Si  ripete:  davvero  qualcuno  crede  che Putin sarebbe disposto a ingoiare una sconfitta militare con l’Ucraina, in

ispecie sull’uscio di casa?

E, di converso, lo sarebbe invece Zelensky(e alleati) con la Russia?

È dunque ipotizzabile una conclusione della disputa che non sia politica?

Se, oltre che retoriche, le domande possano risultare legittime: perché mai, allora, si continua a combattere, a procurare lutti, dolore, rovine?

Scherzi… telefonici a parte, superfluo stare a sollecitare lumi in proposito da questo o da qualsiasi altro governo nostrano, data la cronica debolezza italiana su più versanti – economico, energetico, politico, militare(/altro) – che, si è convinti, obbliga Roma ad accodarsi ai carri statunitense o unionista(europeo) a seconda       delle circostanze e delle convenienze del momento. Comunque     sia, lascia perlomeno sconcertati che si insista in una guerra che appare senza più alcun senso: sempre che, vale  soggiungere, l’abbia mai avuto e relegata, non da ora e ben che vada, nelle pagine interne dei mass media.

Ancor più, alla luce del durissimo conflitto che sta intanto divampando in medio-oriente.

In siffatte terribili vicende, responsabilità di non poco conto discendono dalla stupefacente “abitudine” della comunità internazionale(?) a trattare questioni di straordinaria rilevanza non a bocce ferme, bensì quando sono ormai in piena deflagrazione: ovvero, quando i buoi siano già fuggiti dalla stalla; ovvero, ciò che è puntualmente e di nuovo accaduto pure nelle crisi russo-ucraina e israelo-palestinese(e, più in generale, in materia ambientale, ecc.).

Se quest’ultima disputa non degenererà, sarà probabilmente per il timore – da parte di tutti i possibili interessati, Qatar, Arabia Saudita, Iran, e via dicendo – di lasciarci in qualche modo le penne(delle attuali, rispettive leadership).

Piuttosto, quasi insolente è divenuto questo continuo “ma-anchismo” che sì, “riconosce”, a Israele, il diritto alla difesa/reazione/risposta; purché, però(!), non si colpiscano palestinesi innocenti di cui, peraltro, i miliziani di Hamas si fanno scudo senza scrupolo alcuno.

Come dire, vada per la frittata, purché senza che si rompano le uova (che neanche Silvan…), nella migliore tradizione “fancazzista”, non solamente italiana.

È il fardello che siamo condannati a portarci sulle spalle da desert storm, quando ci si illuse di potere evitare gli “effetti collaterali” con le bombe intelligenti.

Per altro verso, risulta fuori del mondo pure il solo immaginare di chiedere ad Hamas di rinunciare ai suoi metodi terroristici(non fosse altro perché, se così facesse, non sarebbe più… Hamas).

Se comunque, come pare, si sia giunti all’orripilante sgozzamento di bambini, è forse perché a quello di adulti le opinioni pubbliche(occidentali) sono state da non molto abituate dall’Isis: e, nella continua ricerca di suscitare orrore, rilancia ieri, rilancia oggi…

Cosa ci sta preparando il domani?

Quantomeno singolare, al contempo, è pensare che Hamas si convinca di dismettere certe pratiche e di lottare con carri armati che non ha, con navi che non ha, con aerei che non ha.

Senza, sia ben chiaro, il benché minimo intento giustificatorio nei suoi confronti, è un fatto che Hamas, che di sicuro non può competere in termini tecnologici né di “numeri” con il suo nemico storico, si arrangi come può(come per esempio fecero i vietnamiti, che non disponevano di napalm e delle occorrenti risorse aeree per irrorarlo), non ultimo con il rapimento di civili da utilizzare come autentici “scudi umani”(torna il precedente di desert storm).

La si dica come si preferisca, ma, per differenti ragioni, sono stati proprio gli ostaggi, le efferatezze commesse dai miliziani, a rendere reazione e risposta israeliane sorprendentemente incerte e balbettanti, al netto del martellamento delle postazioni di Hamas nella striscia di Gaza con attacchi dall’alto e, solamente da pochissimo, con truppe di terra.

