di Antonio Corona

1849.

Il 24 marzo, a Vignale, l’armistizio sottoscritto con il maresciallo austriaco Radetzky da Vittorio Emanuele II, subentrato al padre Carlo Alberto che aveva abdicato in suo favore.

La sconfitta del Regno di Sardegna segna la fine della Prima Guerra d’Indipendenza, che pure tante speranze aveva inizialmente suscitato nei patrioti italiani.

Il 1849 è pure l’anno che vedrà la breve vita della Repubblica romana, repressa nel sangue dalle cannonate del francese Oudinot e sulle cui barricate troverà la morte Goffredo Mameli.

Dovranno trascorrere dieci interminabili anni perché, stavolta a ciò costretta dagli esiti del conflitto ingaggiato con la alleanza sardo-francese, sia l’Austria a chinare il capo.

L’Armistizio di Villafranca sugellò la conclusione della Seconda Guerra d’Indipendenza, in conseguenza della quale la Lombardia fu annessa al Regno sabaudo.

Nel 1860, l’Impresa dei Mille, Giuseppe Garibaldi consegna il Regno delle Due Sicilie a Vittorio Emanuele II.

Fu, quello, anche il tempo dei plebisciti.

Il 17 marzo 1861, il monarca piemontese viene proclamato Re d’Italia.

Con tale proclamazione, l’Italia cessa di esistere, per dirla alla Metternich, come “mera espressione geografica”.

1866: ovvero, la Terza Guerra d’Indipendenza.

Per la prima e ultima volta, Prussia e Austria si ritrovano in opposti schieramenti.

In ragione della alleanza con Berlino, che riportò una decisiva vittoria sugli Austriaci a Sadowa, nonché della attività diplomatica svolta da Parigi, il Regno d’Italia, benché battuto su terra e per mare, ottenne infine il Veneto.

Rimaneva peraltro irrisolta la questione romana, Napoleone III tetragono paladino del Sommo Pontefice.

Nel 1870, la sconfitta dell’Imperatore transalpino a opera dei prussiani a Sedan, dove fu altresì fatto prigioniero per poi morire in esilio, schiude finalmente le porte alla presa di Roma, conseguita l’anno successivo.

Proclamata capitale del Regno già il 27 marzo 1861, Roma lo diventerà effettivamente il 1° luglio 1871.

1914, Prima Guerra Mondiale.

L’Italia rompe gli indugi e, nel 1915, si schiera a fianco della Triplice Intesa contro l’Austria.

Su pressione dei cofirmatari del Patto di Londra, farà altrettanto nei riguardi della Germania, ma soltanto nel 1916.

Il 1917 sarà ricordato per sempre per la catastrofica rotta di Caporetto, il maggiore, più disastroso rovescio mai registrato nella storia militare nazionale.

Nel luglio del 1918, tuttavia, una ulteriore, poderosa offensiva austro-tedesca, quella che avrebbe dovuto inferire la spallata finale, si infrange sulle sponde del Piave per effetto della strenua difesa italiana.

Di lì a qualche mese, la controffensiva.

Il 4 novembre divampa la vittoriosa battaglia di Vittorio Veneto.

La resa austro-tedesca, porterà alla annessione di Trento e Trieste.

Con essa, alla conclusione del processo unitario.

Per molti, della lunga stagione della epopea risorgimentale.

Erano trascorsi poco meno di due anni dalla conclusione della guerra: l’“inutile strage”, come, nell’agosto del 1917, ebbe a definirla Papa Benedetto XV.

Da parte italiana, centinaia di migliaia i caduti con le armi in pugno, i civili morti durante il conflitto, i feriti in combattimento, i mutilati.

Milioni i reduci.

Una autentica carneficina, complessivamente perfino superiore in proporzione, è stato calcolato, a quella che sarebbe stata consumata venti anni più tardi.

Nel luglio del 1920, in Italia, il colonnello Giulio Douhet, uno dei maggiori artefici dell’aviazione militare italiana, propugnò l’idea di onorare i sacrifici e gli atti di eroismo della intera comunità nazionale nella salma di un milite sconosciuto, quale “simbolo della grandezza di tutti i soldati d’Italia, segno della riconoscenza dell’Italia verso tutti i suoi figli, altare del sacro culto della Patria”.

Il relativo disegno di legge fu presentato e approvato nel 1921.

Venne quindi costituita una apposita commissione che esplorò attentamente tutti i luoghi nei quali si era combattuto, dal Carso agli Altipiani, dalle foci del Piave al Montello, avendo altresì cura che, fra i poveri resti che sarebbero stati raccolti, ve ne fossero anche di appartenenti a reparti di sbarco della Marina.

Fu scelta una salma, undici in tutto, per ognuna delle zone di Rovereto, delle Dolomiti, degli Altipiani, del Grappa, del Montello, del Basso Piave, del Cadore, di Gorizia, del Basso Isonzo, del San Michele, del tratto da Castagnevizza al mare.

Le spoglie ricevettero temporaneo ricovero a Gorizia, per essere successivamente traslate alla Basilica di Aquileia.

Lì, il 28 ottobre 1921, una mamma – chissà quante volte invocata, da ogni soldato al fronte, negli infiniti momenti di sofferenza o nell’esalare l’ultimo respiro – scelse il feretro del caduto che sarebbe stato poi tumulato al Vittoriano, emblema dell’estremo sacrificio di tanti italiani.

La “mamma spirituale del Milite Ignoto” fu individuata in Maria Bergamas di Trieste.

Il figlio, Antonio, aveva disertato dall’esercito austriaco ed era perito combattendo sotto i colori italiani senza che, come per innumerevoli altri, si fosse successivamente riusciti a identificarne il corpo.

Le altre dieci salme rimaste ad Aquileia, trovarono definitivo riposo nel cimitero di guerra che circonda il tempio romano.

Il convoglio ferroviario dell’ultimo viaggio del Milite Ignoto, si snodò lungo il tragitto Aquileia-Venezia-Bologna-Firenze-Roma a velocità moderatissima, tra ali sterminate di persone desiderose di onorare con un ultimo saluto quel simbolo della intera collettività nazionale.

La cerimonia ebbe infine luogo nella capitale.

Vittorio Emanuele III in testa, le rappresentanze dei combattenti, delle vedove, delle madri dei caduti, le bandiere di tutti i reggimenti, mossero incontro al feretro, portato a spalla a S. Maria degli Angeli da un drappello di decorati di medaglia d’oro.

Il 4 novembre 1921, il Milite Ignoto venne tumulato nell’Altare della Patria.

Al Milite Ignoto fu concessa la Medaglia d’oro al valor militare con la motivazione: “Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà, resistette inflessibile nelle trincee più contese, prodigò il suo coraggio nelle più cruente battaglie e cadde combattendo senz’altro premio sperare che la vittoria e la grandezza della Patria.”.