di Antonio Corona*

acc_migrantiPiù volte, nel marasma degli ultimi giorni, dalle colonne della stampa nazionale sono state agitate dinanzi agli occhi del personale della carriera prefettizia confluenza nel ruolo unico della dirigenza statale e drastica riduzione delle prefetture.

Un po’ come drappi rossi sventolati sul muso di tori sbuffanti nell’arena a las cinco de la tarde o, se si preferisca, quale sorta di potenziali spauracchio o randello…

Come se, in definitiva, una scelta legislativa si traduca in una gentile concessione a una categoria di pretesi privilegiati o, di converso, in una rappresaglia, un dispetto, una punizione a seconda dei comportamenti tenuti da quella medesima categoria.

Eppure, eravamo e continuiamo a essere convinti che una qualsiasi opzione di siffatto tenore debba piuttosto corrispondere all’interesse del Paese.

Un Paese che, sin dal momento della sua ritrovata unità, ha potuto fare sempre affidamento, fino in fondo, su prefetti e prefetture, mai tiratisi indietro e che di sicuro non intendono iniziare a farlo ora.

Secondo i “retroscena” dei writer di turno, i recenti accadimenti avrebbero inoltre fatto riaffiorare nel premier Renzi le perplessità che non da ora egli nutrirebbe nei confronti dei prefetti. Perché mai, poi…

Il ministro Alfano, reso omaggio alle prefetture per la preziosissima opera in atto, ha invitato all’outing i prefetti che non se la sentano di sostenere la corrente situazione.

La loro sostituzione, ha assicurato, giungerà immediata e misericordiosa.

Rimanendo a questi tempi, risulterebbe decisamente sconfortante se l’esito di oltre un anno e mezzo di uffici al centro e sul territorio (come di consueto) aperti, disponibili e impegnati h24 a fronteggiare inesauribili approdi di migranti, si riducesse a quanto sommariamente appena descritto.

A chi ascrivere la responsabilità di tale eventuale, deprimente risultato?

Stando a parte degli interventi di importanti e autorevoli esponenti politici, istituzionali e mediatici, al “reo” che si sarebbe macchiato della imperdonabile colpa di avere dato semplicemente voce a un comprensibilissimo, diffusissimo, profondo disagio che serpeggia nella categoria; di riassumere quello che, dalle cronache quotidiane dei report giornalistici, non balza evidente agli occhi soltanto di quanti non vogliano vedere.

Il tutto, tra l’altro, in una ottica neanche minimamente rivendicativa(di cosa, d’altra parte?) o, peggio, contrappositiva, bensì di ricerca di confronto costruttivo finalizzato alla migliore sinergia di intenti e pratiche concrete.

A proposito.

C’è chi si è mostrato meravigliato, quasi con raccapriccio, che il personale della carriera prefettizia sia sindacalizzato.

Neanche fosse l’unico…

Senza stare qui a indugiare sulle tantissime iniziative intraprese dal “sindacato” in favore del funzionamento della “macchina Viminale”, della trasparenza, del riconoscimento del merito, ecc., la sindacalizzazione è stabilita da legge dello Stato. Punto.

È tanto… disdicevole?

Sia come sia.

Bene ha fatto AP sin dall’inizio a tenersi alla larga dal pandemonio scatenatosi giorni addietro e ad attendere, per qualsivoglia considerazione, le conclusioni della richiesta riunione all’On.le Ministro(v., al riguardo, comunicato-stampa in allegato).

Come si paventava, una sola parola, una qualsiasi, avrebbe potuto essere strumentalizzata, distorta, dare ossigeno a polemiche alle quali non abbiamo interesse.

A tutti noi, preme viceversa affrontare il contenuto delle questioni, non misurarci in sterili esercizi di batti e ribatti da talk-show.

A tutti noi, come sempre, con il portato della nostra esperienza diretta, interessa invece contribuire a risolvere i problemi di questo nostro amatissimo Paese, in nome dell’interesse generale, unica stella polare che ci è stato insegnato a scrutare e a seguire.

Nessuna ribellione, dunque, ci mancherebbe.

Ci mancherebbe solo che ci si mettessero pure i prefetti ad alimentare questo clima avvelenato da tutti contro tutti.

