di Maurizio Guaitoli

Cittadini d’Europa?

Senza una definizione esaustiva e condivisa di “identità” comune all’interno dell’attuale Unione Europea(Ue, dai confini fluidi e indefiniti grazie alle sue pratiche poco ragionate di “allargamento” dogmatico all’Est come all’Ovest), come si fa in teoria a battersi e sacrificare la propria vita per difenderne i valori sacri e irrinunciabili?

Perché una cosa è certa: il termine “patriota” implica l’esistenza di una Nazione comune, di cui si condivide la storia, le tradizioni e l’idea di libertà così come le hanno storicamente forgiate le generazioni che sono vissute sul suo suolo. E qui insorge il primo fattore di anonimia per l’assenza di un Territorio e di una Lingua comune, espulsi dai sacri testi dei Trattati europei.

Il primo, è costantemente aggirato e sostituito dal termine neutro e a-sentimentale di “Area”, con cui si indica una giustapposizione non di rado interdipendente tra sfere funzionali alle quali corrispondono differenti tipologie di integrazione, coincidenti con aree segmentate e geometricamente variabili. Alcuni esempi: il Mercato interno(a 27 Paesi, dopo la Brexit); la Zona Euro a 19 membri; l’Area Schengen cui aderiscono 22 Stati più altri quattro associati(Islanda; Liechtenstein, Norvegia, Svizzera). Questa circonvoluzione crea un problema complesso di norme legali e soprattutto di “leggibilità”, che a sua volta pone il problema della comune legittimazione politica da parte di mezzo miliardo di europei.

La Nazione rappresenta un vitale concetto strutturale e strutturante nell’immaginario politico. Occorre quindi individuare sulla sua falsariga quali siano i pilastri valoriali fondamentali dell’“essere europeo”. Due sono i migliori candidati in questa ricerca di unità: la secolarizzazione e la libertà religiosa, anche se i due concetti si articolano variamente all’interno dei singoli ordinamenti degli Stati membri e solo la Francia ha incluso nella sua Costituzione la prima. Montesquieu diceva che l’Europa era una “Nazione composta da una pluralità di Stati”. E anche oggi continua a esistere una insopprimibile dualità tra l’esistenza di una cultura comune europea e la compresenza di una frammentazione politica al suo interno. Ragion per cui appare inevitabile assegnare una natura intermedia alla identità europea accettando l’idea che, dal punto di vista economico e umano, l’Europa sia parte di un tutto globalizzato ma resti suddivisa al suo interno in Stati-nazione che conservano le loro identità specifiche. Una identità, dunque, che deve ricercare il suo sentiero stretto a metà strada tra il global e il local, attraverso la tecnica della diluizione e della auto-restrizione per evitare in tutti i modi un confronto brutale tra l’interdipendenza mondiale e un cieco, xenofobico e sterile isolamento.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, l’assenza di una lingua comune, Timothy Garton Ash osserva che “non c’è Bruxelles al centro del problema democratico in Europa, ma la questione di Babele!”. Secondo Ash, il deficit di identità si risolve adottando una strategia finalizzata a dotare i suoi cittadini di solidi punti di riferimento nel tempo e nello spazio, dando il massimo risalto all’insegnamento della Storia europea. Ma questo non significa “rimpiazzare la narrativa nazionale, che rimane vitale nell’educazione delle giovani generazioni”, bensì complementandola con un’altra a carattere esclusivo europeo che fornisca alla sua gioventù l’insegnamento di come ogni fenomeno storico nazionale sia da collegare in primo luogo all’esistenza stessa dell’Europa. “Gli europei debbono poter apprendere i luoghi condivisi della memoria comune e le gesta degli eroi, senza mai tacere sulle questioni che hanno stravolto la convivenza continentale e sui crimini commessi in passato, perché non si costruisce nulla di buono sulla menzogna. Solo lavorando sulla base della memoria condivisa dei nostri peccati potrà emergere una comune volontà per costruire un futuro migliore”. Sarebbe il caso di pensarci su…

 

Francis Fukuyama, nel suo ultimo saggio Identity: The Demand for Dignity and the Politics of Resentment, opera una analisi in profondità della questione identitaria in Occidente, che attiene innanzitutto a una richiesta di rispetto della dignità umana la cui violazione comporta la deriva verso una politica del risentimento, con la conseguente rinascita dei nazionalismi e dei sovranismi. Da qui, origina una regressione della capacità di penetrazione della democrazia rappresentativa. Dagli anni ‘70 fino alla prima decade di questo secolo, il numero delle democrazie elettorali è passato da trentacinque a più di centodieci. Nello stesso periodo, la produzione mondiale di beni e servizi è quadruplicata e la crescita economica si è virtualmente estesa a ogni regione del mondo. Allo stesso modo si è drasticamente ridotto in proporzione il numero delle persone che vivono in povertà estrema, passando dal 42% della popolazione globale del 1993 al 18% nel 2008. Ma non tutti hanno tratto identici benefici da questi cambiamenti. In molti Paesi democratici occidentali le disuguaglianze di reddito sono drammaticamente aumentate, dato che le ricadute della crescita sono andate massimamente a vantaggio delle classi più abbienti e istruite. Globalizzazione e robotizzazione hanno fatto il resto, come ben sappiamo, delocalizzando le produzioni e gli impianti produttivi dall’Europa e dall’America verso l’Asia e creando disoccupazione di massa nelle classi produttive medio basse, come quelle che si sono trovate senza più lavoro nella Rust Belt americana.

