speciale trentennale

(1992-2022)

 

parte prima

Guerra dei cent’anni.
25 ottobre 1415, Agincourt.
Lì, sul campo, a fronteggiarsi,
da una parte, il re inglese Enrico V, giovane e determinato,
al comando di settemila soldati, tra le cui fila i formidabili arcieri;
dall’altra, il re folle, Carlo VI di Francia,
ventimila armigeri, forte della temutissima cavalleria pesante dei suoi nobili.
Nell’imminenza della durissima battaglia,
Enrico V si rivolge ai suoi militi per spronarne coraggio e speranza.
È il giorno di San Crispino e San Crispiano.
Così, sono stati immortalati quegli attimi intensi.

 

«(…) Chi è mai che desidera questo?
Mio cugino Westmoreland?
No, mio caro cugino.
Se è destino che si muoia, siamo già in numero più che sufficiente.
E se viviamo, meno siamo e più grande sarà la nostra parte di gloria.
In nome di Dio, ti prego, non desiderare un solo uomo di più. (…)
Oggi è la festa dei Santi Crispino e Crispiano.
Colui che sopravvivrà quest’oggi e tornerà a casa,
si leverà sulle punte sentendo nominare questo giorno,
e si farà più alto, al nome di Crispiano.
Chi vivrà questa giornata e arriverà alla vecchiaia,
(…) dimenticherà tutto il resto,
ma ricorderà con grande fierezza le gesta di quel giorno. (…)
Ogni brav’uomo racconterà al figlio,
e il giorno di Crispino e Crispiano non passerà mai,
da quest’oggi, fino alla fine del mondo,
senza che noi in esso non saremo menzionati.

Noi pochi. Noi felici, pochi.
Noi, manipolo di fratelli.
Poiché chi, oggi, verserà il suo sangue con me sarà mio fratello e,
per quanto umile la sua condizione, sarà da questo giorno elevata.
E tanti gentiluomini, ora a letto in patria,
si sentiranno maledetti per non essersi trovati oggi, qui,
e menomati nella loro virilità,
sentendo parlare chi ha combattuto,
con noi,
questo giorno di San Crispino! (…)»

(W. Shakespeare, Enrico V, atto quarto, scena tre)

 

Presentazione

Attenzione!

Chi intenda comunque andare avanti, da qui in poi lo fa del tutto a propri rischio e pericolo.

Sta infatti per addentrarsi in un… sorprendente racconto.

Il racconto di un significativo tratto di storia dell’A.N.F.A.C.I., l’Associazione Nazionale dei Funzionari dell’Amministrazione Civile dell’Interno.

Della carriera prefettizia, originariamente carriera direttiva amministrativa.

Dell’Amministrazione dell’Interno.

Il racconto della storia di un pugno di “giovani colleghi” che, un giorno, si misero in testa di cambiare il “mondo”.

E che, almeno in parte, quel mondo riuscirono a cambiarlo davvero.

Lungo il cammino, si unirono a loro, dimostratisi non da meno, alcuni lungimiranti “fratelli maggiori”.

Un racconto, dunque.

Il racconto della storia di iniziativa ‘92, di coloro che ne fecero parte.

Ne ricorre, oggi, il trentennale(1992-2022).

Sin dal principio, i‘92, sorta di “corrente” nata all’interno della Associazione, si presentò con connotati del tutto originali.

Non una lista rabberciata dell’ultimo momento, meramente funzionale al rinnovo degli organi statutari.

Bensì un “gruppo”, strutturato e organizzato, con una linea, progettuale e attuativa, ufficializzata il 23 gennaio 1992 con il documento di impianto Progetto per una idea.

Ai protagonisti, pure tra quelli che non la condivisero, nonché a semplici testimoni dell’epoca, ripercorrere fatti e circostanze, intrecciati sovente con vicende e sentimenti personali.

i‘92, se non soprattutto, è stata infatti una storia di persone.

Che seppero fare squadra.

Che, con coraggio, si misero in gioco per qualcosa di superiore.

Una storia vera.

La storia di cosa e quanto abbiano potuto in così pochi.

Della prima ora, qualcuno negli anni è diventato prefetto.

Nessun… “pezzo grosso”, però.

In compenso, sono stati, e rimasti tutti, quelli che sono.

Interpellati in proposito, si può essere certi della risposta di ciascuno di loro: “Sta bene così!”.

(an.cor.)