Hanno assolutamente ragione coloro che, specie nella corrente congiuntura, individuano la “nostra” mission soprattutto nella salvaguardia e nella tenuta della coesione sociale.

È esattamente allo scopo di scongiurarne le lacerazioni che, oltre alle innumerevoli iniziative assunte direttamente, i prefetti – riservatamente se per le vie istituzionali, (talvolta anche) pubblicamente se per quelle rappresentative – portano alla attenzione di chi di dovere temi e problematiche, se possibile corredate di ipotesi di soluzione e intervento.

Lucidissime le riflessioni di Mario Morcone, Capo del Dipartimento Immigrazione del Ministero dell’Interno, apparse sul Corsera del 25 luglio u.s.(La questione dei prefetti-Accoglienza ai migranti-Due pesi e due misure, pag. 27).

Giustamente e opportunamente, il prefetto ha ricordato l’accordo Stato-Regioni-Comuni del luglio 2014 nel quale, a motivo degli incessanti approdi di migranti alle coste nostrane, sono tracciate le linee di una gestione ponderata di una accoglienza ripartita proporzionalmente e condivisa da tutti gli attori in campo.

Sennonché, sia consentito rilevare, quel protocollo non è cogente.

Nessuno, salvo il Governo che può contare sulla piena affidabilità dei prefetti, è in grado di assicurare che tutti i soggetti rappresentati in quella intesa ne diano poi concreta attuazione.

Di qui, la debolezza insita nei discendenti tavoli regionali, le cui operatività ed efficacia sono rimesse sostanzialmente alla spontanea, buona volontà dei relativi partecipanti.

Rimane peraltro che quanto non si risolva a livello nazionale, venga a riproporsi irrisolto e a scontarsi ai livelli sottostanti: fino a potere condizionare, come si sta verificando, i rapporti tra rappresentanti del Governo sul territorio e delle comunità locali.

Non è quindi un caso se, da tempi non sospetti, in veste sia istituzionale sia sindacale, lo scrivente per esempio suggerisca incentivi agli enti locali che diano fattivamente la disponibilità…

Si vedrà.

Non è stato chiesto lo stato d’emergenza, “(…) tutto, anche se con difficoltà, viene gestito in via ordinaria. (…)”, continua Morcone.

È esattamente così.

Non vi è peraltro necessariamente bisogno di una certificazione formale per prendere atto di una situazione straordinaria.

Non si comprenderebbe altrimenti come mai il tema sia stato trattato addirittura in seno alle Nazioni Unite e, in materia di richiedenti asilo, le sue eccezionali dimensioni stiano (almeno in parte) sgretolando il formidabile “muro” di Dublino.

E senza andare così lontano, basta scorrere ogni giorno la rassegna stampa(decisamente ben fatta, complimenti!) del Viminale.

Lo stesso prefetto Morcone constata, con legittimo orgoglio, che l’Italia “(…) sta portando avanti da oltre un anno la più grande operazione umanitaria che la Repubblica abbia mai messo in campo (…)”.

È dunque “mera” ordinarietà, questa?

Si permetta la banalizzazione, ma si ha come la impressione che si stia cercando di appendere alla parete un pesante arazzo con gli stessi martello e chiodino utilizzati per un modesto acquerello.

Può reggere?

A situazione straordinaria, strumenti straordinari: o no?

Il prefetto Morcone conclude infine con una condivisibilissima notazione: “Stiamo parlando di persone (…)”.

Assolutamente sacrosanto, perciò, che si agisca con il massimo rispetto della loro dignità.

Altrettanto se si decida di estendere la accoglienza a chiunque fugga non necessariamente da guerre e persecuzioni ma anche “solamente” da fame e miseria.

Scelta eminentemente politica, sulla quale ovviamente ci si astiene.

In tal caso, tuttavia, l’obiettivo andrebbe dichiarato, considerato pure che le disposizioni e misure dedicate ai “soli” richiedenti asilo e rifugiati, potrebbero forse risultare non adatte allo scopo.

Un loro improprio utilizzo potrebbe anzi rivelarsi perfino controproducente, dannoso e deleterio.

Come quando si finisca con lo spanare irrimediabilmente la testa di una vite a croce pretendendo di usare un cacciavite normale in luogo di quello a stella.

In questi giorni, per il parere, è all’esame delle competenti commissioni parlamentari lo schema di decreto legislativo concernente il recepimento della direttiva UE sulla accoglienza dei richiedenti asilo(atto Governo 130).

