di Maurizio Guaitoli

Esopo 2021, e la nuova fiaba dello scorpione(rosso) e della rana(gialla).

La parabola del grillismo non è di certo una storia per bambini, ma forse nemmeno per grandicelli. Se davvero il Lupo Salvini si è calato la cuffietta della nonna sulla fronte pelosa(copyright Francesco Merlo), per poi mettere a tavola un magro piatto di grilli, sarebbe fare un gran torto alla sua intelligenza e a quelli che l’hanno plebiscitato con più di nove milioni di voti(34,3% su base nazionale, calcolato con il proporzionale puro!) alle elezioni europee del 2019. Non ci voleva l’eminenza grigia di Giancarlo Giorgetti per capire che molti di quei voti non chiedevano meno Europa ma, semmai, l’esatto contrario. Mancava solo l’occasione buona per dirlo, facendo un u-turn(virata a 180°) epocale, affidando la rischiosissima manovra nelle mani di un timoniere abile come l’attuale Presidente del Consiglio incaricato. Le anime belle urlanti nel deserto della conoscenza e dell’onestà(che è come la Bella di Siviglia, ognun l’ama ma nessuno se la piglia…) hanno dimenticato che, essendo un voto una testa, è verosimile che le teste, messe dentro un enorme calderone con la stessa etichetta, continuino a pensare in modo diverso tra di loro.

Meglio quindi precisare il problema.

Se, oggi, al mercato dei sondaggi(cibo per i talk e sabbia negli occhi per i suoi spettatori) la Lega di Salvini vale circa dieci punti percentuali in meno rispetto ai risultati veri del 2019, una ragione profonda ci dovrà pur essere, fatta la tara per il mantra dell’immigrazione. Poiché, infatti, sempre alle europee del 2019, secondo un sacrosanto principio dei vasi comunicanti, il M5S era sceso di circa sedici punti percentuali, un ragionamento più oggettivo porterebbe a concludere che gran parte della spinta sovran-populista avesse abbandonato un Movimento diventato fin troppo governativo(tanto da indossare di lì a poco, secondo i suoi detrattori, il doppiopetto giudaico, inamidato di fresco, della Maggioranza Ursula), favorendo il concorrente più affine e combattivo, sotto questo punto di vista, come la Lega. Quest’ultima, del resto, era il riferimento, il porto sicuro di approdo(una sorta di Cavallo di Troia fatto scivolare nottetempo nel recinto della Fortress Europe) dei principali leader mondiali del sovranismo, come Vladimir Putin e Donald Trump.

Delegittimati l’uno e l’altro, per colpe esclusivamente di questi ultimi; caduto il pilastro demagogico dell’Europa matrigna, a causa delle gigantesche risorse messe a disposizione da Bruxelles a beneficio dei Paesi mediterranei maggiormente colpiti dalla devastante crisi pandemica(uguale per tutti e, perciò, senza più responsabilità politiche da fustigare e condannare all’Austerity), la Lega si è trovata disarcionata e mutilata dai suoi argomenti privilegiati dell’antieuropeismo puro e duro. Tanto più che, con l’ultimo governo giallorosso, la metà di sinistra della testa originaria del Movimento si è definitivamente distaccata dalla sua gemella antagonista di destra, dopo che le due erano state temporaneamente messe assieme dall’addensante della protesta antisistema, in corrispondenza delle elezioni del 2013(dove in streaming venne messo alla gogna il povero Pierluigi Bersani) e del 2018, quando Matteo Renzi gridò: “Grillo esci da questo blog!”.

Quelli tra elettori e iscritti rimasti ancora nel Movimento si sono poi ulteriormente divisi tra puristi della prima ora e governisti a tutti i costi. L’ultima conta su Draghi li ha ripartiti quasi a pari merito, il che porterebbe alla seguente morale della favola dello scorpione rosso che cavalca la grassa e grossa rana gialla: una futura alleanza elettorale con il Pd di ciò che resta del Movimento dovrebbe apportare, in numeri bruti, un valore aggiunto dell’8%(che può arrivare massimo al 15%, qualora Giuseppe Conte ne dovesse essere l’alfiere), mentre la parte nostalgica prima maniera, che vale uno scarso 6%, si ricompatterebbe dietro il Alessandro Di Battista, che potrebbe contare sui dissidenti Gianluigi Paragone, Elio Lannutti e Barbara Lezzi.

