di Antonio Corona*

Breve cronistoria.

Il 18 dello scorso mese di settembre, l’Amministrazione trasmette alle OO.SS. prefettizie lo schema di una integrazione al vigente Protocollo di accordo per la prevenzione e la sicurezza in ordine all’emergenza sanitaria da “Covid-19”, sottoscritto il 28 maggio c.a., chiedendo eventuali contributi.

In proposito, AP risponde rappresentando la necessità di previ chiarimenti e riservandosi pertanto all’esito dell’incontro convocato per il successivo giorno 24.

In tale occasione, l’Amministrazione informa di modifiche apportate al documento precedentemente trasmesso(modifiche che, soggiunge, hanno recepito talune delle proposte nel frattempo pervenutele) illustrandole oralmente.

Attesa la evidente “irritualità”, AP si dichiara impossibilitata a ogni considerazione se non dopo avere potuto esaminare compiutamente il testo del protocollo come emendato.

Che viene diramato il 25 settembre.

Il 30, nuovo incontro.

Stavolta, interrotto dall’Amministrazione per insistita trasmissione in streaming della riunione in atto effettuata, senza autorizzazione, da una delle sigle presenti.

Non avendo così avuto modo di esporre alcunché, AP si premura di richiedere una nuova convocazione.

Il 1° ottobre, altra versione del protocollo, unita a spoglia e-mail di accompagnamento.

Il 6, convocazione per il successivo giorno 9.

Inopinatamente, a sorpresa, corredato delle circolari di rito, l’8 ottobre viene inoltrato agli Uffici centrali e periferici dell’Amministrazione il protocollo definitivo(!): già sottoscritto da pressoché tutte le OO.SS. del personale contrattualizzato dell’Amministrazione civile dell’Interno(!!).

Data del documento, 2 ottobre.

Ovvero, ben quattro giorni prima di quella della nota di indizione dell’incontro del 9 ottobre(!!!).

AP decide infine di parteciparvi ugualmente, intenzionata a non rinunciare a offrire comunque il contributo delle sue riflessioni.

E, non meno importante, risoluta a non venire meno a quel rispetto che ha sempre informato i suoi rapporti nei confronti dell’Amministrazione, sebbene da questa nella circostanza ricambiata con assai diversa moneta.

Beninteso.

Da un punto di vista squisitamente formale, è verosimile che l’Amministrazione si ritenga esente da censura.

In fondo, non ha trasmesso alle OO.SS. prefettizie il testo definitivo del protocollo il 1° ottobre, ovvero il giorno prima della sua sottoscrizione da pressoché tutte le altre sigle?

E, come riportato a chiare lettere nel protocollo, non è inoltre vero che – a norma dell’art. 4, lett. h), del d.P.R. n. 247/2002 – ad esse sia dovuta la sola, mera informazione, e non altro, riguardo “le misure in materia di igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro”?

Le somme al paziente lettore.

Rimane nondimeno, il suo, un comportamento con scolpite, nitide e indelebili, le impronte di una gratuita, rara, incomprensibile, villania relazionale.

Il documento si mostra come un contenitore di misure eterogenee, alcune attinenti alla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, altre alla organizzazione delle attività, se non del tutto estranee a detta tutela, tutt’al più non oltre che in qualche modo a essa genericamente funzionali.

Nulla di drammatico, per carità, si è visto di peggio.

Non fosse, però, che per la disposizione di chiusura: “(…) Il datore di lavoro è tenuto all’attuazione di tali misure, con la collaborazione del RSSP, del Medico competente e del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, previo aggiornamento del DVR (Documento di Valutazione del Rischio) con la valutazione del rischio da SARS-Cov-2 (…)”.

In tal guisa, senza cioè che sia operata alcuna distinzione tra le predette misure, tutte indistintamente appaiono allora attratte dalla normativa ex d.lgs n. 81/2008(Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) e ivi andarsi a inquadrare, con quanto ne consegua sul versante sanzionatorio.

Nella riunione del 9, l’Amministrazione:

  • sulla prima osservazione, ha replicato pronunciandosi per la “interpretabilità” del protocollo(ci si tornerà);
  • sulla seconda, sebbene sollecitata, e nonostante risulti non proprio indifferente il tipo di sanzione nella quale potere andare a incorrere, non si è espressa affatto, in linea peraltro con il silenzio osservato sul punto dalle circolari di accompagnamento.

Questione, questa delle sanzioni, di non poco conto, che trae origine dalla tutela infortunistica riconosciuta ai lavoratori che abbiano contratto l’infezione SARS-Cov-2 in occasione di lavoro secondo, se si sia ben compreso, il principio giuridico che equipara la causa virulenta alla causa violenta propria dell’infortunio(v., art. 2/c.2, d.l. n. 18/2020, convertito dalla l. n. 27/2020).

Questione di non poco conto, si diceva, considerato che l’impianto sanzionatorio dettato dal d.lgs n. 81/2008 sia di prevalente natura penale.

Si pensi, per esempio, al combinato disposto degli artt. 59/c.1, lett. a), e 20/c.2, d.lgs n. 81/2008, per il quale i lavoratori sono puniti con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda da 200 a 600euro per inosservanza delle disposizioni e istruzioni impartite dal datore di lavoro, come pure per uso non corretto delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di sicurezza, e via discorrendo.