Ma è stata la crisi finanziaria del 2008 a fare emergere la rottura definitiva tra élite e popolo, in cui la prima porta la responsabilità oggettiva della recessione a livello mondiale, con disoccupazione elevata e forte contrazione dei redditi per molti milioni di lavoratori ordinari. Tutto ciò ha comportato una crisi di sistema e di sfiducia nella democrazia in molte aree del mondo, lasciando spazio a sistemi molto più autoritari, tra cui risaltano quelli di Cina e Russia. Putin, Xi ed Erdogan sono dei sovrani a tempo indeterminato e possono sostenere strategie a medio-lungo periodo, avendo il controllo capillare delle loro opinioni pubbliche interne. Le democrazie occidentali possono reggere il confronto se, e solo se, un Deep State efficiente e risoluto sia in grado di fare la stessa cosa, operando da ponte e da supplenza a leadership sempre transeunti costrette ad affrontare confronti elettorali a distanza ravvicinata, circostanza quest’ultima che provoca una progressiva frammentazione e paralisi decisionale, suddividendo in mille rivoli il flusso di ricchezza nazionale derivante dalla fiscalità centrale. Per di più, la Ue soffre la mancanza sia di una leadership stabile sui tempi medio lunghi, sia di un lender of the last resort per quanto riguarda la sua politica monetaria.

Tuttavia, osserva Fukuyama, la politica attuale nelle democrazie avanzate si concentra molto più sulle questioni identitarie e, assai meno, sugli aspetti ideologici ed economici. Questo è il risultato delle scelte fatte dalla sinistra mondiale del politically correct che si è interessata quasi esclusivamente della difesa dei diritti civili di minoranze etniche, immigrati e rifugiati, donne e persone Lgbt, piuttosto che alla tutela e al mantenimento del benessere delle classi produttive e operaie. Prima, invece, la sinistra marxista storica del XX sec. aveva dalla sua il “Soggetto”(la classe operaia) ma non il Potere: quella odierna invece ha avuto accesso al Potere ma ha perduto il Soggetto. La destra, invece, ha riguadagnato terreno riposizionandosi sulla difesa patriottica dei valori nazionali e identitari, spesso in riferimento ad aspetti etnici, razziali e religiosi. Così, a causa dell’impoverimento progressivo di ampie fasce della popolazione, un po’ ovunque nel mondo occidentale some emersi leader politici che, sul tema del ripristino della dignità umana umiliata, hanno mobilitato milioni di follower attraverso l’uso strumentale e diretto dei social che ha cortocircuitato il legame tra leader e popolo, bypassando in un colpo solo i tempi lunghi e gli innumerevoli passaggi intermedi della democrazia rappresentativa, disintermediando definitivamente il confronto con le parti sociali.

Ma da dove deriva questa possente spinta identitaria intrinseca e irrinunciabile della natura umana?

Lasciamo la parola a Fukuyama: “(…) Le società democratiche si stanno vieppiù fratturando in segmenti identitari sempre più ristretti, creando così un serio pregiudizio alla possibilità di deliberare e di concepire un’azione collettiva condivisa dalla società intera. Questa strada conduce al meltdown istituzionale e al fallimento dello Stato. Se tali società democratiche non saranno capaci di tornare indietro riscoprendo il valore universale della dignità umana, allora condurranno inevitabilmente se stesse e il mondo intero al conflitto. Bisogna riscoprire quella che io definisco la ‘Terza parte dell’Anima’. La maggior parte degli economisti assume che gli esseri umani sono motivati dal desiderio di possedere beni e risorse materiali, senza tenere in alcun conto questa pressante richiesta di dignità. Socrate credeva che questo bisogno formasse una ‘terza parte’ autonoma e autoreferenziale dell’animo umano, che coesisteva con una ‘parte del desiderio’(desiring part) e una parte razionale(calculating part). Nella Repubblica di Platone il concetto corrispondeva al ‘thymos’ che in politica si esprime in due forme. La prima è quella che io chiamo ‘megalothymia’, ovvero il desiderio di essere riconosciuto come superiore. Le società pre-democratiche si fondavano sul criterio gerarchico e credevano nell’intrinseca superiorità di determinate classi sociali(nobili, aristocratici, regnanti), indispensabili per il mantenimento dell’ordine sociale. Il problema connesso alla megalothymia è che a fronte di un soggetto riconosciuto come superiore ne esistono molti altri percepiti come inferiori che non ricevono alcun tributo come esseri umani. Con la conseguenza che in tutti costoro si origina un forte risentimento per il fatto di non essere rispettati, che io chiamo ‘isothymia’, per cui le persone desiderano essere considerate tutte ugualmente degne. La nascita delle moderne democrazie è la storia del trionfo della isothymia nei confronti della megalothymia le società per cui solo a pochi erano riconosciuti tutti i privilegi sono stati sostituite da altre in cui tutti hanno uguali diritti. (…)”.

E come si arriva a oggi, cioè alla rinascita cioè dei nazionalismi e dei sovranismi?

Alla prossima puntata!