 

la storia

Antonio Corona

Vittorio Stelo

Antonio Corona (riprende)

Pier Luigi Magliozzi

 

Antonio Corona

C’era una volta…

Non cominciano di solito così, le storie?

Le storie…

Le favole, piuttosto.

Non questa che, con i suoi personaggi in carne e ossa, favola non è.

E non può esimersi da un previo, affettuosissimo pensiero a Franco, il compianto, “mitico”, Comm. (da ultimo, Grande Ufficiale) Lotti, per lungo tempo “colonna” e preziosissimo collaboratore dell’A.N.F.A.C.I..

Grazie, Franco, per essermi stato accanto.

Per il bene che mi hai voluto come a un figlio.

Per avere trepidato per me nelle tante vicende che – infine io stesso quale Segretario Generale, insieme agli amici di sempre, o che tali sarebbero diventati in iniziativa ‘92 – ho vissuto e affrontato nella e con l’Associazione.

Grazie di tutto, Vecchio Scarpone, non ti dimenticherò mai.

Dunque, come la vogliamo fare… “iniziare”, questa storia?

Come ogni altra che si rispetti: dal principio.

Ovvero, dal concorso vinto per consigliere di prefettura.

Qualifica peraltro immediatamente “retrocessa” a quella di vice consigliere di prefettura, per effetto della concomitante entrata in vigore del d.P.R. n. 340/1982 (però, che viatico!).

“Banale”, potrà obiettare taluno con sussiego.

Mica vero…

Fu infatti in esito a estenuanti “trattative” che infine concordai con mio papà, ex alto ufficiale del Corpo delle Guardia di pubblica sicurezza, preoccupato per il mio avvenire, che solo, e ripeto solo, nella eventualità – tanto remota, mi sembrava… – che avessi superato quel concorso, avrei dismesso le mie velleità cantautorali.

Altrimenti, me le avrebbe lasciate coltivare in santa pace specie in considerazione – dopo il tanto penare e peregrinare per etichette discografiche con l’amico coautore e compositore Danilo Aielli – della grande, concreta opportunità finalmente alle porte.

E comunque, se soltanto fossi rimasto a Roma…

“…sarebbe stato sicuramente meglio per tutti!”, potrebbe chiosare, sghignazzando, maliziosamente caustico, il suddetto taluno.

Che ti va a succedere, invece?

“Scusa Ameri, scusa Ameri, clamoroso al Viminale”: succede che lo vinco!

… che fantastica storia è la vita…

Amen.

Il 15 dicembre 1982, compagne un paio di valige stracolme già di nostalgia degli affetti lasciati a casa, quanto di curiosità e di speranze rivolte al futuro, prendo servizio a Venezia, quarta sede da me indicata in ordine di preferenza in coda a Roma, Firenze, Bologna.

Invero, inizialmente avevo indicato Milano.

Sennonché, l’estate precedente, alla Valtur di Capo Rizzuto, dove insegnavo vela, avevo conosciuto una ragazza di Bassano del Grappa.

Persa completamente la testa, c’eravamo messi insieme.

Arriva la primavera.

Con gli altri colleghi neo-assunti, tutti a Grottaferrata, al corso di completamento dei nove mesi “di prova”, prodromico al vero e proprio ingresso in carriera.

Direttore della allora “raminga” Scuola Superiore della Amministrazione dell’Interno, un Prefetto, aspetto distinto, modi asciutti e severi – suo vice, Marcello Palmieri, Kojak, per la deprimente situazione del… cuoio capelluto – dietro i quali si stagliavano, imponenti, alti principî, sentimenti, orizzonti, visioni.

“La rappresentanza della unitarietà dello Stato compete, all’estero, all’ambasciatore; sul territorio nazionale, al prefetto”, era il parallelismo cui era uso ricorrere per rappresentare, in estrema sintesi, la peculiarità dell’istituto prefettizio.

Una immagine tanto seducente da non avere mai smesso di ronzarmi nella testa.

Dalla quale, un giorno, germoglierà iniziativa ‘92.

Venezia, Frosinone, Sondrio, Viterbo.

Quindi, nell’aprile del 1987, a Roma: non mi sembra vero, ce l’ho fatta!

Disfo le valige e via a riporle in cantina, con la ferma intenzione, dipendesse in futuro solo da me, di non averne più bisogno se non per diporto.

Approdo al Ministero-Gabinetto-Segreteria Speciale.

“Mi raccomando, non farmi fare brutte figure, mi sono spesa per te!”, mi ammonisce Anna Maria D’Ascenzo – ovvero, la serietà e la credibilità di una Amministrazione che non si dimentica di te e mantiene la parola data – che mi ha sempre dimostrato grande stima.

