di Antonio Corona

Chi è più forte del vigile urbano?
Ferma i tram con una mano.
Con un dito, calmo e sereno,
tiene indietro un autotreno:
cento motori scalpitanti
li mette a cuccia alzando i guanti.
Sempre in croce in mezzo al baccano
chi è più paziente del vigile urbano?

L’autore, Gianni Rodari.
La raccolta, Filastrocche in cielo e in terra.
L’editore, Einaudi.
L’anno, il 1960.

Che ne è stato di quel vigile urbano?

Scorre nella mente la scena del film(di cui ci si rammarica di non rammentare purtroppo il titolo) nella quale, al conduttore televisivo che lo interpellava sulla fine che avesse fatto quel medico condotto che, stoicamente, sfidando e nonostante ogni intemperia, si recava diligentemente nelle abitazioni dei suoi pazienti, un cinico Walter Matthau rispondeva serafico: “Sarà morto di stenti!”.

Si augura ovviamente miglior sorte al vigile urbano, ghisa milanese, pizzardone romano.

Ma oggi, nei suoi panni, chissà in quanti si affiderebbero alla… mano, se non persino al solo dito, per disciplinare tram e autotreni.

In definitiva, cosa rappresenta il vigile urbano di Rodari?

Con linguaggio adatto (non solo) ai più piccoli, la esemplificazione del concetto di autorità in quanto tale, resa immediatamente riconoscibile, in questo caso, per il tramite di una semplice divisa di stoffa, a prescindere dalla persona che la indossi.

“Che fine abbia fatto”, dovrebbe allora riguardare non il singolo tutore dell’ordine, bensì il fondamento del ruolo da egli stesso assolto.

Ne è passata di acqua sotto i ponti, da quel lontano 1960.

Nel frattempo, uno dei “capolavori” del sopravvenuto, imperante sentire, è consistito nella sostituzione del principio di autorità con la qualità della autorevolezza, liquidando il primo come antica chincaglieria del più bieco autoritarismo.

Come stupirsi, dunque, che in piena pandemia da covid-19, al grido di “Libertà! Libertà!”, sia stato (e sia tuttora) da alcuni ritenuto lecito contravvenire a disposizioni ove impartite da soggetti, sebbene giuridicamente titolati e a ciò preposti, ritenuti non… autorevoli?

E che vogliamo stare a competere con influencer ed esperti auto-referenziati che scorrazzano su internet?

Si sarà forse compreso male.

Probabilmente però non aiuta nemmeno che un altissimo esponente del corrente Esecutivo abbia di recente ipotizzato che, quando risulterà disponibile, il vaccino anti-covid non sarà reso obbligatorio…

Viene da domandarsi: per non allarmare, per non dare l’impressione – meglio, per non suscitare la “percezione”, così tanto in voga – che qualcuno possa “arrogarsi”, benché legittimato, la potestà di stabilire qualcosa, per quanto in nome della salute di tutti?

A proposito di novelle “correnti” di pensiero.

Chi si rechi in chiesa, avrà notato come, nelle omelie, stia progressivamente prendendo piede la “amicizia” nutrita da Dio verso il genere umano.

“Amicizia”?

Ma, Dio, non era/è Padre?

Come dice quella preghiera con la quale gli ci si rivolge… ah, sì: Padre nostro?

“Embè?”, qualcuno potrà replicare, “In ossequio al politically-correct, perché poi Padre e non piuttosto Madre, se non tutti e due?”.

Tornando al punto ed evitando di rimanere impastoiati in dispute di ordine teologico: i genitori non sono d’altronde “amici” dei figli?

Beninteso, genitore1 e genitore2, che papà e mamma suonano talmente così démodé

E quelli che senza averne titolo approdano alle coste nostrane o eludono le frontiere terrestri?

In principio clandestini, quindi ribattezzati indiscriminatamente richiedenti asilo, poi ancora genericamente migranti.

Di solito “economici” ma, secondo una certa narrazione, equiparabili, senza se e senza ma, ai fuggitivi da guerre e persecuzioni.

A ogni mutamento di maggioranza, cambia la politica della immigrazione, terreno di continuo scontro.

E dire che, a parole, sembrino tutti d’accordo.

“Chi ha diritto, rimane; chi ne sia privo, fuori”.

A scanso di… equivoci, per evitare respingimenti alla frontiera nella eventualità di intercettazione, la richiesta di status di rifugiato viene intanto sovente utilizzata come un grimaldello.

E pazienza se sia inventata di sana pianta e se un giorno sarà respinta: quanti saranno in effetti i conseguenti rimpatri?

Il gioco vale pur sempre la candela.

La politica della immigrazione, presupposto della quale è il governo dei flussi in entrata (e in uscita), sembra ormai quasi risolversi nella sola gestione, e correlata accoglienza, di migranti.

I cui arrivi, non da ora, avvengono secondo tempi scanditi da criminali mercanti di persone senza scrupoli che, per i loro sordidi scopi, non esitano a lucrare sugli altrui sentimenti e principî, nonché da OO.n.gg., con natanti a incrociare sui mari, neanche fossero galeoni di trascorse epoche con la Jolly Roger a garrire al vento, alla continua ricerca di prossimi naufraghi da imbarcare.

Emergenza.

Tecnicamente, una emergenza andrebbe ritenuta conclusa solamente alla individuazione e messa concretamente in opera di idonee soluzioni a regime.

In questo nostro straordinario Paese, l’emergenza finisce invece sovente, semplicemente o… pragmaticamente, con l’essere così considerata pure ogniqualvolta divenga cronica.

L’emergenza cronica assurge così a normalità.

Scaricata in massima parte, in materia di immigrazione, sulle spalle, per quanto larghe e robuste, dell’inquilino di turno del Ministero dell’Interno e delle sue diramazioni, centrali e periferiche, con i prefetti, organi a competenza generale, candidati a tramutarsi in organi… a emergenza generale.

Gli ingressi attuali sono in numero assolutamente inferiore, è vero, a quello di qualche tempo fa.

Vanno tuttavia a impattare sulle decine di migliaia di istanti tuttora allocati nelle strutture straordinarie(toh?!?) di ospitalità(CC.A.S.), non di rado in overbooking.

In determinati settori(immigrazione, esteri, difesa, ecc.), non dovrebbe prevalere una politica condivisa che per esempio, per quanto qui di interesse, scongiuri stravolgimenti nella amministrazione del fenomeno a ogni cambio di maggioranza?

Chissà se il centrodestra avesse offerto una solida sponda all’indirizzo, invero originale, a suo tempo impresso, sull’immigrazione, dal democratico Marco Minniti nel periodo di permanenza al Viminale…

Chissà se, all’indomani delle “politiche” del 2006, vinte per appena una manciata di voti, piuttosto che arroccarsi nel suo schieramento, Romano Prodi si fosse proposto a guidare una Grosse Koalition a tinta bianco-rosso-verde…