di Attilio Carnabuci

L’estate scorsa, all’età di novantanove anni, si è spenta la scrittrice pisana Luisa Adorno(pseudonimo di Mila Curradi Stella).

Poco nota al grande pubblico, è ricordata soprattutto per alcuni brevi romanzi di carattere autobiografico nei quali sono rievocate con bonaria ironia, non disgiunta da un sottile velo di tristezza, le vicende della famiglia del marito di origine siciliana.

Tra tali romanzi merita, in particolare, di essere ricordato L’ultima provincia, la cui azione si svolge, nell’immediatezza del secondo dopoguerra, prevalentemente in una Prefettura dell’Italia centrale e il cui protagonista è il suocero della stessa Autrice, il Prefetto della Repubblica Vincenzo Adorno, dietro cui si nasconde in realtà il nome di Luigi Stella(Catania, 4 luglio 1893–Roma, 22 febbraio 1983).

Quest’ultimo, in occasione del passaggio della provincia di Siracusa alla amministrazione italiana(11 luglio 1943), mentre era ancora un Viceprefetto, aveva ricevuto dall’AMG l’incarico di reggerne la Prefettura dopo la rimozione del suo titolare, Salvatore Cossu, e ne era stato poi nominato Prefetto dal secondo Governo Bonomi il 10 marzo 1944.

Collocato a disposizione dal 1° aprile 1944, negli anni successivi era stato destinato a Messina, Modena, l’Aquila e Macerata.

Pochi scrittori italiani si sono soffermati a descrivere, nelle loro pagine, la figura del “rappresentante del Governo nella provincia”.

Senza alcuna pretesa di esaustività, possiamo qui ricordare Luigi Pirandello, Eduardo De Filippo e Andrea Camilleri, nelle opere dei quali il Prefetto, lungi dall’assumere il ruolo di personaggio principale, si trova tuttavia a svolgere una funzione decisiva nell’economia degli eventi rappresentati o narrati.

Così, per esempio, nel dramma Così è (se vi pare) di Pirandello, il “Signor Prefetto” diviene quasi la metaforica personificazione di quell’autorità che, sola, dal punto di vista dello Scrittore, può stabilire cosa sia la verità, una volta che sia stata tragicamente constatata l’assenza di altri parametri – di carattere ontologico, epistemologico o morale – utili al suo disvelamento.

Anche nel lavoro teatrale L’arte della commedia di De Filippo, il Prefetto simboleggia l’autorità politica tout court, rispetto alla quale però l’Artista, attraverso gli strumenti del ragionamento e della dialettica, rivendica con vigore la propria incoercibile libertà di espressione.

Nei romanzi storici Il birraio di Preston e La Concessione del telefono, entrambi di Camilleri e ambientati nella Sicilia della seconda metà del XIX secolo, il Prefetto – sia egli di provenienza toscana o partenopea – vede, comunque, accentuato il carattere di potere puramente formale, estrinseco e, per così dire, del tutto avulso da un tessuto socio-culturale in cui niente può migliorare dal momento che ciascuno ritiene di essere già perfetto(si rammentino, a tale proposito, le amare parole del Tomasi di Lampedusa).

Come si diceva, il Prefetto è, invece, l’indiscusso protagonista dell’Ultima provincia di Luisa Adorno: un protagonista cui risulta estranea ogni retorica ostentazione della propria carica e che tende ad ispirare, piuttosto, ogni suo comportamento a un riserbo prudente e a una equilibrata equanimità.

E così, “Rare sono le volte in cui il Prefetto parli senza esservi costretto” mentre la sua “origine apolitica, lungi dal dargli credito, ha suscitato la diffidenza di ogni nuovo ministro”.

L’esistenza del Prefetto Adorno è, in ogni caso, caratterizzata da un forte desiderio di tranquillità che, non di rado, si pone in stridente contrasto con la complessa situazione economica, politica e socio-culturale dell’Italia dei primi anni della Repubblica.

In effetti, tale esistenza appare priva di slanci ideali e di entusiastiche adesioni ai fermenti che pure ribollivano nel nostro Paese a seguito del rinnovato assetto istituzionale derivante dall’esito del referendum del 1946, mantenendosi volutamente lontana dallo svolgimento di eventi decisivi per il futuro del Paese stesso.

La provincia ideale in cui svolgere il proprio mandato è, per lui, emblematicamente, quella in cui vi siano pochi comunisti (quindi pochi conflitti sociali) e molti preti (considerati, questi ultimi, come i migliori garanti di un rassicurante status quo).

Come osserva Guido Melis nella sua Storia dell’amministrazione italiana, si tratta di un atteggiamento che, sotto il profilo etico, appare privilegiare la sfera domestica e del particulare piuttosto che l’interesse generale e il bene comune, i quali dovrebbero essere, invece, sempre collocati al vertice della scala valoriale di un rappresentante delle istituzioni (e, in particolare, di un esponente del corpo prefettizio).

Tuttavia, man mano che le limpide pagine del romanzo scorrono davanti ai nostri occhi ci accorgiamo di una riaffiorante consapevolezza del protagonista circa il proprio ruolo e i propri doveri di civil servant.

Consapevolezza che, all’occorrenza, si traduce in un impegno sincero a comporre difficili vertenze sociali grazie alla moderatezza e al buon senso di un bonus pater familias o nella prontezza a opporre un garbato ma fermo rifiuto alle ingiuste richieste, provenienti dal vertice politico, di rinunciare al proprio capo di gabinetto(“ottimo funzionario”) perché simpatizzante di un partito di opposizione e di trasferire un segretario comunale(“che faceva il proprio dovere”) in modo da “liberare il posto per una persona al ministro più gradita”.

Ebbene, soprattutto in quest’ultimo caso, “il trasferimento ‘per servizio’ sottintendeva un giudizio negativo, in contrasto col rendimento di quell’impiegato e tale da rovinargli la carriera. Questo l’Adorno scrisse tormentosamente al ministro [era forse Tambroni?, n.d.a.]: lui, in coscienza, non si sentiva di farlo, eppoi c’era la legge, che lì riportava, a proibirlo”.

Senza svelare il finale del libro, reputo, comunque, doveroso svolgere una rapida riflessione intorno al mondo che Luisa Adorno ha saputo narrare con tanta efficacia e incisività e che, a uno sguardo poco attento, potrebbe forse sembrare molto lontano dal nostro.

Un mondo – è vero – governato secondo ritmi assai più lenti, non ancora pienamente industrializzato né interconnesso, dominato da una economia prevalentemente agricola, dove l’immagine del massimo benessere che un individuo può dare di sé consiste nell’attribuirsi il titolo di “grosso proprietario di terre”.

Un mondo in cui le opposte ideologie(ciascuna delle quali funzionale a determinate logiche di partito) costituiscono parametri fondamentali di interpretazione della realtà.

Eppure, oltre le distanze temporali, sotto lo strato di polvere che i decenni hanno inesorabilmente depositato su quel mondo, possiamo scorgere, attraverso la voce dell’Autrice, il ripetersi di alcune immutabili dinamiche, rispetto alle quali il Prefetto continua a costituire una figura chiave per la tenuta delle istituzioni democratiche e repubblicane.