Al Viminale, sento accennare con una certa frequenza all’A.N.F.A.C.I..

Sarà che non vedevo l’ora di tornare nella Capitale, sarà per la ancora mia verde età(professionale), l’argomento non mi appassiona più di tanto.

Non ricordo né come, né perché, né in quale veste, nel 1989, a Grottaferrata, partecipo al Consiglio Nazionale(il parlamentino) che approverà una profonda riforma della Associazione, tra l’altro trasferendo, dal Presidente alla novella figura del Segretario Generale(il primo ministro), rappresentanza esterna e responsabilità.

Tra le dita, giro e rigiro nervosamente, definitivamente sgualcendoli, un paio di fogli dattiloscritti.

Contengono un articoletto da me preparato per il notiziario dell’A.N.F.A.C.I., dal titolo Perché non sono d’accordo e perché non sono contro.

A forza di leggerlo e limarlo, l’ho ormai mandato a memoria.

Dibattito.

Confortato e incoraggiato dal Prefetto Aldo Marino – del quale, nemmeno trentenne, ero stato Capo di Gabinetto a Viterbo – mi faccio coraggio e dopo un po’, con l’inconfessato desiderio di non essere sentito né notato, alzo trepidante la mano e chiedo la parola.

Non l’avessi mai fatto…

“Accomodati pure qui, al microfono”, mi invita una voce, dal tavolo di presidenza, con tono autorevole e cortese, strappandomi ai miei pensieri.

Glub!

Il cuore è a mille.

Ormai è tardi, la frittata è fatta, mannaggia a me, ma come mi è venuto in mente, e…: ragazzi, ci sono tutti, ma proprio tutti!

I quali tutti, a loro volta: “ma chi è, ma che va truvanno questo qua?”.

Neanche recitassi la poesia di Natale, ripeto a pappagallo quello che ho vergato, tiro dritto tutto d’un fiato, riesco ad arrivare fino in fondo.

Che smaltita!

Mi eclisso in platea.

“Bene, ho dato”, rimugino tra me e me, “quello che volevo dire, l’ho detto. Per quanto mi riguarda, arrivederci, finisce qui”.

Come volevasi…

Trascorrono un paio d’anni, Loano, convegno studi dell’A.N.F.A.C.I..

Presente!

Durante una pausa dei lavori, conosco Alessandra de Notaristefani di Vastogirardi, ci scambiamo qualche impressione.

Ci diamo quindi appuntamento al Ministero, dove concordiamo di provare a invitare un po’ di noi e a verificare la possibilità di ipotizzare insieme qualcosa per la categoria.

Primi timidi passi, perdiamo alcuni della quindicina dei primi incontri.

Quelli che invece rimangono, ci stanno.

Mariolina Caprara, Angelo Ciuni, Antonio Corona, Alessandra de Notaristefani di Vastogirardi, Leopoldo Falco, Sergio Ferraiolo, Guido Menghetti, Anna Palombi, Vanna Palumbo, Lucia Perrella, Ignazio Portelli, Michela Signorini, Eugenio Soldà, Luigi Spaziani: saranno, saremo i fondatori di iniziativa ‘92.

Brevissima, doverosa digressione.

Accettato a suo tempo il trasferimento da Venezia a Sondrio, dopo due anni in Valtellina, tanto bella quanto remota, ormai sull’orlo della disperazione, quasi alla canna del gas, mi chiama la D’Ascenzo(toh?!?) per propormi capo gabinetto a Viterbo.

Il prefetto, dicevo, è Aldo Marino, tornerà ancora in questo racconto.

Non solo mi ha aiutato a crescere professionalmente ma, sia lui sia la moglie, mi hanno messo completamente a mio agio, colmato di affetto.

Teneva molto alla forma.

E alla puntualità.

Devo accompagnarlo a un evento sul territorio.

Mattina.

Arrivo trafelato, non più di un paio di minuti di ritardo.

Non c’è.

Lo cerco ovunque.

Accidenti!, si è già avviato.

E adesso?

Monto al volo sul mio Duetto, capelli al vento(da non credere, ma gli piacevano molto così lunghi e scapigliati! Va’ a capi’…) mi scapicollo, arrivo nella località, mi incarto in una viabilità a me del tutto sconosciuta e… mi ritrovo nel bel mezzo della manifestazione, classico “cavolo a merenda”.

