quasi un secolo fa e che, nonostante le molteplici riforme istituzionali che hanno riguardato i rapporti fra lo Stato e i Governi territoriali, non hanno cessato di avere vigore e piena legittimazione.

E a ragione.

Vorrei sinteticamente ricordare che – secondo la normativa vigente – la proposta di intitolazione di un qualsiasi luogo pubblico o aperto al pubblico viene effettuata dalla Commissione comunale competente, se presente, o direttamente dalla Giunta raccogliendo, a tal riguardo, anche le eventuali relative indicazioni che scaturiscano dalla cittadinanza.

Ogni proposta di denominazione deve essere accompagnata da una relazione che illustri le più importanti notizie biografiche della persona che si vuole ricordare.

Le proposte di denominazione, ottenuta l’approvazione della Giunta, sono inoltrate al Prefetto con il relativo incartamento, costituito da copia della deliberazione, della nota biografica della persona cui si vuole intitolare il sito, nonché della rilevazione cartografica del luogo interessato.

Il Prefetto trasmette l’intera pratica, per il prescritto parere, alla Deputazione di Storia Patria  o della Società Storica locale e, se si tratti di modifica di intitolazione già effettuata, anche alla Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici.

Ricevuti i pareri di competenza, comunica all’Ente Locale la propria decisione, espressa mediante decreto.

Si ricorda che nessuna strada o piazza pubblica può essere intitolata a persone che non siano decedute da almeno dieci anni.

Lo stesso vale per i monumenti, le lapidi o altri ricordi permanenti situati in luogo pubblico o aperto al pubblico fatta eccezione, in questo ultimo caso, per quei monumenti, lapidi o ricordi situati nei cimiteri, o a quelli dedicati nelle chiese a dignitari ecclesiastici o a benefattori.

Il limite dei dieci anni può essere superato per i caduti in guerra o per la causa nazionale.

Inoltre, è facoltà del Prefetto, a ciò espressamente delegato dal Ministro dell’Interno, consentire la deroga a tali disposizioni in casi eccezionali, quando si tratti di persone che abbiano particolari meriti nei confronti della nazione.

Contro la decisione del Prefetto è esperibile ricorso straordinario al Capo dello Stato entro 120 giorni dalla notifica del provvedimento –  per la tutela dei diritti soggettivi ed interessi legittimi – nel quale possono essere eccepiti soltanto i vizi di legittimità del provvedimento.

È altresì esperibile, in alternativa, ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale competente, per la tutela dei soli interessi legittimi, entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento.

Anche in questo caso possono essere dedotti solo i vizi di legittimità dell’atto.

Perché, dunque, questo ruolo essenziale del Prefetto in una materia che, a prima vista, sembrerebbe innocua e marginale?

Ma perché tale materia può prestarsi a insidie ed equivoci che soltanto la superiore posizione di terzietà e il prestigio e l’autorevolezza della figura prefettizia possono annullare sul nascere.

Oggi, infatti, sempre di più si preferisce intitolare luoghi non ad astratte entità geografiche (monti, fiumi…) né a personaggi che la Storia ha ormai inequivocabilmente consacrato nella memoria collettiva(Mazzini, Garibaldi…) bensì a persone di più immediato riferimento all’attualità, generale o locale e, sempre più spesso, decedute da meno di dieci anni.

A volte si tratta di personaggi illustri su cui non c’è neppure da discutere: non solamente per la loro indubbia fama, ma per l’estremo consenso che hanno ricevuto in vita, e dopo la vita, presso l’umanità intera.

Valga per tutti l’esempio del Pontefice Giovanni Paolo II.

Altre volte, il discorso è simile nella sostanza, ma più limitato nello spazio territoriale, in quanto trattasi di reali e indiscussi benefattori, che hanno dato un contributo indelebile alla comunità in cui sono vissuti : non solo come esempio di vita ma, spesso, come tangibile lascito di natura economica che non poco contribuisce alle realizzazioni delle finalità sociali e culturali di una comunità.

Altre volte, invece, la visione di parte può prendere il sopravvento e suggerire ad amministrazioni elettive, politicamente ben definite, di compiere scelte non del tutto corroborate da quel comune sentire che è alla base di decisioni non effimere, quali quelle che riguardano la toponomastica.

Ecco dunque che, a garanzia dell’effettivo rispetto dell’intera comunità locale, senza particolarismi né antagonismi, e a certezza che la scelta compiuta non rifletta una “moda” del momento, né la volontà di affermazione di una parte sull’altra, emerge chiaro il ruolo del Prefetto, custode dell’unità nazionale anche nel ricordo e nella memoria, e garante della coesione sociale e territoriale che previene ed evita i conflitti.

È suo compito compiere, anche autonomamente, oltre che a seguito di specifica documentazione ricevuta, ogni possibile ricerca sul valore e sull’importanza della persona oggetto dell’intitolazione, nonché sul grado di concordia presente nella comunità locale in ordine alla scelta compiuta dall’Amministrazione.

Ed è quindi, giustamente, nel suo esclusivo ambito decisionale, pur dopo aver consultato gli organi competenti, operare una scelta che sarà per sempre.

Il nome di un sito, infatti, trasmetterà ai posteri una testimonianza di quali siano i valori propri di una determinata comunità in un determinato periodo storico, espressi attraverso la scelta della persona che tali valori incarna, attraverso la memoria storica dell’espressione toponomastica.

Non è dunque senza significato che, pure a distanza di quasi un secolo, una competenza apparentemente così innocua, ma sostanzialmente così incisiva, sia stata mantenuta nell’alveo della Prefettura, a testimonianza del ruolo di testimone e garante dei valori condivisi e imperituri che la nostra Istituzione continua e continuerà a rivestire.