di Leopoldo Falco

Tra le tante evoluzioni che ha subito l’istituto prefettizio appaiono significative quelle relative alle interlocuzioni esterne, alle interrelazioni con la società civile.

Il Prefetto ha storicamente rappresentato un riferimento sul territorio e la sua funzione di rappresentante dello Stato ha assunto nel tempo modalità diverse agli occhi degli interlocutori esterni.

In epoca di spiccata autonomia locale, i Prefetti sono stati contestati appunto come se rappresentassero un argine, una presenza frenante alla affermazione delle autonomie locali e per questo motivo si è chiesto da più parti la soppressione dell’istituto prefettizio.

Senza che fosse chiaro chi dovesse subentrarne nelle competenze(le Regioni? Le Province? Entrambi? In parte anche i Comuni?).

Ciò mentre le competenze prefettizie progressivamente aumentavano e il Prefetto veniva chiamato a fronteggiare le emergenze che si abbattevano sul Paese e assumeva ruoli sempre più diversificati, dovendo necessariamente assumere una mentalità più aperta e meno burocratica.

Una nuova cultura, meno protocollare e più legata al conseguimento dei risultati e alla risoluzione delle criticità che via via si appalesavano.

Nonché, va soggiunto, a fornire soluzioni alle sempre più pressanti e complesse istanze della società civile che manifestava una crescente esigenza di confronto con l’Autorità di riferimento sul territorio.

Sono così via via divenuti sempre più frequenti i tavoli prefettizi ai quali partecipavano rappresentanti locali, istituzionali e non, chiamati a fornire una collaborazione per trovare, insieme, soluzioni a specifiche criticità.

In questi contesti e in queste interrelazioni sono maturati dei cambiamenti importanti nei ruoli dei diversi partecipanti e in particolare in quello del Prefetto.

Anni fa, prima della prepotente affermazione delle autonomie locali, si riteneva che il Prefetto presiedesse quei tavoli in virtù di una propria superiorità gerarchica sulle realtà istituzionali partecipanti.

Successivamente, nel doveroso riconoscimento del rilievo assegnato dal legislatore alle autonomie locali, si è parlato più opportunamente di un ruolo di coordinamento del Prefetto, rispettoso di quelle autonomie e riconosciuto in virtù della sua terzietà e della sua capacità di fornire a quei tavoli delle linee di indirizzo.

L’evoluzione verso forme di partecipazione diverse e più incisive è stata lenta e la capacità dei Prefetti di svolgere quella funzione ne ha affermato un diverso modo di presiedere tavoli sempre più frequenti e ampliati, ai quali iniziavano a partecipare anche diversificate rappresentanze del mondo del volontariato, delle quali si apprezzava spesso il contributo fornito in virtù del loro impegno civile e delle loro competenze specialistiche.

Queste più ampie sinergie hanno consentito a questi tavoli di raggiungere dei risultati importanti e, nel confermare una capacità di indirizzo dei Prefetti in un’attività di coordinamento sempre più leggera, ma al contempo illuminata, sono progressivamente cambiati, sviluppando sinergie sempre più agili e innovative.

L’autorevolezza del Prefetto in un contesto ampio ed estremamente fluido ha rappresentato un valore che è stato percepito e apprezzato, anche se intuitivamente, e spesso collegato alle capacità di intervento e di dialogo del singolo Prefetto, riconosciuto utile alla causa, anche a prescindere dal suo status istituzionale.

Ma nella indeterminatezza dei ruoli, favorita anche da un intervento non casualmente limitato in materia del legislatore, si è affermata una prima e non canonizzata percezione valoriale.

E l’evoluzione delle predette attività, sempre più partecipate da espressioni diverse della società civile, ha via via portato ad affermare con maggiore evidenza che l’elemento valoriale veniva a costituire il vero presupposto di quelle collaborazioni, laddove si prendeva coscienza che i fini istituzionali perseguiti dal rappresentante del Governo venivano in più casi a identificarsi con quelli identificativi di quelle rappresentanze locali.

Non vi è dubbio che questa nuova consapevolezza ci chiami a essere un riferimento oltre che operativo anche etico, anche perché le più ampie sinergie che si intendono attivare con un numero crescente di partner non possono che fondarsi su una condivisione di valori e di obiettivi.

Non vi è dubbio che siamo in grado di portare a quei tavoli un contributo di competenza, credibilità, capacità di visione che possono orientare le scelte, più settoriali, dei nostri interlocutori, che vedranno rivalutare le loro attività nell’ambito di un più organico progetto istituzionale, acquisendo consapevolezza di fare parte di una squadra tanto variegata quanto coesa.

E la questione etica ritengo sia centrale e unificante: credo che vada oltre una semplice tensione verso una legalità dell’agire, in quanto il legislatore in particolare in contesti di frontiera appare, anche agli operatori più generosi ed onesti, distante e a volte incomprensibile in alcune scelte e disposizioni.

Mentre invece è sempre avvertita una volontà di giustizia e già il coniugare il richiamo alla legalità a questa atavica esigenza appare un risultato straordinario che riunisce attorno al rappresentante istituzionale gli aneliti e le espressioni migliori della realtà locale, che vede nel riconoscimento delle proprie attività e finalità un segnale di profonda vicinanza e condivisione delle Istituzioni.

Condivisione valoriale che compatta la squadra attorno al Prefetto, superando le distanze che spesso hanno compromesso dialoghi e collaborazioni vitali.

E il passaggio dal semplice richiamo a una legalità spesso percepita quale astratta e distante a il fare insieme quanto si ritiene giusto e socialmente utile sembra giustificare ogni sacrificio e iniziativa anche incerta negli esiti.

Ritengo che sia importante riconoscere anche formalmente, a delle realtà che hanno finalità identificative di rilievo istituzionale, in quanto coincidono con quelle finalità, che il loro ruolo è quello di partner istituzionali, di interlocutori importanti.

Questo riconoscimento ne accresce il prestigio e l’autostima e la non episodica frequentazione dei tavoli prefettizi ne amplia gli orizzonti, ne alimenta la convinzione, consente interrelazioni con altre realtà che perseguono analoghe finalità.

Un coordinamento etico è dunque alimentato dalla condivisione di valori e rafforza fortemente dei rapporti fondati non più su dei coordinamenti meramente operativi ma, nel rispetto dell’autonomia di tutti, su una consapevolezza molto più profonda, che riavvicina le Istituzioni alle migliori espressioni della società civile.