di Antonio Corona*
Qualche anno fa appena, a quanti spronavano ad affrontare la crisi con fiducia in se stessi e speranza nell’avvenire, almeno altrettanti, non ultimo sulla e dalla stampa estera, insorgevano replicando veementemente che occorresse piuttosto una vigorosa operazione verità per mostrare ai cittadini la cruda realtà, senza indulgere in fuorvianti illusioni.
Oggi, i ruoli si sono pressoché invertiti, gli ottimisti di ieri si sono trasformati nei pessimisti di oggi e viceversa.
Come da copione, si direbbe. Lentamente ma inesorabilmente, alimentato da crescenti fattori di peggioramento generale, si è nel frattempo finiti con lo sprofondare in un clima di incertezza, depressione, paura che, fino quasi a paralizzarli, attanaglia settori sempre più estesi della popolazione.
Eppure, “nonostante” gli implacabili verdetti delle agenzie di rating internazionale, lo spread tra btp italiani e bond tedeschi, da quasi seicento punti, è per esempio crollato, trascinandosi appresso i tassi di interesse dei nostri titoli. Sarà stato anche per l’intervento della BCE, ma la differenza è e rimane assolutamente cospicua.
Inoltre, dopo un tempo parso infinito, si prevede ragionevolmente un pil di nuovo col segno “+”. Magari per uno zero virgola, indice comunque di una inversione di tendenza, per quanto da sostenere e consolidare.
Nondimeno, come non di rado accade in tema di “sicurezza”, pure quando faccia registrare segnali confortanti in termini di capacità di contrasto dei reati, la percezione diffusa continua a orientarsi al pessimismo.
Certo, non aiutano chiusura di tante, troppe aziende, licenziamenti, disoccupazione.
Da parte sua, il Governo ha avviato una serie di iniziative per smuovere questa situazione di stagnazione.
Tra le più importanti, la battaglia che sta conducendo in Europa: crescita al posto di austerità.
Non si entra, qui, nel merito del dibattito.
È ben nota la posizione dello scrivente che sin da tempi non sospetti, quando imperava pressoché incontrastata la dottrina del rigore, su queste stesse colonne auspicava una netta inversione di rotta, evidenziava i pericoli rappresentati dal fiscal compact, autentico macigno appeso al collo della ripresa, capace di affondare Italia&Co.
In definitiva, quello tra debito pubblico e pil è pur sempre un semplice rapporto, in cui il denominatore è rilevante quanto il numeratore.
Il suo costante peggioramento negli ultimi anni è, non tanto o non solamente, dovuto all’aumento dell’indebitamento in valore assoluto dello Stato(numeratore), quanto alla contestuale diminuzione della produzione di ricchezza(denominatore), sulla quale occorre pertanto operare per stimolarne l’aumento.
Migliorare tale rapporto risponde non soltanto alla mera osservanza di un parametro astratto, bensì a liberare risorse per poterle impiegare.
Importa allora che da ogni dove si condivida la ineludibile e inderogabile necessità di uno scatto di reni: senza sviluppo è infatti arduo ipotizzare un futuro migliore di questo travagliato presente.
Nella medesima direzione il Governo sta opportunamente insistendo in sede europea sulla necessità di investimenti pubblici poiché, se non altro in una prima fase, è difficile che l’economia riparta grazie alla sola iniziativa privata.
Nessuno può dire sin d’ora con quali esiti.
La direzione imboccata però, oggi, è quella giusta.
Non si intende indugiare su considerazioni in proposito.
Una esortazione sembra tuttavia lecita.
È quella, rivolta a ciascuno di noi, a non rimanere affacciati passivamente alla finestra per vedere cosa accada, come se quanto accada in fondo non ci riguardi.
Ognuno faccia quanto è nelle proprie possibilità, tanto o poco che sia.
Potrà bastare o meno, si vedrà, guai a ritrovarsi un giorno a fare i conti con i rimpianti per ciò che si sarebbe potuto e non si è fatto.
Le prefetture?
Al pari di quelli precedenti, il 2014 è stato un anno particolarmente intenso.
Al quotidiano, si è aggiunta infatti… “puntuale” la impegnativa gestione delle ricorrenti emergenze di protezione civile in conseguenza di un uso scellerato del territorio.
Con strumenti ordinari e dunque decisamente inadeguati alla assoluta straordinarietà della circostanza, sovente senza alcuna collaborazione degli enti in loco, anzi, si è dovuto provvedere alla accoglienza e sistemazione di decine e decine di migliaia di migranti approdati sul suolo nostrano.
Corruzione, malaffare, infiltrazioni della criminalità organizzata?
Istituita prontamente la Autorità Nazionale Anticorruzione(buon lavoro, dr. Cantone), le prefetture, guarda un po’?!?, ne costituiscono il braccio operativo.