Per fortuna, mi vengono prontamente in soccorso i vigili urbani.

“Lui”, tranquillo e inappuntabile come gli è solito, è insieme alle autorità.

Con fare regale, mi degna sì e no di uno sguardo, non dice né fa trasparire alcunché.

Mi sarei sotterrato…

Al ritorno in prefettura: “Dottor Corona, agli appuntamenti ci si presenta cinque minuti prima, non dopo”.

Ok!, messaggio ricevuto, Capo, forte e chiaro.

Non ho smesso di raccomandarlo ai colleghi.

Tornando a noi.

Ci vedevamo per cena, a casa ora dell’uno, ora dell’altro.

Pizza, supplì a gogo(quanto mi siete mancati, durante il mio girovagare per l’Italia…), quindi al lavoro.

Una sera, vettovaglie onnipresenti al seguito, ci presentiamo, inesorabili neanche fossimo la… giustizia, a casa di uno di noi.

Ci viene ad aprire in pigiama: stava già dormendo, si era dimenticato.

Senza battere ciglio, volente o nolente diventata nel frattempo nostra carissima amica, la moglie ci accoglie con il consueto sorriso sulle labbra e un sacrosanto sfottò di circostanza al marito.

Sì, perché ciò che ha caratterizzato e cementato il rapporto tra quel manipolo di “giovani funzionari”, è stata l’amicizia, sincera e profonda, che ci ha unito e resi reciprocamente solidali, consentendoci altresì di superare inevitabili, umani dissapori, baruffe, difficoltà, incomprensioni, momenti di crisi.

Non sono affatto nemmeno mancate goliardate, sonore prese in giro.

“Ahò!, qui nun se respira più. Dai, sbrighete ad aprì’ quaa finestra, che famo uscì un po’ de c…..e!”, echeggiava implacabile, nella stanza, alla corbelleria di turno.

Di tanto in tanto, ci capitava di fantasticare.

Ricorrente l’idea di ritirarci tutti assieme, un giorno, a vivere in una fazenda, chissà poi come mai in Uruguay o giù di lì.

Successivamente, ognuno è andato per la propria strada.

Ma, quando ci si ritrova, è come se il tempo si sia fermato.

E, pur tra qualche fisiologica scaramuccia, niente e nessuno è riuscito a dividerci.

Beninteso, non ci si abbuffava soltanto.

Anzi.

Lunghe e infervorate le discussioni per mettere a fuoco la linea.

Dagli oggi, dagli domani, cominciava a prendere forma il documento di impianto di iniziativa ‘92(di qui in avanti, i‘92).

Progetto per una idea, così lo avremmo intitolato, si articolava in: Premessa; L’Associazione. Stato attuale. Ruolo futuro. Esigenze organizzative e regolamentari; Il malessere dei funzionari. Cause; Considerazioni sulle linee generali di un progetto di riforma dell’Amministrazione; Appendice(con tutti i nostri nomi).

Via quindi a riunioni e incontri per presentarlo e presentarci ai colleghi, anche partendo e tornando in giornata con il treno.

Attesissimo il nostro esordio al Viminale.

Stipata all’inverosimile l’assemblea.

A me, l’onore e l’onere di rappresentare i‘92.

Per la circostanza mi ero persino tagliati i capelli, che solitamente portavo fin sopra le spalle.

Ricordo Anna Maria D’Ascenzo, gli occhi sgranati, che rivolta verso di me: “Uccio, non sarai mica proprio tu?”.

E giù!, grandi risate.

Il mio intervento riscosse notevole apprezzamento.

Non era tuttavia davvero il momento di crogiolarsi sugli “allori”(?), incombevano le elezioni per il rinnovo degli organi statutari.

Fummo ricevuti diverse volte dal Prefetto Camporota, Presidente pro-tempore.

Non che condividesse proprio tutte tutte le nostre posizioni ma, confidando da sempre nella funzione propulsiva e innovatrice dei giovani, ci esortava comunque ad andare avanti.

Mettemmo a punto il programma, ufficialmente licenziato il 12 marzo 1992.

“”(…) iniziativa ‘92 ritiene i prossimi tre anni fondamentali (…) per la stessa Amministrazione civile dell’Interno in considerazione, anche, delle recenti vicende del “comparto sicurezza” e della possibile approvazione, da parte del nuovo Parlamento, della normativa concernente la c.d. “privatizzazione” del rapporto di pubblico impiego. (…)””, vi si legge.

