di Antonio Corona

Uomini, donne, bambini, stipati su improbabili imbarcazioni.

Disperati a implorare soccorso, abbandonati al proprio destino in balìa delle onde, inesorabilmente prossimi ad annunciati naufragi.

Un vero e proprio ricatto, morale, con il quale trafficanti di persone tentano di forzare la mano a recalcitranti Paesi di pretesa destinazione, di aprire una breccia nel sentiment di governi e opinioni pubbliche non adusi a indifferente ferocia.

Governi e opinioni pubbliche divisi e litigiosi nella risposta benché si peritino, in ogni tempo e luogo, di professarsi inscindibilmente legati a comuni destini.

La linea assunta dall’attuale inquilino del Viminale ha suscitato un vespaio.

“Non c’è nemmeno alcuna emergenza, ora!

Perché dunque tanto cinismo, sbarrare ostinatamente i porti ad appena qualche decina di migranti, esponendoli a inusitati pericoli e sofferenze?

Questa è la civiltà di cui meniamo vanto?

Questa è la solidarietà, umana, della quale dimostriamo di essere concretamente capaci nei fatti?”.

Possono condividersene o meno le posizioni.

Pare potersi tuttavia immaginare che, a prescindere da motivazioni di consolidamento del consenso, egli abbia ritenuto inviare un messaggio forte e chiaro sin da subito, in un periodo di relativa tranquillità, senza stare a procrastinarlo dal bel mezzo, magari, di una autentica catastrofe umanitaria in corso.

“Le cose vanno maneggiate fredde”, ammonisce un Grande di noi, Maestro per tanti di noi.

È per altro verso probabile che i trafficanti di persone confidino nelle pressioni esercitate da importanti cancellerie europee su Roma, affinché si schiuda l’uscio a una vigorosa e remunerativa ripresa dei flussi, che potrebbe allora divenire difficilmente contenibile.

Innocenti, inermi e indifesi, utilizzati come veri e propri scudi umani.

Niente di nuovo, in vero.

Quanti ne sono stati così immolati in disparati tempi e situazioni.

Fare un passo indietro, dunque, in nome di sacrosanti principî umanitari?

Non cedere, sebbene con il battito in gola, di un cuore in tumulto alla spasmodica ricerca di una sostenibile connessione con le ragioni della fermezza?

Le democrazie occidentali non possono dichiararsi immuni da responsabilità di autentiche carneficine.

Quale che ne sia il prezzo in vite umane, fiaccare la resistenza altrui, favorire l’esito di guerre altrimenti eccessivamente onerose.

Queste, sovente, le priorità.

In epoche neppure giurassiche, Varsavia, Londra, Coventry

Lì, a colpire con inaudita spietatezza, fu il Terzo Reich.

Emulato nondimeno a Dresda, Hiroshima, Nagasaki…

Per edificare le fondamenta di un futuro di pace(almeno sul continente), dagli orrori di quelle immani tragedie ha preso progressivamente forma l’Europa che oggi conosciamo.

Europa tuttavia che, pure in ordine sparso, non disdegna del tutto il conflitto.

Talvolta per scopi inconfessabili, dissimulati sotto un tappeto di dichiarati, nobili fini e intenzioni.

Conflitto, in ispecie se boots on the ground, da guerreggiare altrove, preferibilmente per il tramite di interposti belligeranti.

E, per tacitare sonnacchiose coscienze, bombe intelligenti che scongiurino imbarazzanti danni collaterali, futuribili joystick da smanettare, come in un videogame, da basi poste al sicuro a distanze siderali dai luoghi di effettivo combattimento.

Niente schizzi di sangue che imbrattino il divano buono di casa dallo schermo dell’ultimo 65”4K HDR, assolutamente non di ragazzi da attendere al rimpatrio avvolti esanimi nella Bandiera.

Occhio non vede, cuore non duole!

Una prima, consistente diminuzione degli sbarchi è stata conseguita già durante il mandato del precedente Ministro dell’Interno.

Con l’attuale, si sta assistendo a una loro ulteriore, significativa riduzione.

Ha viceversa suscitato una qualche meraviglia l’interesse da egli manifestato verso il Gruppo di Visegrad, notoriamente da sempre ostile a qualsiasi ricollocamento/redistribuzione di migranti.

Visioni sovraniste a parte, chissà che ciò non preluda al perseguimento, in sede europea, di una condivisa linea di chiusura ermetica delle frontiere esterne dell’Unione, se non per ingressi previamente autorizzati.

Chiusura, è una mera ipotesi di scuola, da preferire persino a (eventuali) modifiche del trattato di Dublino che, con l’estensione dell’obbligo di esame delle domande d’asilo, da pochi predestinati per posizione geografica, all’intero Vecchio Continente, finiscano paradossalmente con il promuovere la ripresa del fenomeno.

Differenti le modalità di azione dei vertici politici, passato e presente, del Viminale, entrambi peraltro proiettati a definire intese con gli Stati di origine/transito dei flussi.

Il primo, sembra avere principalmente preferito privilegiare benevolenza e copertura politica dell’Europa, limitandosi a chiedere a Bruxelles la sola sponsorizzazione della iniziativa con cui ha imbrigliato le ONG operanti nel Canale di Sicilia.

Una Europa, va rammentato, che a suon di miliardi di euro, tappandosi gli occhi, ha affidato alla Turchia la sterilizzazione della rotta balcanica.

Il secondo, meno… soft, deciso manifestamente a realizzare quanto proclamato.

Non ultimo, potrebbe azzardarsi, per motivi di visibilità e competizione elettorale con l’alleato-rivale di governo.

Stupiscono taluno le controverse relazioni dell’Esecutivo gialloverde con tradizionali partner internazionali.

Per creare un immaginario nemico esterno a fine di tenuta del “fronte” interno?

Un responsabile da additare nel caso di eventuali difficoltà di realizzazione dei programmi proposti in campagna elettorale?

Oppure, per preparare il terreno a una trattativa a tutto campo dagli esiti non necessariamente scontati e sgraditi?