Appalti correlati a Expo2015, mafia capitale?
Chiedere per informazioni alle prefetture di Milano e Roma, impegnate nell’ergere un argine a una illegalità dilagante.
Istituzioni locali e organizzazioni varie, singoli cittadini che cercano nelle prefetture, che mai si sottraggono, punti di riferimento ancor più in una situazione istituzionale in divenire di cui risulta azzardato ipotizzare le future ricadute sul territorio.
Analogamente accade per tensioni sociali, vertenze di lavoro di complessità sempre maggiore.
Strategico il ruolo delle prefetture nel campo della sicurezza.
Settore peraltro che, se pure presenti elementi confortanti sul versante della attività generale di contrasto, necessita costantemente di approfondite riflessioni per adeguarsi a scenari in continua evoluzione.
Senza prendere a paradigma casi purtroppo non infrequenti di autori di abominevoli gesti che poi si tolgono la vita, a iniziare dall’almeno apparente venire meno della deterrenza della pena. Invocando comprensione per l’estrema semplificazione, la presenza di una “divisa”, e con essa dello Stato che rappresenta, su piazze e zone del Paese di elevata criticità sollecita oggi un rispetto assai diverso dall’epoca del personaggio interpretato inarrivabilmente da Vittorio De Sica in Pane, amore e fantasia.
E con questo occorre fare i conti, come pure con una fibrillazione generale alimentata da una difficilissima congiuntura economica, con quanti, delusi dal mancato compimento delle utopie dell’estremismo politico, potrebbero rimanere ammaliati da quelle della intransigenza religiosa per la loro valenza anti-sistema.
Si potrebbe continuare.
Quel che è certo è che quando occorra qualcosa, possibilmente difficile, ostico e non… remunerativo, non si esita a pigiare il pulsante delle prefetture perché, seppure tra mille difficoltà, a cominciare dalla carenza di personale, si sa che una risposta la danno sempre, di norma all’altezza.
E dire che si pensa a una loro riduzione:
ops…, pardon!, a razionalizzarle.
Comunque sia, le prefetture continueranno a svolgere fino in fondo la loro parte.
Non da meno saranno Forze di polizia e Vigili del fuoco.
Altrettanto è lecito aspettarsi dai tanti che con genuino senso civico lavorano e ricoprono incarichi in enti periferici e locali. Nella ricchezza della varietà di ruolo e responsabilità, alle Istituzioni il preciso compito di sapere agire e interagire nell’interesse supremo ed esclusivo della collettività. Ai cittadini, l’invito a non smettere di avere fiducia e di riconoscersi in esse, espressioni di un Paese democratico quale, da noi per primi talvolta non abbastanza amata e onorata, è questa nostra meravigliosa Italia.
A ognuno di noi, trovare le energie e le risorse, anche morali, per non darla vinta a questa crisi. A ben vedere, quello che ci riuscì un secolo fa.
Nel 2015 ricorre il centenario della entrata dell’Italia nella Grande Guerra, la IV guerra di indipendenza, quella che suggellò il Risorgimento, come è stata definita da alcuni; da altri, come l’originario atto di un conflitto mondiale durato trent’anni, il settantesimo della cui conclusione, in Europa sulle rovine di Berlino, sarà celebrato anch’esso il prossimo anno.
Pure un secolo fa attraversammo momenti di profondi crisi, costernazione, disorientamento, abbattimento.
Caporetto ci fece affacciare sul baratro spalancato di una nostra irrimediabile disfatta. Così non andò, così non permettemmo che andasse. Ci attestammo sul Piave, i ragazzi del ’99 a innestare trepidanti le baionette sulle canne dei moschetti, ragazzi strappati alla loro adolescenza e scopertisi d’un tratto adulti, adulti che in molti di loro mai sarebbero però poi diventati, falcidiati come furono dalle mitragliatrici nemiche. Da lì, da dove tre anni prima tutto ebbe inizio, partì la riscossa che ci condusse vittoriosi a Vittorio Veneto. A ciascuno di noi, oggi, dimostrarci ed essere degni del coraggio e del sacrificio degli Italiani di allora.
Non avendo pudore a sorprenderci a canticchiare, magari anche per trovarvi un po’ di conforto, poche semplici parole di un tempo, un tempo che così tante passioni suscitò in nome di un ideale che ci fece stringere forte l’un l’altro, un tempo che ci inorgoglirà per sempre: “Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il ventiquattro maggio…”.
Una nota personale.
Il 2014 si è concluso per mia sorella Roberta e per me con la dolorosissima perdita della nostra amatissima mamma. Siete stati così tanti a volere farci sentire la vostra affettuosa vicinanza, che avremmo difficoltà a ringraziarvi uno per uno. Permetteteci, allora, di farlo da qui:
grazie, di cuore. Buon Anno.