di Maurizio Guaitoli

Siamo tutti ebrei e palestinesi!

Perché, in fondo, non esiste un solo modello Twin Towers per far venir giù questa nostra ipocrisia all’occidentale, nei confronti di un Islam che nulla ha a che fare con la sua tradizione millenaria di grandi pensatori e poeti. Anche perché Israele si fa facilmente censurare per il suo over-reacting nel contrastare l’aggressione armata di Hamas sul proprio territorio, fatto che ha dato luogo alla drammatica, inaccettabile contabilità di un numero di vittime civili palestinesi ben superiore alle perdite israeliane.

Ma, come si sarebbe potuto, in alternativa, disarmare pacificamente i miliziani di Hamas? Che dire di un movimento islamico radicale che rimane nella lista nera del terrorismo internazionale ed è pronto a impadronirsi della Cisgiordania per via elettorale, sbandierando il suo statuto di sempre, in cui si dichiara solennemente che non vi sarà mai pace in Medio Oriente, finché non sarà cancellata dalla faccia della terra l’Entità sionista dello Stato di Israele?

Né David Grossmann nel suo intervento ecumenista sul Corsera del 24 maggio, dal titolo La strada del vivere insieme, né molti altri pacificatori di penna come lui riescono a mirare, a quanto pare, al cuore del problema che è, innanzitutto, connaturato con la spietata propaganda culturale e politico-religiosa che, almeno da un secolo a questa parte, penetra capillarmente e, forse, irreversibilmente in profondità nel vissuto dei due popoli. L’attenzione, anziché sugli effetti fisicamente disastrosi delle armi moderne, dovrebbe soffermarsi assai più a lungo sulle devastazioni spirituali e intellettuali che questa attestazione di superiorità, da una parte come dall’altra, sta provocando da generazioni nell’animo di chi si trova a nascere in uno dei due campi combattenti e che lo rende di fatto un… talebano irriducibile e spietato in difesa delle proprie ragioni e del rispettivo diritto all’esistenza(ovviamente, a spese dell’altro!). Si deve andare a cercare la verità intrinseca di questo dramma insolubile nei testi scolastici elementari, medi e superiori delle due entità storico-religiose-politiche irriducibilmente contrapposte, per cui la sopravvivenza dell’una non è proponibile senza la cancellazione letterale dell’altra dagli stessi luoghi d’origine! Sarebbe il caso, verrebbe da dire, di condizionare qualsiasi aiuto internazionale alla eliminazione delle false verità(alla Goebbels!) dai testi scolatici della scuola dell’obbligo, sia palestinesi che israeliani, sostituendole con fatti storici incontrovertibili!

Il processo di pace, tuttavia, è già scivolato molto tempo fa, in un modo o nell’altro, lungo una china irreversibile. La teoria dei Due Stati si scontra con un limite oggettivo: la progressiva sottrazione di terra e la gentrification israeliana di non trascurabili porzioni di territori occupati. Se questo dato di fatto lo si analizza su mappe geografiche dettagliate, ne deriva che il territorio di un eventuale Stato palestinese assomiglierebbe a un tessuto… lebbroso, con decine di lacune e cunei urbani “alieni” collegati tra di loro e innestati all’interno della nuova realtà statuale. Per cui, i difensori della convivenza tra i due popoli dovrebbero formulare proposte credibili su come si dovrebbe fare, per convincere i coloni ad abbandonare i loro insediamenti fortificati, cedendoli pacificamente ai palestinesi! Sull’altro versante, il problema va molto oltre l’aspetto pratico, perché coincide con la struttura identitaria interna degli arabi palestinesi stessi, presenti nei territori occupati o nei Paesi confinanti, che ne ospitano la diaspora e fomentano l’aspetto destabilizzante del principio del Diritto al ritorno dei profughi post-1967. In effetti, il fattore che va molto oltre la capacità distruttiva di razzi e aerei si chiama Islam, come quello di Hamas e dei Fratelli Musulmani, o di Hezbollah in Libano. La vera… arma atomica araba è quella. Ovvero, la ferrea volontà di morire per la Jihad che si ammanta sia del volto dell’irredentismo palestinese, sia di quello della difesa, anche attraverso atti di terrorismo a orizzonte pieno, dei valori islamici contro il secolarismo miscredente e demoniaco dell’Occidente e, quindi, di Israele.

Conclusioni?

