di Antonio Corona

1980/1981, Albenga
1981/1982, Rapallo Ruentes
1982/1983, Entella Bacezza
1984/1986, Entella Bacezza
1986, Spezia
1987/1989, Centese
1989/1992, Pistoiese
1992/1993, Giarre
1993/1994, Venezia(vice)
1994/1995, Venezia
1995/1997, Lecce
1997/1999, Cagliari
1999/2000, Sampdoria
2001/2002, Udinese
2002/2004, Cagliari
2004/2005, Napoli
2006, Messina
2006/2007, Verona
2007/2009, Pisa
2009/2011, Bari
2011/2016, Torino.
Miglior piazzamento in serie A, 7° posto(2013/2014, Torino).

2016-?, Nazionale italiana.

Esordio: Bari 1° settembre 2016, Italia-Francia 1-3.

Ultima(?) panchina: Milano, Stadio Giuseppe Meazza, 13 novembre 2017, Italia-Svezia 0-0.

Irrimediata la sconfitta subita all’andata(0-1).

L’Italia, quattrovoltequattro campione del mondo(1934, 1938, 1982, 2006), in ciò seconda solamente al Brasile(cinque titoli iridati); a un passo nel 1970, in Messico, dalla aggiudicazione definitiva della coppa Jules Rimet, perdendo in finale proprio con i carioca, è fuori dalla fase finale dei Mondiali(in Russia, l’anno prossimo).

Non accadeva dal 1958.

Scherzi del destino, quella edizione si svolse in… Svezia(!).

In pillole, questo il curriculum di Gian Piero Ventura, allenatore prima; CT della Nazionale poi.

Nel palmarès, diverse promozioni a serie superiori.

Null’altro.

A ognuno il suo.

Non si possono attribuire al CT le responsabilità delle macerie sotto le quali è seppellito il calcio italiano.

Il disastro delle qualificazioni ne è semplicemente la logica conseguenza.

Il livello tecnico dei giocatori nostrani è all’incirca nella media.

La differenza, allora, la fa la prestanza fisica.

Ciò che è accaduto con la Svezia.

Ovvero, quello che sarebbe probabilmente accaduto in Russia al cospetto di una qualsiasi squadra africana.

E dire che una delle nazionali più blasonate degli ultimi anni, la Spagna, pare invece costituita da un manipolo di folletti che nascondono la palla dietro frenetici fraseggi consentendo agli avversari di recuperarla soltanto quando è ormai finita in fondo alla (loro) rete.

Un po’ come il Napoli, insomma, in testa al campionato maggiore, quantunque con il significativo contributo di una folta colonia straniera di giocolieri.

Per carità, una partita si può perdere o vincere.

Si pensi a Italia-Brasile 3-2(Spagna 1982, “quarti”), a Italia-Argentina(Italia ‘90, semifinale) conclusasi ai (stramaledetti) rigori in favore dell’undici biancoceleste di Diego Armando Maradona.

Nondimeno, di solito si vince se si sia più forti, tecnicamente o fisicamente.

Meglio, se entrambi.

Ovvero, quello che purtroppo l’Italia da tempo non è.

Quanti sono gli indigeni in grado di saltare il rispettivo dirimpettaio, così anche determinando la c.d. superiorità numerica?

Vige un ossessivo dai e vai, come se la palla scottasse, mai da lavorare per alcun motivo ma da dare via subito e scattare per riprenderla di sponda.

Per certi versi, e con le debite proporzioni, la versione all’amatriciana(con l’occasione, avanti con questa ricostruzione) del tiki taka iberico.

Che tuttavia funziona se a velocità supersonica, praticabile solo se si abbia un grande controllo della sfera.

Capacità tecnica comunque bisognevole di grandi interpreti tattici, quale Andrés Iniesta.

Chi abbia qualche capello bianco, ricorderà probabilmente il mitico Nils Erik Liedholm, il “barone”, che dedicava costantemente parte degli allenamenti ai “fondamentali”.

Perché il Brasile ha vinto cinque campionati del mondo e continua a costituire stella di prima grandezza del firmamento mondiale?

Perché i suoi futuri assi, prima di essere inquadrati in asfissianti organizzazioni di gioco, si fanno le ossa per strada, dove si divertono a flirtare per ore con il pallone.

Certo, oggi, un Garrincha potrebbe avere un futuro soltanto producendosi a quadrupla velocità.

