di Antonio Corona

Siria, due anni di conflitto

Guerra asimmetrica: conflitto ad  armi impari, non dichiarato, nel quale una delle parti è costretta a difendersi da un nemico non identificabile, trovandosi in situazione di palese svantaggio.

“Esiste una fondamentale differenza, ho detto, fra il terrorismo palestinese e quello di Al Qaeda. Gli uomini di Osama Bin Laden appartengono a una società segreta, combattono per un vago e fumoso progetto ideologico. Mentre i martiri di Al Aqsa e gli attentatori suicidi di Hamas appartengono a un popolo e ne rappresentano le aspirazioni. Quella che si combatte in Palestina, ho aggiunto, è in realtà una guerra asimmetrica in cui il debole colpisce il forte là dove è più vulnerabile e le armi utilizzate dal primo sono la inevitabile conseguenza della superiorità bellica del secondo.

Le guerre simmetriche, fra Stati dotati delle stesse armi, sono sempre più «pulite» delle   guerre asimmetriche”(Sergio Romano, Corriere della Sera, 18 aprile 2002, p. 6, In primo piano) “«Guerra asimmetrica», dicono gli  esperti, per indicare l’azione invasiva e distruttiva del terrorismo islamico, la sua inaudita ferocia, la sua capacità di trasformare gli elementi del nostro  quotidiano  –  la  gente,  le  case, le infrastrutture – in moltiplicatori della sofferenza e della paura”(Salvatore Scarpino, Giornale,15 settembre  2004, p.1, Prima pagina)”.

“Nel nome di Artemidoro e del suo tormentato papiro(un prezioso documento antico o un falso di fine Ottocento?) si sta consumando una delle battaglie intellettuali più appassionanti e  raffinate, e raffinatamente devastanti, di questo inizio di millennio – ed è forse un segno dei tempi che si combatta su terreni che più distanti non si potrebbe dalla politica. Una guerra asimmetrica che minaccia di non fare prigionieri, ma che già adesso infiniti adduce lutti, e divisioni, e imbarazzi, nell’accademia italiana, da dove la scintilla è partita per coinvolgere rapidamente il mondo”(Maurizio Assalto,  Stampa,  17  aprile  2008,  p.  42, Società e Cultura)” (da Treccani on line)

Guerra asimmetrica, definizione ormai entrata nel linguaggio corrente.

Vi hanno molto contribuito il conflitto in essere con attori: da una parte, l’Isis, entità territoriale dal perimetro liquido, bande di irregolari, terrorismo; dall’altra, la coalizione internazionale di decine(!) di Stati, dai confini, forze e metodologie di combattimento (più o meno…) convenzionali.

Non certo una novità, peraltro.

Si pensi alle condizioni e modalità di scontro, nell’antichità, tra Greci e Persiani, Romani e “barbari”.

Per stare a epoche meno remote, tra States e Vietnam del Nord, in medio-oriente, Kosovo, Afghanistan, Ucraina.

Sono appena alcuni tra gli innumerevoli, possibili esempi.

In definitiva, tranne che limitatamente a campo di gioco e pezzi dei due schieramenti sistemati all’inizio di una partita a scacchi, viene da concludere che una effettiva simmetria probabilmente non esista e non sia mai esistita.

Una situazione analoga, su terreno non di scontro ma di incontro/confronto, pare potersi rinvenire oggi nel tentativo/processo di integrazione, in “occidente”, di comunità con una propria significativa e altra fisionomia culturale, magari profondamente radicata in un profondo senso religioso.

È il caso, ma non solo, di un Islam che, intanto, sembra proporsi in termini più di Nazione che di Stato.

Prima ancora che iracheno, siriano, saudita, iraniano, un musulmano sarebbe semplicemente… un musulmano, traendo dall’essere sciita o sunnita, piuttosto che dalla mera sua appartenenza a una compagine statuale, il motivo principale della propria identità finanche, purtroppo, di un terribile e infinito conflitto “domestico” tracimato poi verso lidi un tempo incontaminati.

L’Europa ha ben conosciuto in passato violente contrapposizioni religiose, non ultimo in nome del medesimo Dio, venendone in qualche modo definitivamente a capo soltanto nel 1648 con la pace di Vestfalia, a conclusione della devastante guerra dei trent’anni tra Stati cattolici e protestanti.

Su altro versante, “laico” stavolta, il movimento operaio, nell’imminenza di quello che sarebbe diventato il primo conflitto mondiale, in una logica di mondo concepito come diviso per classi tra di esse antagoniste anziché per Stati, ebbe a spaccarsi di fronte alla prospettiva di uno scontro, in quanto ai suoi occhi fratricida, che coinvolgesse lavoratori a massacrarsi tra di loro da barricate opposte.