Perché i discorsi e gli impegni connessi a questa nuova sospensione delle ostilità(fino a quando? In attesa che vengano rimpiazzati gli arsenali missilistici di Hamas di qui a qualche anno?) non rimangano lettera morta, occorre rivitalizzare il tessuto economico-occupazionale locale, riducendo una disoccupazione che viaggia oltre il 50%! Ad esempio, si potrebbero mettere a disposizione delle giovani generazioni palestinesi di Gaza e Cisgiordania migliaia di borse di studio europee per la formazione qualificata di ingegneri, medici ed esperti informatici. A questi ultimi, dopo essere stati illuminati sui fatti storici reali e una volta ritornati nei luoghi di origine, spetterà il compito(con il sostegno finanziario dell’Occidente e dei Paesi arabi più ricchi) di innovare la loro società civile, condizionata da molti decenni di rovente propaganda antioccidentale e antiisraeliana. Migliaia di famiglie benestanti europee potrebbero candidarsi poi per l’adozione, anche temporanea, dell’infanzia palestinese abbandonata o resa orfana, anche a seguito del recente conflitto tra Hamas e Israele.

In altri termini, sta a noi europei e occidentali manifestare quella umanità di cui ci facciano tanto vanto, prendendo in carico i bisogni materiali e sociali di chi è rimasto povero e solo a causa del(i) conflitto(i). Occorre, cioè, passare dai discorsi umanitari all’intervento pacifico umanitario, da svolgersi rigorosamente… sul campo e in via diretta. Resta da chiarire il quadro di Chi lavora contro la pace, strumentalizzando Hamas. Qui vengono chiamate in causa le Trame Persiane di una Teheran che si destreggia tra impero e califfato, così come il regime turco di Recep Erdoğan. La difesa dei credenti, la religione stessa, in fondo, sono i gemelli siamesi del comunismo imperialista cinese, che si ammantano del velo ideologico-religioso per coprire le reali impudicizie del potere secolare. Così le marine militari, turca e cinese, in particolare, si riappropriano con la forza di ciò che loro considerano territorio della Nazione(le acque al largo di Cipro, da un lato, il Mar di Cina meridionale, dall’altro), facendo affidamento sulla passività e pusillanimità di un Occidente, soprattutto europeo, che all’aggressione armata risponde appena con la voce stanca e rauca di sanzioni commerciali e diplomatiche, tanto inutili quanto inefficaci.

Si veda in proposito l’episodio di caccia militari che dirottano un aereo civile dell’Ue senza che vi sia una reazione adeguata di pari livello nei confronti dell’aggressore. Se fosse capitato agli Usa, quel Paese che ha violato le leggi internazionali sarebbe rimasto in un solo giorno senza la sua aviazione militare! Allo stesso modo, si finge di ignorare la politica iraniana nella regione che, a partire dal 2014, ha provveduto a rifornire l’arsenale di Hamas con migliaia di missili di nuova generazione. Gli europei temono di dire che… un-gatto-è-un-gatto, ovvero che il lancio indiscriminato di migliaia di razzi contro la popolazione civile inerme è un atto inescusabile di terrorismo internazionale, più simile (almeno nell’intenzione!) all’attacco alle Twin Towers che a un meccanismo di protesta contro i reparti antisommossa israeliani! Se non ci fosse stato lo scudo di Iron Dome, quella pioggia di razzi avrebbe causato moltissime vittime tra gli israeliani, arabi compresi, visto che i tiri sono stati del tutto casuali e mirati a colpire alla cieca insediamenti urbani nel raggio di qualche decina di chilometri. Nella comunicazione ordinaria dei media occidentali, si avverte la sottovalutazione colpevole delle attività e della capacità di penetrazione dell’intelligence iraniano all’interno di Nazioni considerate nemiche, come Israele, al fine di organizzare e mobilitare le rivolte palestinesi negli ex territori occupati e nei quartieri arabi di Gerusalemme.

