di Marco Baldino

trasparenzaIl prossimo ottobre andremo a votare per il referendum confermativo del progetto di nuova Costituzione.

Molte sono le innovazioni già ampiamente divulgate dai media: superamento del bicameralismo perfetto, modifiche al procedimento legislativo, designazione “di secondo livello” dei Senatori, loro diversa “natura” e consistente riduzione numerica, più netto riparto di competenze fra Stato e Regioni…

Vi è tuttavia una particolarità sulla quale a mio giudizio non è stata posta la dovuta attenzione, ma che costituisce una innovazione assolutamente non marginale e che riguarda il nuovo articolo 97 della Costituzione. Nella nuova formulazione, accanto al buon andamento e alla imparzialità, quale obiettivi primari della azione amministrativa, viene posta anche la trasparenza.

È certamente una notevole conquista porre la trasparenza quale valore di rango costituzionale e che si pone quale punto di arrivo nel progressivo cammino, iniziato con la l. n. 241 del 1990, e proseguito con il d.lgs n. 150 del 2009 e ancor più con il d.lgs n. 33 del 2013, nell’ottica del raggiungimento di quella pubblica “casa di vetro” ipotizzata già da Filippo Turati all’inizio del secolo scorso, ma ancora ben di là da venire.

Come primo atto del superamento della convinzione della intima natura del segreto e della correlata non conoscibilità dell’atto amministrativo, quale estrinsecazione del potere di imperio da essa detenuto nei confronti del cittadino, storicamente posto su un gradino più basso rispetto all’imperio della pubblica autorità, la “rivoluzione” della l. n. 241 concepì il diritto di accesso, fondato sul principio del need to know e, dunque, strettamente connesso all’interesse specifico e qualificato, diretto concreto e attuale, idoneo a motivare l’istanza di accesso all’atto amministrativo da parte di un individuo.

A seguito di molteplici e ripetuti interventi su  tale normativa e, ancor di più con la “legge Brunetta”, il d.lgs n. 150 del 2009, la musica sostanzialmente cambia e la trasparenza diviene “accessibilità totale” finalizzata a “favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principî di buon andamento e imparzialità”, nonché “livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione”.

Nella stessa scia, e sull’onda della moralizzazione estrema sottesa alla legge anticorruzione n. 190 del 2012, uno dei suoi decreti attuativi, il 33/2013, va ancora oltre, confermando e portando a compimento la forte virata operata quattro anni prima e, in tal guisa, attua la rivoluzione copernicana dell’“accesso civico”, basato sull’anglosassone principio del right to know.

Non occorre più la necessità di un interesse specifico e qualificato per ottenere l’accesso agli atti della PA, bensì si stabilisce l’obbligo per le PA di pubblicare una serie assai numerosa di dati sui propri siti istituzionali, cui corrisponde il libero accesso e il diritto di estrapolazione e riutilizzo degli stessi da parte di chiunque, con ulteriore diritto di imporre alla PA inadempiente tale pubblicazione, se prevista ma non attuata.

Ma il percorso non si ferma qui.

Lo scorso 21 gennaioa, il Consiglio dei Ministri ha approvato uno schema di decreto per un provvedimento ancor più avanzato che, nell’ottica riformatrice del Governo, è stato da subito battezzato il Freedom Of Information Act italiano, dal nome del supremo prototipo statunitense.

Certamente, per poterne valutare l’effettiva dirompenza, si dovrà attendere il parto del testo effettivo dal momento che , ad oggi, circolano soltanto anticipazioni, non completamente esaustive e convergenti.

In effetti, a esaminare nel dettaglio tali anticipazioni, non si riesce ancora a valutare consapevolmente la reale portata innovativa del documento.

Innanzitutto, viene lamentato l’intervento assai più prudente di modifica su norme già in vigore, quali la l n. 241 del 1990 e il decreto 33/2013, piuttosto che una esplicita abrogazione delle stesse e la creazione di un corpus normativo nuovo, chiaro ed esclusivo.

È un po’ quello che sta avvenendo per l’altra delicata materia del Whistleblowing , per cui rimando al mio articolo sulla raccolta Anno XIII/2 de il commento.

La seconda osservazione riguarda la previsione del “silenzio rifiuto” in caso entro 30giorni la richiesta del cittadino non abbia avuto esito. A mio avviso, anche considerando le numerose ipotesi “giustificative” del negato accesso, sarebbe stato più opportuno sancire un dovere di motivazione da parte della PA in relazione alla mancata concessione dell’accesso richiesto.

In ogni caso, a tale silenzio è correlata la possibilità del cittadino di adire la magistratura amministrativa, ma naturalmente tutto ciò ha un costo non indifferente e tempi non brevissimi di perfezionamento e poi, soprattutto, la mancanza di motivazioni esplicite del rifiuto limita anche nella sostanza la ricorribilità del provvedimento.

Sono invece d’accordo, anche se auspicherei una estrema chiarezza indicativa, sulla limitazione dell’accesso civico in casi eccezionali e gravi.

Si tratta di specifiche circostanziate ipotesi nel caso in cui la conoscenza dei dati possa recare un pregiudizio alla integrità della nazione, sotto l’aspetto della compromissione delle relazioni internazionali dell’Italia; o possa verificarsi un possibile attentato a rilevanti interessi nazionali, quali la sicurezza pubblica, la difesa, la stabilità economica e finanziaria; o la conoscibilità del documento possa compromettere le indagini su reati e loro perseguimento, le attività ispettive, ad addirittura intaccare il segreto di Stato; oppure, infine,  possa incidere sulla tutela di uno specifico interesse privato di eccezionale rilevanza, quale la protezione dei dati personali, la libertà e la segretezza della corrispondenza, o anche gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica.

Sottolineo la esigenza di una estrema chiarezza nelle elencazioni delle specifiche ipotesi “esimenti” poiché la genericità potrebbe portare a un eccesso di discrezionalità e, dunque, alla vanificazione della efficacia e dell’impatto dell’intero provvedimento. Parimenti, una volta specificate nel dettaglio tali ipotesi, confermo la esigenza di privilegiare la motivazione del rifiuto, piuttosto che lasciare nel limbo della indifferenza la specifica richiesta del cittadino.

Qualunque sarà, in ogni caso, il testo che verrà ufficializzato, rimane un dato di fatto incontrovertibile: l’inserimento della trasparenza fra i valori costituzionali della azione della Pubblica Amministrazione rappresenta, e rappresenterà ancor di più in futuro, una scelta precisa nell’ottica del progressivo avvicinamento fra Governo e governati, contribuendo a una sempre più intima identificazione fra la sfera privata dell’individuo e quella pubblica del cittadino.