Senza ulteriormente divagare.

Per stare a quanto attualmente alla ribalta, in conseguenza non ultimo dei ragguardevoli flussi di migranti in atto, l’incontro/confronto tra, si permetta la semplificazione, “occidente cristiano” e “islam”(al netto di “quello” già da tempo inglobato nel primo e quindi probabilmente già interessato da analogo processo di secolarizzazione), potrebbe paradossalmente risultare indifferente a dinamiche di matrice religiosa.

Sorprendente?

A differenza di una comunità islamica che, sunnita o sciita che sia, almeno esteriormente appare compatta sul piano di quella identità, altrettanto non sembra infatti potersi sostenere per i “cristiani”, per una Europa scristianizzata, come si sente infatti spesso dire.

Chiese disertate, in ispecie dalle nuove generazioni, vocazioni sempre più frequentemente tratte da Paesi lontani, forse non per caso del c.d. terzo mondo, precetti osservati e seguiti, sovente, tutt’al più à la carte.

C’entrano qualcosa i “lumi”,  la scienza, i suoi progressi?

Sembra non potersi escludere che, più in generale, il motivo risieda nella diffusione del benessere materiale, che ha progressivamente spostato, dall’aldilà alla vita terrena,aspettative, desideri e relativo soddisfacimento.

La religione, viceversa, pone maggiormente l’accento sulla vacuità del finito, sul significato del dolore, delle difficoltà quotidiane, con la promessa consolatoria di un “dopo” eterno e radioso.

Una promessa in fondo meno seducente se il quotidiano risulti rassicurante e improntato a ottimismo su presente e futuro, a fiducia in una pace che ci si illude acquisita per sempre.

Sebbene non esente da momenti di crisi, così è stato in particolare a partire dal secondo dopoguerra.

I beni materiali, di consumo, hanno riempito l’esistenza di ciascuno, la fiducia nel potere della scienza è cresciuta a dismisura, magari anche oltre il lecito.

Il sovrannaturale ha via via perso terreno, fino a scomparire dall’orizzonte di tanti.

Sennonché, mentre si è probabilmente andata a smarrire la dimensione ultraterrena dell’esistenza(salvo poi riscoprirsi a invocare Dio e Santi nei frangenti di pericolo…), il mito della inarrestabilità di agiatezza e progresso si sta rivelando fallace.

In altre parole.

La “fede” è stata barattata con il benessere, il “paradiso” con l’oggi, ora e qui.

Funziona, se non per tutti, finché ce ne sia almeno per molti.

Assai di meno quando le cose girino non come si vorrebbe.

Quando vivere del presente, se irto di impedimenti e amarezze, diventa maggiormente faticoso e difficile, comincia allora a serpeggiare il malcontento, si creano e si dilatano spaccature in un medesimo agglomerato sociale.

Accade anche nelle famiglie, se non sostenute da forti e consolidati sentimenti e motivazioni, che alle prime avversità si spaccano e si dividono.

Quanto si sottovaluta la funzione della religione quale mastice sociale, ancora di più in società dove la vita di tutti i giorni si sia rivelata e si riveli un autentico percorso a ostacoli.

Attualmente, in Occidente, si è più inclini alla laicità, sostituitasi come “credo” a quello religioso, un Occidente che, avendo smarrita la propria, fa fatica a comprendere la dimensione religiosa, meno duttile, in cui possa svolgersi la vita di altri.

Ai quali altri, per stabilire un terreno comune di laicità condivisa, a causa di una crisi imperante è difficile offrire oggi quelle stesse prospettive di benessere e di progresso inarrestabili che, a ciò improntando gli stessi principî dell’esistenza, nei decenni scorsi hanno favorito in “occidente” il passaggio dalla speranza e dalla fiducia in un “dopo” a quelle in un “ora”.

Mutatis mutandis, pare non a caso questo il motivo della avversità dei fondamentalisti verso tutto ciò che possa comportare contaminazioni, corruttibilità della religiosità della quale si pretendono sacerdoti e custodi.

Cosa dunque potrebbe offrirsi, a coloro che si conformino convintamente a un credo, affinché ne attenuino almeno in parte intransigenza e conseguenti comportamenti in nome della adesione a condivise regole “terrene”?

Insomma, quello che potrebbe venire a prodursi potrebbe rivelarsi un incontro/confronto non tra visioni, per quanto differenti, che abbiano però in comune una prospettiva ultraterrena dell’esistenza.

Bensì, tra chi penserebbe in termini di “domani” e chi di “oggi”.

Un incontro/confronto asimmetrico. Dagli esiti incerti.