Puntualmente, l’Iran si è tempestivamente mossa dietro le quinte della protesta palestinese, contro le politiche israeliane di controllo dell’ordine pubblico per l’accesso ai comuni luoghi sacri di Gerusalemme, rafforzando militarmente Hamas per un attacco missilistico in grande stile. Il tutto, in risposta alla politica del Governo israeliano di progressiva espulsione(a seguito di un contenzioso sui titoli della proprietà immobiliare) dei residenti arabi che abitano nella parte Est della Città Santa. Anche in questo caso, la motivata protesta dei palestinesi israeliani è servita agli scopi tattici e strategici dell’Iran per bloccare, da un lato, il riavvicinamento degli arabi moderati a Israele a seguito della firma degli Accordi di Abramo, promossi da Donald Trump (e confermati da Joe Biden) e sottoscritti da Marocco, Emirati Arabi e Bahrein. Dall’altro, Teheran, attraverso il conflitto israelo-palestinese, promuove una strumentale guerra per procura per far pesare la sua Spada di Brenno al tavolo dei negoziati sul nucleare con America ed Europa. L’assistenza militare quindicennale assicurata dall’Iran ad Hamas, si articola su due livelli. Il primo fa riferimento alla tecnologia e alla logistica. Poiché gli israeliani hanno il pieno e costante controllo delle attività sospette negli ex territori occupati di Gaza e Cisgiordania(grazie ai satelliti-spia, alle intercettazioni telefoniche e ambientali e al cyber spying), Hamas, con il pieno appoggio dei consulenti militari iraniani, ha tratto spunto dalla strategia vietcong delle reti sotterranee di tunnel per arrivare a ridosso dello schieramento nemico, trasportando uomini e armamenti a distanza utile per l’attacco. Altrove, invece, come in Libano, i miliziani fondamentalisti di Hezbollah, nemici giurati di Israele, sono apertamente alleati dell’Iran e sostenuti militarmente dai suoi Guardiani della Rivoluzione, così come accade in Siria per il supporto al regime Assad. Il secondo livello, riguarda invece la strategia che tende a evitare lo scontro armato diretto con l’America e l’Occidente. Sebbene l’Iran, come del resto la Turchia, disponga di tecnologia avanzata per l’impiego sia di droni armati negli scenari di guerra, in grado di sfuggire ai radar di terra, sia di missile guidance dei razzi a testata convenzionale a medio e a lungo raggio, non le ha volutamente trasferite alle formazioni di Hamas. Del resto, le loro caratteristiche e le complessità di fabbricazione, installazione e operabilità, ne rendono problematica l’implementazione in realtà come quelle di Gaza, prive delle necessarie basi logistiche di supporto e di tecnici specializzati per il controllo in remoto delle operazioni di attacco. Le relative attività, tra l’altro, non sfuggirebbero al monitoraggio dell’intelligence israeliana, che vanta la totale superiorità aerea, in grado di distruggere tempestivamente ogni possibile minaccia di questo tipo.

 In astratto, dal punto di vista di un eventuale contrattacco militare, attraverso l’invasione via terra e/o raid aerei mirati, Israele resta, sempre e comunque, obbligata dal contratto civile nei confronti della comunità internazionale a minimizzare le possibili perdite umane tra la popolazione civile palestinese. In generale, Tel Aviv è tradizionalmente restìa a far ricorso all’esercito per penetrare in profondità nelle difese terrestri di Hamas e distruggerne il più possibile la rete dei tunnel, in quanto questo tipo di scelta estrema darebbe luogo a notevoli inconvenienti. Da un lato, infatti, l’invasione provocherebbe un ritorno in grande stile dell’Intifada, costringendo il mondo arabo a irrigidirsi sulla difesa incondizionata della rivolta palestinese. Dall’altro, per l’immediato ritiro prenderebbero posizione il Consiglio di Sicurezza dell’Onu e le opinioni pubbliche occidentali, isolando così il Governo israeliano. Mantenere, poi, per un tempo non breve truppe d’occupazione a Gaza vorrebbe dire sostenere perdite non indifferenti nei ranghi dell’esercito, con pesanti ricadute negative sulla opinione pubblica interna israeliana e sulla stabilità dell’Esecutivo. In un simile scenario, tra l’altro, l’Iran potrebbe scegliere il gioco del “tanto peggio-tanto meglio”, favorendo azioni terroristiche a tutto campo da parte delle formazioni radicali pro-palestinesi, che colpirebbero Paesi come l’Egitto e altri interessi occidentali, mettendo in seria difficoltà la stabilità dei regimi arabi conservatori più vicini all’Occidente e agli Usa.

A questo punto, per di più, potrebbe entrare in scena un altro pericoloso attore mediorientale, come la Turchia, già difensore con le armi del movimento dei Fratelli musulmani presenti in Libia, Siria e Azerbaigian, al punto di mettere in seria difficoltà l’Occidente e la Russia di Putin. Ci si può legittimamente chiedere, a questo punto, quali utili iniziative possa intraprendere la pavidissima Europa di Bruxelles, muovendosi di concerto con l’America di Joe Biden. Ad esempio, si potrebbe partire dall’attuale stato di distruzione delle infrastrutture delle reti di pubblica utilità(elettrica, fognaria, ospedaliera e stradale), rase al suolo o fortemente danneggiate dai recenti raid aerei israeliani, promettendo allo sfortunatissimo popolo di Gaza la loro rapida, efficace e tempestiva ricostruzione, da estendere anche sul piano economico generale creando nuova occupazione, attraverso l’attività edilizia sia di rimozione delle macerie e la ricostruzione degli isolati colpiti, sia di ripristino della struttura ospedaliera. Mai ripetere, infatti, gli errori dell’America nella ricostruzione civile dell’Iraq post-invasione del 2003!