di Antonio Corona

regeni

La morte?

Annunciata o meno che sia, siamo tutti pronti a farci cogliere puntualmente impreparati.

Ci danza accanto in continuazione, leggera, leggiadra, frusciante, impalpabile, invisibile.

Ci sfiora.

Spesso d’improvviso, senza preavviso, afferra ora l’uno ora l’altro per non lasciarlo più, come sfidando a mondo ignari compagni di gioco, consapevole di essere comunque lei, infine, ad averla sempre vinta.

Giocherella instancabile, lo scuote incessantemente, con un sacchetto dal quale, implacabile, estrae i numeretti della lotteria alla quale, nostro malgrado, siamo tutti iscritti di diritto.

Nondimeno, facciamo finta di niente.

Viviamo come se ogni giorno, almeno il nostro giorno, non debba e non possa mai essere l’ultimo, come se in ogni caso non debba e non possa toccare proprio a noi.

Chissà lo stato d’animo di quel ragazzo alla partenza per l’Egitto, nello zaino l’entusiasmo, nello sguardo la incosciente determinazione della sua giovane età.

Via, in viaggio con un progetto da realizzare.

Via, senza sapere di andare incontro all’appuntamento con i suoi barbari assassini.

D’accordo, morire ci sta, ci può stare: ma così?

Pietà, compassione, umana vicinanza.

In quale altro modo provare a stringersi intorno a quel corpo straziato, partecipare all’immenso dolore dei suoi cari…

Forse, con la verità su cosa avvenuto.

Verità che, se non consola, con la comprensione dell’accaduto, talvolta permette almeno di lasciare spazio a quella rassegnazione senza la quale risulta improbo pacificare l’animo, sottraendolo a una infinita disperazione.

La verità.

Almeno quella giudiziaria.

Ovvero, l’obiettivo a ragione atteso in situazioni normali.

Normali, appunto.

L’Italia ha richiesto di partecipare attivamente alle indagini in terra egiziana.

Comprensibile.

Con l’auspicio peraltro che, se non addirittura quale modalità di violazione della altrui sovranità, ciò non sia tuttavia percepito come sostanziale sfiducia nelle istituzioni di uno Stato che, pure, è considerato amico.

Le ipotesi seguite dai “segugi” delle due sponde sembrano divergere, se non confliggere.

“Non sono stati i nostri servizi segreti a ucciderlo”, sostiene lo stesso Presidente Al Sisi, che anzi si scaglia contro i media di quel Paese, censurandoli per avere creato dal nulla un caso che, a suo dire, non esisterebbe.

Non esattamente quello che, più o meno apertamente, ritiene di potere invece non escludere la parte italiana.

Dove sia il vero, potrebbe non averlo capito neanche Giulio mentre si spegneva lentamente tra immani sevizie.

Sia come sia, meglio, in termini generali, il dato effettivamente riscontrato rispetto a un esito preconfezionato della pista investigativa adottata.

Deduzione vs induzione.

Dal teorema astratto alla sua dimostrazione, ovvero dal dato empirico alla regola generale.

Basterebbe, chissà, una sana dose di pragmatismo e di onestà intellettuale, non necessariamente rinvenibile ogni volta nelle opinioni pubbliche.

I precedenti in proposito nella storia nostrana non inducono a sfrenato ottimismo.

In più di un caso, le vicende italiche, da molti, stentano a essere finalmente considerate risolte, e quindi superate, perché le conclusioni non coincidono con le aspettative iniziali.

E, così, si fa fatica a mettervi sopra una pietra tombale con incisa, a chiare lettere, la parola fine.

In tanti, a camminare con la testa rivolta all’indietro.

Per carità, tutto il mondo è paese.

Si pensi ai cospirazionisti che si interrogano tuttora sui reali autori dell’11 settembre: “la CIA!”, neanche a dirlo.

Per non dire di quanti continuino a essere convinti che l’allunaggio non sia avvenuto, bensì costruito ad arte al pari di un qualsiasi prodotto di marca hollywoodiana.

Certo, rimettersi completamente nelle mani delle autorità de il Cairo, fidarsi ciecamente delle loro capacità e imparzialità, non pare del tutto agevole.

Per altro verso, è concretamente possibile la ammissione da parte dello Stato egiziano di una diretta responsabilità di suoi settori?

Varrà rammentare che Al Sisi ha conquistato il potere con un putsch, estromettendo coloro che, almeno formalmente, lo avevano ottenuto per via democratica sull’onda della mitizzata primavera araba.

E il rocambolesco accaduto non è dispiaciuto a quanti temevano una deriva islamista del gigante africano.

È interesse comune e condiviso annientare(?) la minaccia dell’Isis o di chi per esso.

Il nuovo governo libico, di recente insediatosi, non mostra al momento sufficiente presa per scongiurare lo sprofondamento nella anarchia di quel territorio, con intuibili, catastrofiche conseguenze.

Il nord Africa sta ballando e aumentarne la instabilità non giova a nessuno.

E, dunque, si nutre qualche difficoltà a credere che, se pure se ne evidenziasse la responsabilità, si possa mettere il Cairo alla sbarra.

Si immagini la spinta che potrebbero trarne gli oppositori del regime, specie coloro non animati da pulsioni di moderno e laico liberalismo.

Tutto può accadere.

Non può al contempo escludersi a priori che, alla fine, ci si acconci su conclusioni che possano risultare accettabili da entrambe le sponde del mediterraneo.

Il sentiero è stretto e impervio, la diplomazia al lavoro si misura con il difficile compito di reclamare la sacrosanta ricerca della vera verità, dovendola coniugare con la esigenza di non minare alle fondamenta le fragili istituzioni egiziane.

Sullo sfondo, l’immenso giacimento di metano scoperto in questi tempi dall’ENI in terra egizia e a esso affidato, un ENI peraltro ancora intento a leccarsi le ferite dopo l’abbattimento di Gheddafi e la crescente concorrenza di Total sul bel suol d’amore.

Con i francesi che, da par loro, non paiono disposti a non cogliere ogni circostanza a loro favorevole.

Le rammentate dichiarazioni di Al Sisi sembrano non aiutare la soluzione a breve della vicenda.

In mancanza di alternative, potrebbe allora tornare sempre utile il rinvenimento di una qualche scheggia impazzita in quei servizi, così assolvendoli come istituzione e scaricando tutte le colpe su qualche infedele traditore.

Beninteso, anche questa è una mera illazione.

Stiamo a vedere.