Non tutti sanno che, in quel momento, una considerevole quota di colleghi erano decisamente orientati per il nostro inserimento – al tempo, carriera direttiva amministrativa – nell’area negoziale del comparto sicurezza.

Ipotesi, la suddetta, da noi tenacemente osteggiata, poiché avrebbe caratterizzato oltremodo la mission dell’istituto prefettizio, quasi subordinandolo all’“universo sicurezza”.

In ragione della peculiarità delle funzioni da noi svolte, nel programma veniva altresì ribadita la necessità di un ordinamento speciale – confliggente con i processi di contrattualizzazione in essere – all’epoca peraltro conseguente alla nostra collocazione, appunto, nell’ambito della l. n. 121/1981.

Il fulcro della nostra specialità, a nostro avviso, risiedeva piuttosto nella funzione di governo, espressione, questa sì, delle molteplici, diversificate declinazioni dell’istituto prefettizio.

“”(…) Così delineata la natura delle funzioni, di carattere politico-amministrativo, che dovranno fare capo al funzionario prefettizio, ne discende che da siffatto ambito resterebbero necessariamente escluse le competenze di natura amministrativa, quali quelle relative agli invalidi civili, patenti, ecc.. Si potrebbe pensare, pertanto, alla istituzione di una apposita carriera amministrativa, con sviluppo dirigenziale e autonomia propri. (…)””, vi si scorre ancora.

La formazione professionale rivestiva valenza strategica.

La questione retributiva veniva affrontata e risolta intanto con la previsione di parametri – insomma, un po’ come oggi – che agganciassero proporzionalmente tutte le nostre qualifiche a quella del prefetto, circostanza che ci avrebbe tra l’altro resi maggiormente coesi e compatti.

Sul piano organizzativo, si sosteneva la necessità della maggiore corrispondenza possibile, nella rispettiva organizzazione, tra gli uffici sul territorio e in sede centrale.

Ampio spazio veniva riservato alla carriera di ragioneria, nonché ad alcune incisive proposte di modifiche statutarie.

Si arrivò al rinnovo del Consiglio Nazionale.

Avevamo “imbarcato” con noi Vittorio Stelo, convinto a unirsi a questa banda di autentici incoscienti condividendone idealità e, perché no?, una dose di sana follia.

Vittorio

Un collega, un amico.

Un leone, il nostro “straniero” in campo, che si rivelerà determinante per la carriera e la stessa Amministrazione.

Accadrà lo stesso, qualche anno più tardi, con Enzo Mosino: altro bel… caratterino!

Potrà apparire inverosimile, oggi, ma si trattò veramente di una tenzone al calor bianco.

Circolò persino la voce, naturalmente del tutto infondata, che i‘92 fosse manovrata, eterodiretta.

Che dietro di essa – così cercando di alienarle il consenso di coloro che non ne avevano digerito la fulminea ascesa – si celasse nientemeno che Raffaele Lauro, divenuto Prefetto(del tutto estraneo alla Amministrazione) e, rivelando peraltro straordinarie, insospettate capacità, Capo di Gabinetto in quota esclusivamente politica.

Schierato dalla nostra parte, Carlo Mosca, approdato all’Ufficio di Gabinetto dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza, che, uno per uno, inviò a ciascun funzionario in servizio al Dipartimento medesimo, una lettera personale di invito a votarci.

Stravincemmo.

Sin dall’inizio della intera vicenda, in cuor mio nutrivo piena fiducia nel nostro ardito agire: la storia insegna che, non di rado, anche se in pochi, purché ben organizzati e motivati, alla fine si hanno ottime chance di spuntarla.

Certo, da qui al trionfo…

Io fui il più votato in assoluto, con voraginoso margine su chi mi seguiva.

Mi si permetta di tornare per un istante su di una questione che ritengo decisiva.

Non mi sento proprio di condividere quanti “riducano” quel 1992 a mera contrapposizione tra “giovani” e “meno giovani”.

In realtà, il nodo centrale della vivacissima dialettica che ebbe a svilupparsi, consistette principalmente nella adesione, legittime entrambe, a due diverse visioni.

L’una, di “appiattimento” di fatto sulla Amministrazione della pubblica sicurezza.

L’altra, viceversa, da noi propugnata, diretta ad affermare una nostra autonoma dignità, incardinata nell’istituto prefettizio quale rappresentante generale dell’esecutivo sul territorio, nonché sulla correlata funzione di governo di cui, parte ovviamente qualificante, le attribuzioni in materia di pubblica sicurezza.

