di Mariano Scapolatello

Ipotesi.

Le ultime, travagliate, elezioni americane hanno posto alla attenzione del dibattito pubblico d’oltreoceano la ri-discussione della Goldwater rule, finora intoccata dal 1973.

Era successo, durante la campagna elettorale del 1964, che la rivista Fact Magazine avesse pubblicato gli esiti di un sondaggio inviato a migliaia di psichiatri sul rivale di Lyndon Johnson, Barry Goldwater, ritenuto mentalmente instabile e dunque inadatto al ruolo di guida della Superpotenza americana.

L’operazione fu utile a far perdere le elezioni a Goldwater, ma non così deontologicamente corretta da risparmiare alla rivista una esosa condanna giudiziaria.

Da quel momento, l’American psychiatric association introdusse la regola in base alla quale uno psichiatra non può esprimere un parere professionale su un soggetto, senza averne effettuato un esame personale.

Negli ultimi mesi, dal fronte dei sostenitori di Trump, Biden è stato dipinto come un candidato affetto da demenza senile; d’altra parte, più di qualche voce si è levata – tra coloro che hanno avuto occasioni di vicinanza con il presidente uscente – per denunciarne atteggiamenti sintomatici di gravi disturbi della personalità.

John Gartner, psicoterapeuta – già docente alla John Hopkins University Medical School – ha promosso una campagna, in chiave anti-Trump, per la riabilitazione di “forme pubbliche” di diagnosi psichiatriche nei confronti di personaggi incaricati di responsabilità politiche.

Tali giudizi, se resi da esperti, pure sarebbero deontologicamente esigibili, in ragione dell’obbligo gravante sugli psichiatri di avvertire la società dei pericoli che un soggetto affetto da disturbi psichici è in grado di procurarle.

E, nel caso in cui il soggetto fosse il Presidente degli Stati Uniti d’America, è superfluo specificare il nocumento incontro al quale andrebbe la società, non solo statunitense.

Sostiene Gartner che, al giorno d’oggi, tante e tali possono essere le evidenze pubbliche di un disturbo comportamentale(si pensi alle esternazioni via Twitter), che la regola Goldwater abbia fatto il suo tempo.

Tesi.

Se la più orgogliosa democrazia del mondo (chi scrive chiede l’indulgenza del lettore per non essere, il primo, sicuro del significato della ripetutissima definizione di “più grande democrazia del mondo”) si sta interrogando sulla contemperabilità del principio elettivo con criteri di idoneità psicoattitudinale del candidato, per finalità di tutela della società, è forse giunta l’ora di tradurre il dibattito in questione nel continente degli apparati burocratici.

La tesi a favore del controllo di idoneità psichica dei personaggi di governo contempla e valorizza le innumerevoli implicazioni del potere e i relativi riflessi sulla comunità(ad es., si paventano i rischi innescabili da un soggetto affetto da disturbi psichici in scenari relativi alla minaccia di un conflitto nucleare, all’istigazione di azioni violente dei propri seguaci contro gli oppositori, alla strumentalizzazione delle fake news attraverso i social network a sostegno di argomenti elettorali o di tesi politiche).

Orbene.

Se, da un lato, il governare ha implicazioni così delicate da fare sollecitare un vaglio psicoattitudinale di chi vi ambisca, dall’altro è difficile immaginare che tale filtro tecnico potrà essere ritenuto compatibile con la libertà nella scelta del governato al momento delle elezioni e la libertà nel fine del governante al momento dell’agere politico: that’s democracy, baby!

Ciò che pare sfuggire alla attenzione mediatica, che quindi non sollecita con la stessa urgenza una necessità di riforma dei criteri di reclutamento, è che la funzione di governo si esercita per il mezzo degli apparati burocratici.

I pubblici funzionari, anche se non deputati a decidere il se del lancio di un missile nucleare, sono innanzitutto i gangli di tutti i come dell’esercizio del potere politico; ma sono anche titolari di rilevantissimi poteri, più e meno discrezionali, in grado di incidere sui singoli o sulle comunità al servizio delle quali sono chiamati ad operare.

Sintesi.

Forse che i moduli sempre più partecipativi del procedimento amministrativo, la trasparenza sempre più imposta alle amministrazioni, la sindacabilità multilivello e multiprofilo degli atti e delle azioni non consentano di rilevare eventuali disturbi comportamentali o inidoneità psicoattitudinali dei funzionari pubblici?

Forse che un dirigente generale, al quale i nostri tempi impongono tempestività nella decisione ed efficacia nella comunicazione pubblica, non è sottoposto al giudizio di idoneità alla funzione da parte di qualificati stakeholder, estranei all’amministrazione?

E, dunque, non sarebbe più economico e sicuro per l’amministrazione affidare al momento del reclutamento, piuttosto che a controlli esterni e successivi, un vaglio di idoneità psicoattitudinale al ruolo?

Quand’anche si ritenga che il concorso pubblico debba continuare a richiedere ai candidati saggio di sempre più sofisticate conoscenze di diritto purissimo, sgorgante da sentenze di supreme corti nazionali e sovranazionali, l’introduzione della prova psicoattitudinale nell’ambito del procedimento di selezione si impone quantomeno come esigenza di contemporaneità.

Il mondo del lavoro privato (e dunque dell’economia) non avrà un interlocutore pubblico al suo stesso passo, finché quest’ultimo non avrà attraversato skill assessment utili a individuarlo come soggetto adatto al ruolo.

Conclusioni.

Non il principio democratico-elettivo(a tratti ontologicamente in antitesi con l’in sé della burocrazia), né lo snobismo di certi giuristi verso le scienze della psiche(considerate – per clamorose lacune multidisciplinari degli stessi – non oggettive) offrono validi argomenti per impedire l’introduzione generalizzata di un filtro psicoattitudinale nelle selezioni dei pubblici funzionari.

Nel 1863, bisognava potersi permettere di andare a teatro per conoscere Le miserie ‘d Monsù Travet.

Nel 2020, basta avere uno smartphone per apprendere della denuncia di un cittadino qualunque o per visualizzare la gaffe del personaggio pubblico di turno.

Vi sentite ancora protetti dalla regola Goldwater?