Ma pur sempre di magie sapendo.

Parafrasando una pubblicità, la velocità è niente senza controllo.

Tecnica, rapidità, senso tattico(/”testa”), visione di gioco.

Ci si illude troppo spesso di potere supplire esclusivamente con gli schemi(beninteso, sempre che ci siano…).

Ah, questi allenatori gonfi di un ego che mal sopporta il talento puro, come timorosi di vedersi rubare la scena…

Sarà per questo che ormai ci si diverta a seguire le partite solamente negli ultimi venti minuti quando, prede della stanchezza, le squadre si allungano e gli schemi saltano.

Le compagini di Arrigo Sacchi erano esemplari per disposizione e automatismi di gioco.

Tuttavia, senza le invenzioni negli ultimi trenta metri di un Marco Van Basten o di un Roberto Baggio…

Un Florenzi è un eccellente giocatore, corre, spinge, contrasta, ha “tiro”, sputa sangue dall’inizio fino al triplice fischio dell’arbitro, ma non gli si può chiedere di fare pure il… king maker.

Viene da mangiarsi le mani a pensare ai Pascutti, Mazzola, Capello, Rivera, Antognoni, Causio, Sala, Conti, Baggio, Donadoni, Del Piero, Totti – tanto per citare appena qualcuno degli ultimi quarant’anni – che, come se non bastasse, ci si è sovente permessi il lusso di mettere addirittura sulla graticola…

Tornando a Ventura.

Un bravo e onesto allenatore di caratura media.

Come media è la caratura attuale del calcio italiano.

Cosa ci si dovrebbe attendere da un CT della Nazionale?

Capacità di selezione, integrazione dei e tra i convocati in considerazione del poco tempo a disposizione, tattica.

A conti fatti, i giocatori da potere ragionevolmente impiegare, e impiegati, sono più o meno quelli chiamati.

Ciò che viceversa è certamente mancato a Ventura, è stato un “blocco”, un gruppo di giocatori abituati a giocare insieme, intorno al quale costruire la squadra.

Le nazionali del 1978 e 1982 si basavano su quello della Juventus autarchica e pluriscudettata degli anni della chiusura delle frontiere(rinforzata da Antognoni, Conti…).

In mancanza, logica imporrebbe la adozione di uno schema diffusamente praticato, tale da potervi meglio calare le individualità provenienti da squadre diverse.

Come si può pretendere allora di impuntarsi e perdere tempo appresso a un 4-2-4 che, in Italia e non solo, non gioca nessuno, dicasi, nessuno?

Rinsavito in tempo, il CT ha optato per un più confortevole e rassicurante 3-5-2.

Perno della squadra, Verratti, che tuttavia, per posizione in campo e motivi sconosciuti agli umani, (ripetutamente) non ha convinto.

E qui è stato lì lì per irrompere in soccorso l’italico stellone, la sorte, per un attimo sufficientemente lungo, è sembrata volgere misericordiosa lo sguardo verso il CT.

All’andata con la Svezia, Verratti intasca la seconda ammonizione, il ritorno a Milano gli è precluso per motivi disciplinari.

Sembra un segno del fato, tipo in hoc signo vinces

In campo Jorginho, playmaker indiscusso del Napoli, capolista in campionato.

Accanto all’italo-brasiliano ci si aspetta Insigne, per sfruttare l’affiatamento tra i due che militano nella stessa squadra.

E, infatti, gioca… Gabbiadini(buonissimo giocatore, peraltro).

Non solo.

Per buona parte del primo tempo, Jorginho viene ignorato dai compagni che sembrano viverlo come un corpo estraneo.

Sarà pure un caso, quando però Jorginho riesce finalmente a farsi vedere e a macinare lanci e geometrie, la squadra esprime i momenti di gioco migliore.

Intanto, si è perso un mucchio di tempo preziosissimo.

Con Insigne ad appassire in panchina.

Non è colpa di Ventura il parco dei giocatori ragionevolmente a disposizione.

La domanda, legittima, è se ci abbia capito qualcosa.

E la federazione? Responsabilità?

A iniziare da uno sciagurato campionato di serieA a venti squadre…?

Unica (si fa per dire) consolazione.

Visti i presupposti, non andare in Russia ci risparmierà almeno di patire ulteriori, prevedibili figuracce.

Vorrà dire che a giugno ce ne andremo tutti al mare.