Mi sembra di potere affermare che il tempo ci abbia dato ragione.

E meno male, “pure” con il senno di poi…

“Riecco il solito Corona!”, sicuramente esclamerà ora qualcuno.

Pazienza, “…pausa caffè?”.

Nel frattempo, mi intrattengo con i colleghi più giovani.

A tutt’oggi, l’ultimo Capo della Polizia-Direttore generale della pubblica sicurezza “prefettizio”, è stato Giuseppe Porpora, dall’aprile 1984 al febbraio 1987: ovvero, trentacinque anni fa(!).

Il 2 febbraio 1987, viene nominato Vincenzo Parisi, proveniente dalla Polizia di Stato.

Lo saranno parimenti tutti gli altri che gli sono succeduti.

Ora…

L’art. 5(Organizzazione del dipartimento della pubblica sicurezza) della l. n. 121/1981, sancisce che il vice direttore generale vicario, braccio operativo di vertice, sia prescelto tra i prefetti provenienti dai ruoli della polizia di Stato.

Non ultimo, può concludersi, a fini di un riequilibrio complessivo, post-riforma, del “peso”, nell’ambito della suddetta struttura, tra le componenti prefettizia e della polizia di Stato.

Nulla, viceversa, è stabilito riguardo il “Capo”.

Ciò, probabilmente – nel quadro di trasformazione, in quegli anni, di un ordinamento a dipendenza gerarchica, in un altro a dipendenza funzionale – in quanto all’epoca si sia dato per scontato che siffatto incarico si continuasse (almeno) di norma a conferirlo a prefetti di carriera, non volendo tuttavia precludere a priori la eventualità di un avvicendamento tra prefetti “prefettizi” ed “ex-poliziotti”.

Sia chiaro, non sono in discussione capacità e qualità dei “cugini”, di altissimo profilo.

È nondimeno comprensibile chiedersi perché, però, mai più un prefettizio, come se la carriera non sia stata in grado di esprimerne nemmeno uno all’altezza.

Cosa pensare?

A dirla tutta, che si tratti in fondo di un rapporto di forza a essa sfavorevole.

Non per sterile spirito di parte, o a motivo di blasone, problematica ripetutamente posta, con sconfortanti esiti, da AP, della quale è divenuta uno dei cavalli di battaglia.

Rebus sic stantibus, e “numeri” alla mano, si provi dunque a immaginare cosa sarebbe potuto accadere se fossimo transitati nel comparto sicurezza, attratti ancor più nell’orbita della Amministrazione della pubblica sicurezza.

Della quale Amministrazione – (udite! udite!) sia detto per inciso benché, “a freddo”, possa apparire sorprendente – le prefetture sembrano non risultarne tra le articolazioni sul territorio pur svolgendone – il prefetto, autorità provinciale di pubblica sicurezza e il personale da esso dipendente(art. 3, l. n. 121/1981) – funzioni di assoluto rilievo.

Situazione analoga – il sindaco autorità locale di pubblica sicurezza – a quella dei comuni.

Beninteso, stando, se non altro, alla lettera della l. n. 121/1981.

Una, l’ennesima… provocazione del solito…?

Liberissimo, chiunque, di pensarlo o meno

Sia come sia, a differenza delle questure(art. 32), la ripetuta legge di riforma non menziona affatto le prefetture in quell’ordinamento.

Si è consapevoli di come ciò possa riflettersi sui rapporti tra dipartimento della P.S. e, appunto, prefetture nonché – sul versante di un sistema basato su autorità e dipendenza funzionale, in luogo di quella gerarchica preesistente – persino tra Capo della Polizia e Prefetti in sede, che sarebbe in ogni caso preferibile risolvere non in via di prassi.

Per quanti ne possano avere un qualche interesse, si veda in proposito Capo della Polizia-Direttore generale della Pubblica Sicurezza e Prefetti(in sede), Amministrazione della Pubblica Sicurezza e Prefetture: relazioni. Lettera del Capo della Polizia-Direttore generale della Pubblica Sicurezza, su il commento, IX raccolta 2016.

Più di recente, invero, la situazione – lì affrontata nel “lontano” 2016 – sembra in significativa evoluzione, sia nella formulazione del linguaggio adoperato, sia riguardo al soggetto originatore delle direttive.

Proprio a volere stare a sottilizzare, si potrebbe stare a ragionare se, quando non sottoscritte direttamente dal ministro, la firma delle direttive diramate dall’ufficio di gabinetto vada o meno preceduta dalla dicitura “d’ordine del ministro”.