La Lega salviniana ha fatto, dunque, Ribaltone o si è semplicemente ribaltata?

Fatti quattro rapidi conti nell’immediato, a partire dalla comunicazione della lista dei ministri del Governo Draghi, due cose emergono con grandissima evidenza: la lista sembra aver messo assieme il diavolo con l’acqua santa.

Nitroglicerina pura? O un semplice ring dove tutti se le suoneranno di santa ragione, dando di se stessi l’edificante spettacolo as usual, mentre il Manovratore sistemerà dietro le quinte tutti i grandi affari che contano?

Non c’è ragione di supporre il contrario, in effetti. Mentre tutti straparlano del bilancino con cui sono stati distribuiti i posti ministeriali tra dicasteri con o senza portafoglio, soprattutto per la parte politica consociativa, emerge (come notato da più parti) un’assenza clamorosa: il Ministero senza portafoglio degli Affari Europei.

Questo vuol dire che sarà proprio Mario Draghi in prima persona a occuparsi delle cose più importanti, con il supporto di alcuni supertecnici nei Ministeri chiave, quali: la predisposizione del Recovery plan italiano e la successiva gestione dei fondi del Next generation Eu; il rapporto con Bruxelles e Francoforte(Commissione e Bce) e con l’Amministrazione di Joe Biden e il suo Ministro del Tesoro Usa, Janet Yellen. E Mario Draghi all’interno del G20, di cui è il Presidente di turno, farà valere tutto il suo carisma per impostare le politiche mondiali di recovery post-pandemia, pari a decine di migliaia di miliardi di dollari di investimenti!

Dove tira il vento, dunque?

Se parliamo della politica attuale, allora il Föhn spira forte da tutte le possibili direzioni seguendo la Stella dei Venti, in assenza di un punto fisso.

E dove si colloca il suo gradiente(luogo fisico in cui si forma il vortice) all’interno di questo ampio schieramento parlamentare, quasi da Arco Costituzionale come ai bei tempi dell’emergenza provocata dall’Attacco al cuore dello Stato del terrorismo rossonero?

L’allegoria che meglio si presta a descrive il Governo che ha appena giurato è l’Ottovolante, dove in certi tratti si viaggia a velocità rapidissima e a testa in giù. Vento impetuoso; rapidi e improvvisi cambi di direzione; capovolte e capriole: questa e non altra sarà la navigazione che attende al varco il Governo di Mario Draghi(Draghi-I, in sintesi). Alle macchine di questa barca consociativa nuova di zecca ci saranno, scelti dal Capitano timoniere, grandi esperti tecnici ed economico-finanziari chiamati a operare al pari di una falange macedone, ottimizzando l’impiego e l’utilizzo del money-fuel che, nel corso dei prossimi cinque anni, l’Unione Europea garantirà alla Nave-Italia per uscire rapidamente dal mare in tempesta della recessione economica post-pandemica, e dall’enorme debito pubblico improduttivo accumulato nell’ultimo anno di ristori e sussidi a sostegno di un’economia al collasso.

