di Antonio Corona*

sprar170.000 migranti giunti via mare sul suolo italiano nel solo 2014. Di 100.000 si sono perse le tracce. Questi i numeri diffusi dagli organi di informazione.

A occhio e croce, i “restanti” 70.000 sarebbero dunque (tuttora) ospitati in strutture S.P.R.A.R.(Sistema Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati) o temporanee(allestite dalle prefetture).

All’atto dell’ingresso in Italia, coloro che non ne abbiano titolo vengono immediatamente respinti alla frontiera.

In teoria.

Nei fatti, Mare Nostrum o Frontex plus che sia, autonomamente o soccorsi alla deriva in  pieno  Mediterraneo,  barconi  di  disperati approdano  in  porti  nostrani  ordinariamente straboccanti.

Donne, uomini, bambini, famiglie, dopo una sommaria visita medica, vengono quindi immediatamente smistati in tutte le province.

Al netto di quelli che preferiscano allontanarsi, è lì che vengono foto-segnalati e, in quanto (tutti) richiedenti asilo e indigenti, accolti in strutture in attesa che le rispettive istanze siano vagliate dalle competenti commissioni territoriali.

Nel frattempo, i migranti non possono lavorare, se non sotto forme di volontariato disciplinabili in loco.

Ove la domanda di asilo sia respinta, gli interessati possono proporre ricorso, con diritto a permanere sul territorio dello Stato fino  alla  conclusione  dell’intero  iter. Viene loro rilasciato un apposito permesso di soggiorno che consente lo svolgimento di regolari attività lavorative. Salvo che a ciò impediti da condizioni di salute, da allora terminano di essere destinatari delle misure di accoglienza.

Grossomodo, quelle descritte sono le linee generali della accoglienza contenute in disposizioni peraltro non sempre di immediata e univoca interpretazione.

Di norma, i richiedenti asilo vengono ospitati in strutture S.P.R.A.R. – a proporsi, dietro ristorazione dallo Stato dei conseguenti oneri, sono soggetti pubblici(Comuni) o privati(terzo settore) – che ne seguono anche il possibile inserimento nel tessuto sociale.

È solo nel caso di indisponibilità S.P.R.A.R., ed esclusivamente fin quando essa perduri, che la ospitalità viene invece indirizzata in strutture, temporanee, allestite a cura delle prefetture.

Nella eventualità, infine, di impraticabilità di entrambe le suddette ipotesi e sino al momento in cui questa non venga risolta, è prevista agli interessati, previa elezione di domicilio, la erogazione di un apposito contributo da parte delle prefetture(art. 6, c. 7, d.lgs n. 140/2005).

Contributo, dunque, cui ricorrere non in via ordinaria ma, sicuramente, quando non si possa fare altrimenti: in caso cioè, giova ripetere, di assenza o saturazione delle strutture di ospitalità, S.P.R.A.R. o temporanee. Insomma, una sorta di valvola di sicurezza per scongiurare che il “sistema” vada in tilt.

Si comprenderà pertanto come sorprenda, imbarazzi e sgomenti apprendere ora che:

  • il decreto del Ministro dell’Interno per l’accesso al Fondo nazionale per le politiche e i  servizi dell’asilo, adottato in data 30 luglio 2013, non abbia determinato il contributo che, pertanto, non può essere erogato(!);
  • non vi si sia provveduto successivamente(!!);
  • (pare) non sia neanche previsto il provvedervi(!!!).

Stupefacente. Semplicemente stupefacente.

Non si può infatti fare a meno di osservare come da quel 30 luglio 2013 la situazione sia enormemente mutata.

S.P.R.A.R. e prefetture si sono trovate di punto in bianco a dovere fronteggiare una domanda di accoglienza di dimensioni quasi bibliche.

Con la differenza che, una volta saturato, lo S.P.R.A.R. si limita banalmente a chiudere i battenti e tutto il peso ricade e continua a ricadere sulle prefetture, a prescindere dalle relative capacità di ospitalità, chiamate a uno sforzo ciclopico, tra l’altro con strumenti ordinari largamente inadeguati alla eccezionalità del fenomeno, pressoché da sole, non di rado senza alcuna concreta collaborazione da altri enti sul territorio se non per generiche disponibilità, non di rado di mera facciata.

In diffuse circostanze le strutture temporanee allestite, se non già, sono ormai prossime al collasso, senza volere altresì considerare che, in quanto spesso improvvisate per la urgenza della loro immediata utilizzazione, più d’una possa risultare non esattamente conforme alle vigenti disposizioni. Come tale, in ogni momento dichiarabile inidonea alla accoglienza, oggetto di provvedimenti sindacali di sollecita evacuazione. E con quali conseguenze…

Le avverse condizioni stagionali stanno appena diluendo gli arrivi.

Doveroso porsi il quesito di cosa possa accadere con l’ormai approssimarsi di stagioni più miti specie se, diversamente dall’anno scorso, i nuovi arrivati si troveranno in qualche modo impediti a recarsi liberamente in altre latitudini.

E se i “numeri” di questo 2015 saranno anche solo lontanamente simili a quelli del 2014…

Con l’auspicio di essere smentiti, non illudano i tentativi in atto di reperimento di ulteriori disponibilità S.P.R.A.R., strutture alternative temporanee e quant’altro.

Probabilmente, tutte o gran parte sono state “reclutate” precedentemente.

Parimenti non inducano ad attese messianiche gli effetti pratici, perlomeno nel breve-medio termine, della proliferazione delle commissioni per l’asilo, tra l’altro annunciate e non ancora operative, e dei rimpatri assistiti.

Non da adesso si sta raschiando il barile. Nonostante si sia forse toccato il fondo,

si pretende che… si scavi. Oltre.

Vi sarebbe molto ancora da dire, circa per esempio tavoli regionali, commissioni di riconoscimento dello status di rifugiato, su cui se necessario si tornerà.

Qui il focus vuole rimanere fisso esclusivamente sul contributo che… non c’è.

Perché, a maggior ragione con un lungo anno di intensa esperienza sulle spalle, risulta difficilmente comprensibile e giustificabile che le prefetture vengano chiamate a soddisfare incessanti richieste di accoglienza, a esse al contempo sottraendo uno dei pochissimi strumenti, il contributo, certo non risolutivo ma quantomeno in grado di concedere un po’ di respiro.

Per questo se ne viene a chiedere senza mezzi termini il sollecito ripristino, che chi di competenza si attivi senza indugio con le occorrenti iniziative.

Non sembra di pretendere chissà cosa.

Allo stato attuale e in maniera addirittura decisiva, dalla disponibilità del contributo può dipendere la possibilità di continuare a soddisfare le richieste di accoglienza.

Non sorprenderebbe, altrimenti,  se prima o poi qualche prefettura, non certo per proprie volontà o negligenza e seppure con profondi rammarico e frustrazione, fosse costretta a disertare d’improvviso l’appello.

On.le Sig. Ministro,

Sig. Capo Dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione,

tornerà gradita una risposta.

Convincente. Presto.

Meglio: in tempo.

*Presidente di AP-Associazione Prefettizi