Ma, appunto, volendo proprio stare a sottilizzare.

A Montesilvano, dunque.

Ma da qui, fino alle dimissioni della Segretaria Nazionale(ovvero, l’esecutivo) Stelo, lascio volentieri passo e parola al racconto del “fratello maggiore”, Vittorio.

Sia permesso solamente un brevissimo aneddoto, protagonista Leopoldo Falco, per me Poldino, un collega, un amico, prematuramente scomparso nel 2019.

La sera, la notte prima delle votazioni, Leo non smetteva di far di conto nella cameretta a due letti che dividevamo.

Tormentava, e tormentava, e tormentava, non smetteva di tormentare le “proiezioni” di risultato.

E me.

“Poldo, basta! Lasciami stare, adesso m’hai proprio stufato, non ne voglio sapere, vediamo domani mattina, spegni la luce, dormiamo!”, lo incalzavo, con quel pizzico di sana scaramanzia da buon romano.

Lui, imperterrito, “Uccio, ma dai, guarda qua, ce la facciamo, non c’è partita!”.

E avanti così, finché la stanchezza non ebbe ragione del nostro disputare.

Se non altro, ebbe ragione.

Come non sempre.

Come, viceversa, altre volte.

“Ciao, Poldo.

Ci manchi.

Un momento, scusa.

Porta un affettuoso saluto a Luigi, sì, Luigi Spaziani, amico e compagno d’avventura, quel suo faccione immancabilmente incline al sorriso, quella sua mitezza, bontà d’animo.

Chissà, tra tutti e due, che starete combinando pure lassù, da qualche parte…”

 

Vittorio Stelo

Non potevo dire di no proprio all’amico Uccio, “alias” prefetto Antonio Corona.

Non potevo proprio sottrarmi alla sua richiesta di una testimonianza diretta attraverso lo sguardo, le sensazioni, i ricordi, il vissuto, di un ormai ultraottantenne prefetto quale oggi sono, per di più nonno felice di tre adoratissimi nipoti maschi, che ha avuto il privilegio di percorrere un lungo tratto della appassionante storia del Ministero dell’Interno e delle Prefetture.

iniziativa ‘92, ne ricorre quest’anno il trentennale.

Una esperienza esaltante che così profondamente avrebbe influenzato le successive vicende dell’A.N.F.A.C.I. e della stessa “nostra” Amministrazione.

E alla quale, in esito a durissime, estenuanti contese affrontate in ogni sede, conseguì tra l’altro la “sofferta” consacrazione, formale e ordinamentale, della carriera prefettizia, autentico punto di svolta e di non ritorno, presupposto ineludibile di quel processo che di lì a non molto avrebbe condotto alla sindacalizzazione e alla riforma complessiva della carriera medesima.

Una esperienza, beninteso, nella quale ebbero ovviamente ad alternarsi e a convivere momenti tanto entusiasmanti e di forte condivisione, quanto difficili e di vivaci contrasti.

Non mancò nemmeno il… “fuoco amico”, suscitato e alimentato da ritrosie e incomprensioni nei riguardi sia del portato significativamente innovativo delle proposte di iniziativa ‘92, sia di coloro che, insieme a me, non temettero di esporsi in prima persona a costo, specie alcuni più giovani, di pagarne il conto successivamente.

Tra i colleghi che citerò, diversi quelli non più tra di noi.

A loro, il pensiero mio più affettuoso e commosso, per avere partecipato a una stagione, ahimè!, irripetibile, che l’Amministrazione appare rimuovere dalla memoria e che invece, nel segno della continuità, dovrebbe ricordare in particolare ai nuovi entrati.

Mi si permetta infine di appellarmi sommessamente alla indulgenza del paziente lettore, per possibili imprecisioni o imperfezioni conseguenti alla lontananza nel tempo degli accadimenti narrati.

Prefetto nel 1988, a 47 anni e mezzo su proposta dell’allora Ministro Amintore Fanfani.

Sede di iniziale assegnazione, Siena.

Vi stabilirò la residenza con la famiglia, mia vera, autentica forza, al termine del mio lungo peregrinare per l’Italia, da ultimo a Roma, Palazzo Spada, quale Consigliere di Stato.

Settembre 1991.

Eccomi a Lecce, in prima linea contro criminalità organizzata e comune, corruzione, inefficienza e, di converso, per favorire il radicamento in ogni dove della cultura della legalità.