Metaforicamente, Board e Timoniere, però, debbono fare affidamento su di un equipaggio di mercenari che stanno assieme per vil denaro(= voti!) e che hanno tutto l’interesse ad averne sempre di più, partecipando attivamente alla spartizione dei fondi del Recovery Fund. Così, la ribellione eventuale ed episodica di questa ciurma composita può imporre alla tolda di comando la necessità improvvisa del “macchina indietro tutta”, a causa di insanabili contrapposizioni ideologiche, quando ci si approssimerà alle Scilla e Cariddi delle riforme fiscali e della Giustizia, delle politiche immigratorie, dell’efficientizzazione della P.A., che sono prioritarie e pregiudiziali per la “messa a terra” delle risorse finanziarie straordinarie del Recovery. Se ci fossero già i… pieni poteri, allora si potrebbe invocare, in materia di semplificazioni delle procedure amministrative, una legislazione parallela speciale, in cui si dica (soprattutto in materia di appalti di grandi lavori pubblici) soltanto che cosa è vietato fare, riallacciandosi esclusivamente alla regolamentazione europea del settore. E sempre in questa ipotesi ideale, la riforma del sistema-giustizia potrebbe avvalersi dell’attuale consociativismo parlamentare, per varare in soli sei mesi e a maggioranza qualificata le modifiche costituzionali necessarie. In tal senso, esiste il precedente illustre del Governo Monti, quando nel 2012 ottenne dal Parlamento, in tempi strettissimi, di introdurre il Pareggio di bilancio in Costituzione, facendolo passare con la maggioranza assoluta dei due terzi, in modo che non fosse possibile sottoporlo a referendum confermativo. Il problema è che il trenino che viaggia a gran velocità sull’Ottovolante deve decidere in corsa, facendo bene e presto, riforme che per trent’anni sono rimaste al palo, grazie ai veti incrociati e agli interessi contrapposti dei suoi passeggeri, sempre litigiosissimi e quasi-nemici, che hanno acquistato l’ultimo biglietto utile per un altro… giro di giostra.

Poi, ci sono le complicazioni di un tracciato da cardiopalma dell’Ottovolante, che hanno un nome e un cognome. Primo tra tutti è quello di Giuseppe Conte, l’ex Premier venuto dal nulla che resta sulla scena politica come un Fantasma dell’Opera, sotto le mentite spoglie di un intergruppo parlamentare M5S-Pd-Leu che ne fa rivivere l’ombra e il profilo, proiettandolo anzitempo sulle future, possibili alleanze elettorali, ben sapendo che il tanto deprecato bipolarismo centrodestra-centrosinistra riprende vento nelle sue vele, ammainate proprio dalla spinta antisistema di M5S, Lega e Fratelli d’Italia, poi annientata dall’ossimoro di una anti-leadership costretta a farsi leadership per governare! D’altra parte, si tratta di un Conte-bifronte, perché tutto giocato sulla possibilità di integrarne il carisma all’interno dell’attuale Parlamento, candidandolo nel collegio senese del piddino dimissionario Pier Carlo Padoan(superando le proteste dei puristi toscani), in modo che l’intergruppo informale si trasformi in un vero e proprio gruppo contiano; ovvero, e questa è l’altra possibilità, di farne un alter ego del Garante Beppe Grillo, nominandolo a Portavoce politico del Movimento e, quindi, candidato-Premier nella prossima Legislatura.

Ma, nel frattempo che la nave navighi e il trenino abbia già iniziato a fare le giravolte su se stesso, è scontato che si accentuino nei prossimi mesi quei tratti istrionici che spingono a una rappresentazione in grande stile della famosa coreografia borbonica di “Facimm’ ammuina”, così tanto per distinguersi e continuare a mostrare i denti tra formazioni irriducibilmente avversarie, ma costrette a stare in un unico, grande letto matrimoniale proprio a causa del loro divorzio dalla realtà di riforme di sistema e piani operativi che non potevano più essere rinviati! Così, i posti sul trenino saranno a geometria variabile, con parte dei parlamentari dei Cinque Stelle che preferiranno il voto à la carte, per non precludersi i futuri spazi di manovra della propaganda elettorale populista, pronti a gettare tutta la pece bollente di questo mondo sugli esperti macchinisti, se soltanto questi ultimi dovessero decidere una parziale inversione di rotta, rispetto a un reddito di cittadinanza che non crea lavoro, o a favorire una maggiore flessibilità occupazionale post-pandemia, per dare ossigeno alle imprese sane, sacrificando quelle decotte. Il problema, per il Draghi-I, sarà di cavalcare la terza ondata della pandemia senza farsi disarcionare, radicando nel frattempo spunti di riforma che vadano ben oltre il fin troppo limitato orizzonte operativo dell’attuale Governo.

Dio è morto, Marx pure e nemmeno io mi sento tanto bene…”, direbbe qualcuno.