di Leopoldo Falco

L’Italia è bella e ci sorprende sempre per il suo fascino e la ricchezza, e varietà, delle sue meraviglie.

Commissario a Sezze Romano negli anni 2006-7, mi trovai a vivere in un microcosmo particolarissimo che non avrei mai immaginato di conoscere.

Sezze è collocata nei Monti Lepini su una sorta di balcone naturale che dall’alto guarda la sottostante piana, ex palude, e il mare, con sullo sfondo il promontorio del Circeo.

Eppure, a fronte di tale bellezza la storia di Sezze si è sempre svolta sull’altopiano retrostante in collegamento, fisico e culturale, con gli altri paesi che popolano quella realtà: con sullo sfondo il magnifico e selvaggio parco della Semprevisa.

In questo mondo diverso, e per più aspetti distante dal contesto a valle, possono accadere strane storie… e quelle che vado a narrare riguardano un cavallo e un istrice…

Negli ultimi giorni del 2006 festeggiavo le festività natalizie in famiglia quando ricevetti una allarmata telefonata dall’architetto del Comune che mi rappresentava che un cavallo era precipitato in un burrone che si trova nelle immediate vicinanze della città e che la carcassa andava rapidamente recuperata.

Solo che, in presenza di condizioni meteo non favorevoli e di un forte vento, l’elicottero del personale incaricato del lugubre recupero non aveva potuto calarsi nella rigogliosa gola nella quale vi era una intricatissima foresta.

Al momento la decisione da prendere era scontata: l’intervento andava rinviato al giorno successivo confidando in un tempo più clemente.

Così andò e il giorno seguente attendevo la telefonata dell’architetto che mi rassicurasse del buon esito dell’operazione di imbracamento e sollevamento dell’animale.

La telefonata puntualmente arrivò con esiti sorprendenti: il funzionario rideva e mi ripeteva “Commissario, festa grande”.

Invitato a spiegare il senso delle sue affermazioni e il motivo di tanta ilarità, mi chiarì che il cavallo che il giorno prima avevano visto dall’alto ora non vi era più, in quanto era stato interamente divorato dagli abitanti di quella foresta così vicina a Sezze.

E alla mia domanda su quali fossero questi abitanti della foresta, la risposta fu evasiva: forse dei lupi, o addirittura dei topi… o chissà quale fiera presente in loco…

Confermando in me la sensazione che mi trovavo in una realtà incredibile, nella quale tutto era possibile…

Un secondo episodio confermò questa sensazione.

Alcuni valenti cacciatori sezzesi mi raccontavano della loro passione per la caccia, indicandomi tra le prede più ambite l’istrice, presente in loco, la cui cattura era peraltro vietatissima.

Mi parlavano della delicatezza della sua carne e anche delle strane caratteristiche dell’animale, a loro dire, in grado di “sparare” i propri aculei con tale violenza da riuscire a bucare il copertone di un camion!

Mi raccontavano anche che l’istrice, che loro chiamavano “barussa” e che aveva le dimensioni di un cagnolino, quando veniva ferito o catturato piangeva emettendo un verso simile al pianto di un bambino.

Ascoltavo affascinato questi racconti…

Sennonché un giorno, al ristorante che saltuariamente frequentavo, il gestore, con evidente simpatia verso quello che comunque era il Commissario cittadino e in quanto tale il garante in loco della legalità, mi portò un assaggio che a suo dire assolutamente non potevo perdere.

Mi disse che si trattava di un istrice che lui non aveva cacciato perché l’animale si era suicidato… e che in quanto tale riteneva di potermelo proporre senza crearmi imbarazzi…

L’imbarazzo vi fu, sia perché questa storia del suicidio appariva almeno incerta, quanto perché confesso che il racconto del “pianto del bambino” mi aveva colpito e mi sembrava ora di essere una sorta di cannibale che si cibava di una creatura così delicata.

Ciononostante assaggiai la portata, che si rivelò squisita, ragionando sul fatto che ormai l’evento era stato consumato e che tutto sommato non avevo ordinato l’assaggio che mi era stato offerto per farmi condividere qualcosa che il mio interlocutore mi proponeva con evidente affetto…

Messa così a posto la coscienza di rigoroso rappresentante dello Stato, riflettei su come fosse bello in quel contesto essere trattato come uno di loro, ancorché rappresentante di uno Stato avvertito come lontano e a sua volta sorprendente.

Come probabilmente diverso e sorprendente appariva il sottoscritto nell’assolvimento delle sue funzioni…