Un eccellente, intelligente e certosino lavoro, una specie di (ormai indispensabile) “testo unico” in materia, peraltro inevitabilmente vincolato nella sostanza dal recepimento di una norma comunitaria.

Da una prima quanto fugace lettura, per ciò stesso ancora più potenzialmente fallace, nella eventualità di rigetto della istanza di riconoscimento da parte della Commissione, le misure di accoglienza continuerebbero a essere erogate ben oltre il limite stabilito dalla vigente disciplina: fin quando, si perdoni l’estrema sintesi, l’interessato non sia in grado di sostentarsi autonomamente.

Significativi i riflessi che potranno riverberarsi sul turn over nelle strutture, poiché la permanenza media nelle stesse tenderà probabilmente a dilatarsi.

Molto si giocherà sui tempi di esame delle istanze presso le competenti commissioni e, in caso di rigetto, dei prevedibili ricorsi avanti la autorità giudiziaria.

Viceversa, positivi gli effetti che ne deriveranno per i Comuni che vedranno in tal modo rinviati i possibili impatti, sui rispettivi ambiti e servizi, scaturenti dalla cessazione delle misure di accoglienza.

Per altro verso, a costanza di nuovi arrivi, nelle condizioni e con le modalità attuali, pur tenendo conto delle recenti intese intervenute in sede europea, il sistema di accoglienza difficilmente reggerà all’infinito senza turn over.

Palestre di scuole, tendopoli, iniziano infatti a essere all’ordine del giorno.

Sarebbe peraltro interessante una analisi dell’andamento del turn over nel corso di questo anno e mezzo.

Le nuove disposizioni, inoltre, dai correnti sei, anticipano al terzo mese dalla presentazione della domanda il rilascio al richiedente asilo del permesso per svolgere attività lavorativa.

Ci si chiede, in proposito, se non possa essere esplorata la possibilità della istituzione di uno speciale albo di collocamento cui iscrivere tutti i richiedenti asilo prevedendo, in caso di mancata accettazione della occupazione proposta o di suo ingiustificato abbandono, che gli interessati perdano diritto alle misure di accoglienza.

Il rischio, altrimenti, è che i medesimi siano disincentivati dall’impegnarsi in qualche attività – che può tra l’altro favorire il processo di integrazione – inducendoli anzi, finché sia possibile, a fruire passivamente del sistema di ospitalità, magari orientandosi al contempo verso il “nero” o “altro”.

Pare inoltre che sia stato cancellato il contributo economico da erogare provvisoriamente ai richiedenti asilo nel caso di temporanea impossibilità, per saturazione delle medesime, a ospitarli nelle apposite strutture.

Se così fosse, se ne comprenderebbe il senso politico.

Legare indissolubilmente misure di accoglienza a residenza nelle strutture, impedisce però, nella rammentata ipotesi di saturazione, la somministrazione anche di un semplice piatto di pasta.

E in ogni caso: nella assoluta impossibilità di ospitalità, cosa si fa?

La sensazione è che l’intero impianto normativo sia immaginato per accadimenti contenuti nel tempo e nelle dimensioni, non per quelli, epocali, che si stanno registrando.

E così, alla fine, eccoci di nuovo a “ripassare dal via”: è o no, questa, una situazione straordinaria? Nella affermativa, gli strumenti sono idonei?

Tanto vi sarebbe ancora da dire, come per esempio riguardo le commissioni territoriali e le conseguenze derivanti dall’indirizzo che (almeno alcune di esse) si starebbero dando in tema di predisposizione del calendario dei lavori.

Ve ne sarà tempo e luogo.

Nel frattempo, saremmo ben lieti, come già richiesto formalmente, di essere ricevuti dall’On.le Ministro.

Non per brandire supposte asce di guerra, sottoporre lamentazioni, richieste corporative od organizzazioni di party in prefettura.

Quanto, invece, per offrire, lealmente e con assoluto spirito di collaborazione, i nostri contributi di riflessione e proposte.

Onorevole Signor Ministro,

rimaniamo in attesa di un cortese cenno di riscontro e Le porgiamo intanto sentiti saluti.

*Presidente di AP-Associazione Prefettizi
 
Comunicato stampa Accoglienza Migranti