Nondimeno, a Tel Aviv – che, si rammenta, a detta unanime dei commentatori occidentali, si starebbe battendo per la sua stessa sopravvivenza con chi ne vuole il totale annientamento – si chiede di dimostrare la “superiorità” di una democrazia nel conflitto in corso per il tramite di mezzi e modalità “civili” di combattimento.

Ma, si permetta: Israele, è quindi ingaggiata o no in uno scontro all’ultimo sangue?

Nell’affermativa, si può pretendere – come da chiunque sia in effettivo pericolo di vita – che (essa Israele) si curi della osservanza di regole varie, tra le quali quelle di conduzione di una guerra possibilmente senza rischio di commissione di crimini(/effetti collaterali)?

Non solo.

È in atto una guerra – che, secondo Treccani on line, “(…) nel diritto internazionale è definita come una situazione giuridica in cui ciascuno degli Stati belligeranti può, nei limiti fissati dal diritto internazionale, esercitare la violenza contro il territorio, le persone e i beni dell’altro Stato, e pretendere inoltre che gli Stati rimasti fuori del conflitto, cioè neutrali, assumano un comportamento imparziale (…)” – o no?

La contesa, cioè, è tra due Stati o tra uno Stato(Israele) e una organizzazione terroristica(Hamas, che si sarebbe impossessata della striscia di Gaza per impiegarla da trampolino di lancio delle proprie azioni criminali)?

In detta ultima ipotesi, ovvero nel caso la contesa non sia tra due Stati, valgono o meno le regole internazionali?

E ancora.

Cosa significa, in concreto, rispondere senza “eccessi” all’accaduto del 7 ottobre u.s.?

Non si vorrebbe proprio, di questo passo, ritrovarsi a dovere “rimpiangere” i protocolli nazisti che, se non altro, stabilivano con rigore teutonico le rappresaglie previste a seguito di uccisioni di soldati tedeschi al di fuori di ordinarie operazioni di guerra…

Sia come sia, in gioco, è la esistenza stessa di Israele, unica democrazia in medio- oriente, accusata oltre misura di continuare a mantenere occupati, dopo oltre cinquant’anni, territori conquistati dopo guerre mossele dal mondo arabo e da ritenersi strategici(si pensi alla alture del Golan) per la sua difesa.

Tuttavia.

Avrebbe potuto fare qualcosa di… imprevedibile, Tel Aviv, dopo le scorrerie di Hamas dei primi giorni del mese scorso?

Portando indietro le lancette del tempo, dare massima priorità alla conclusione delle trattative in essere con Riad per giungere a una migliore stabilizzazione dell’area, con buona pace delle ennesime sue vittime patite in quel vile attacco.

In altri termini, vanificando uno, a detta della pressoché totalità degli osservatori internazionali, degli obiettivi principali di Hamas: l’interruzione del processo di pacificazione.

E lasciando al contempo il cerino in mano al mondo intero, tenuto moralmente a denunciare fini, e correlate modalità di perseguimento, di Hamas, impossibilitata a quel punto a lucrare sugli ostaggi nelle sue mani e con i suoi Stati fiancheggiatori costretti a defilarsi.

Ora, purtroppo, è invece il momento di scegliere da che parte stare, senza giochi di equilibrismo, ipocrisie, infingimenti e quant’altro.

Tenendo bene in mente che, con ciò che ne consegue, a differenza del conflitto in medio-oriente, in quello russo-ucraino non è contemplata affatto la distruzione del nemico e che, inoltre, la eventuale cancellazione di Israele, unica democrazia della regione, schiuderebbe scenari da… non aprite quella porta!

E la pace?

Mai smettere di ambirla, beninteso non come mera cessazione di ostilità, bensì quale irrinunciabile condizione di sviluppo, prosperità e serena convivenza tra popoli.

Per rimanere al tema, servirebbe qualcuno laggiù che, avendone il potere e l’autorevolezza, potesse aiutare quelle genti a gettarsi dietro di sé un passato di dolori, soprusi, angherie, ingiustizie – insomma, un Nelson Mandela, tanto per cominciare – evitando che sangue continui a chiamare sangue all’infinito.

E perché sarebbe dannatamente bello quanto consolatorio se, il 7 ottobre 2023 e tutto il male che ne è scaturito, potessero un giorno essere ricordati come, seppur dolorosissimi, gli eventi che permisero poi di restituire finalmente alla concordia quella terra, venerata e martoriata.