O, ancora, ai dirigenti e al datore di lavoro, che, in aggiunta alle eventuali loro proprie, ai sensi dell’art. 18/c. 3-bis(d.lgs cit.) rispondono anche delle violazioni dei dipendenti ove sia riscontrabile un difetto di vigilanza(estremamente probabile, attesa la diffusa mancanza di preposti).

Questione di non poco conto, si insiste, atteso che al contempo e paradossalmente, invece, la generalità delle violazioni alle misure contenute nei dd.l. e dd.P.C.M. di contrasto alla corrente pandemia, anch’esse inizialmente di ordine penale ma successivamente depenalizzate nella quasi totalità, sono ormai sanzionate quasi esclusivamente in via amministrativa.

Sia come sia, qualcosa si sarebbe potuto comunque perlomeno tentare per ricondurre il tutto entro limiti di ragionevole proporzionalità.

A iniziare  dalla redazione del documento, separando le… mele dalle pere.

Ovvero, distinguendo le misure in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro stricto sensu(per intendersi, quelle indicate alle lettere g, j, k, l del protocollo in parola) da tutte le altre e segnando con esse il perimetro invalicabile di eventuale applicazione del regime sanzionatorio ex d.lgs n. 81/2008.

L’atto qui in trattazione integra, si ripete, il protocollo del 28 maggio che offre assai meno motivi di perplessità e che, non a caso, è stato sottoscritto all’epoca pure da AP a seguito, soprattutto di una intervenuta modifica sostanziale da essa stessa richiesta.

Venne cioè eliminata la previsione che pilatescamente rimetteva al datore di lavoro l’onere della individuazione di ogni altra misura occorrente, sostituendola con “Il presente protocollo (…) reca tutte le misure considerate necessarie e, perciò, come tali ritenute sufficienti ai fini del medesimo indicati. (…)”.

Con la facoltà, e non altro, di implementare le suddette misure in sede territoriale.

AP sostenne infatti, e continua a sostenere che, come è giusto che sia, il protocollo debba assicurare la migliore tutela al lavoratore, ma altresì evitare locuzioni indeterminate(tipo “misure adeguate”, ecc.) che possano un giorno far chiamare il datore di lavoro a doversi giustificare per un qualsiasi evento in ragione dello “stava dunque a te prevedere pure che…”.

Il protocollo, insomma, accanto alle responsabilità, deve essere “chiuso”, “chiavi in mano” – anche, come in questo caso, nella sua finalità di “cornice” di successivi, discendenti accordi – ossia deve indicare e delimitare con chiarezza le corrispondenti fattispecie, senza rinviarle a individuazioni… differite e soggettive.

Esattamente il contrario, va rilevato, di quanto recato in diversi punti del protocollo qui in trattazione che, esemplificativamente, tra l’altro testualmente recita: “(…) Il datore di lavoro è tenuto all’attuazione di tali misure (…) identificando misure organizzative, di prevenzione e protezione adeguate al rischio da esposizione a SARS-CoV-2, nell’ottica della tutela della salute dei lavoratori (…) e dell’utenza; (…)”.

Complimenti, sembra che si sia riusciti (volutamente?, sciattamente?) a fare rientrare dalla finestra ciò che precedentemente era stato giudiziosamente messo alla porta(a proposito, quali, e da chi, le eventuali sanzioni per l’utenza?), con ciò che potrà discenderne.

Con l’occasione.

Non sarebbe male se, almeno ora, a scanso di (ulteriori) possibili fraintendimenti, qualcuno si peritasse per cortesia di decrittare e spiegare comprensibilmente il significato, il senso della disposizione per la quale il datore di lavoro è tenuto all’attuazione delle misure del protocollo “(…) b) ponendo particolare attenzione alla gestione dei casi di sospetta sintomatologia da Covid-19 che dovessero rilevarsi negli uffici tra il personale e l’utenza. (…)”.

Questo, in estrema sintesi, senza entrare nel merito delle singole misure, quanto accaduto e nella sostanza vanamente rappresentato da AP nell’appassionato confronto con l’Amministrazione.

Che, si consenta il dire, ha dato la netta impressione di avere gestito la vicenda, probabilmente poiché pressata da una infinità di urgenze, con l’intento di assolvere prima possibile un mero adempimento burocratico che, tuttavia, solo burocratico proprio non è.

Spiace.

Spiace poiché sarebbe bastato veramente tanto poco, ascoltare tutti, nessuno escluso, per poi decidere se e come avvalersi o meno dei diversi contributi.

L’Amministrazione ha viceversa tirato dritto, sicura nelle sue granitiche convinzioni.

Non troverà perciò alcuna difficoltà, soltanto se lo vorrà, a esporre la sua sulle illustrate considerazioni, magari con un intervento che, si è certi, il commento sarà ben lieto di ospitare.

In conclusione.

Consigli non richiesti?

In sede decentrata, operare la separazione delle… mele dalle pere, in ispecie per la asserita, dalla Amministrazione, interpretabilità della integrazione al protocollo in narrativa.

E poi, dita saldamente incrociate e… casco ben allacciato!

*Presidente di AP-Associazione Prefettizi