Me ne dà pubblicamente atto al Maurizio Costanzo Show il nostro Ministro, Vincenzo Scotti.

1992, metà mese di marzo.

Inaspettata, la telefonata di Antonio Corona – universalmente noto come Uccio e che così per me rimane – da me precedentemente conosciuto e apprezzato all’epoca del mio incarico da viceprefetto al Gabinetto del Ministro e che non poteva non essere notato per la lunga capigliatura, a parte lo charme con le donne.

Simpatizzammo subito.

Comprensibile la sorpresa quando comincia a parlarmi di iniziativa ‘92, della quale è il rappresentante, ovvero di un gruppo di giovani “temerari” che si sono messi in testa nientemeno di “aggiornare e vivificare A.N.F.A.C.I. e Amministrazione”(!).

Non solo.

Mi offre la candidatura a Segretario Generale dell’A.N.F.A.C.I. all’imminente rinnovo degli organi statutari in programma nei giorni 22-24 maggio 1992, al Consiglio Nazionale convocato a Montesilvano.

Un Consiglio Nazionale, lo si ripeterà a breve, funestato dal tragico attentato a Falcone.

Brevissimo flashback.

Nato a Roma nel 1940, primo di quattro fratelli, avrei dovuto fare il medico.

Nondimeno, i miei genitori, che ringrazio ogni giorno per l’educazione impartita e i continui insegnamenti, accettarono le mie libere scelte e anzi, conseguita la laurea in giurisprudenza e vinti vari concorsi, ebbero a dirmi “Vittorio, scegli il Ministero dell’Interno, la carriera del prefetto è prestigiosa e autorevole”, pur sapendo che avrei dovuto lasciare Roma (allora, i vincitori del concorso a funzionari erano assegnati a nord di Roma), aggiungendo “non scegliere in base alla famiglia”.

Scelsi Arezzo, lì divenni padre di due bei figli maschi comunque nati a Roma.

E fu proprio in quegli anni ‘70 che, per l’appunto in servizio alla Prefettura di Arezzo, in piena attuazione dell’ordinamento regionale, con altri colleghi della Toscana fummo promotori di iniziative e riunioni presso le prefetture e incontri con i Prefetti.

Redigemmo pure un documento, inviato a tutti e al Ministro, recante le problematiche dell’Amministrazione e dei giovani funzionari in un momento di significativa difficoltà per l’esistenza delle prefetture.

Il collega Guerriero e io, pensate, avevamo partecipato pure, l’8 e 9 maggio 1970 (con trattenuta sulla retribuzione), a uno sciopero indetto dalla DIRSTAT (sindacato dei dirigenti statali) e dall’ANFDI (Associazione nazionale funzionari dell’Interno), istanza aggregativa precedente all’A.N.F.A.C.I. e dimenticata, alla quale avevano aderito qualificati funzionari, ora scomparsi.

L’iniziativa toscana riscosse comunque un buon successo e solidarietà altrove e allo stesso Viminale da dove, senza però convincermi, mi invitarono a entrare nella costituenda A.N.F.A.C.I..

L’esperienza, spontanea, di noi “toscani”, un po’ in quanto ivi sostanzialmente circoscritta, un po’ per varie vicende per lo più personali, non ebbe poi seguito.

Nell’agosto 1979 fui trasferito con altri giovani al Ministero, grazie all’allora Direttore Generale del Personale, il grande Aldo Buoncristiano, che mi aveva notato nel periodo in cui aveva ricoperto l’incarico di Prefetto della provincia di Firenze.

Fui assegnato all’Ufficio centrale Affari Legislativi, vera scuola di conoscenza, ove portai da Pistoia Pierluigi Magliozzi, che divenne poi il più fidato, indispensabile collaboratore anche in altri incarichi successivi, decollato in carriera grazie ai suoi meriti, fondamentale coprotagonista di quella stagione entusiasmante.

Nonostante le sollecitazioni pervenutemi, decisi però di non iscrivermi all’A.N.F.A.C.I..

Nel 1984, a 43 anni, andai a fare il viceprefetto vicario alla Prefettura di Roma su richiesta del Prefetto Rolando Ricci, un altro grande prefetto del passato che mi aveva conosciuto quando aveva svolto analogo incarico a Firenze e che, dopo quattro anni, mi portò al Gabinetto del Ministro

Tanto doverosamente ricapitolato.

La proposta di Uccio indubbiamente mi lusinga, suscitando al contempo qualche esitazione, per la distanza da Roma e i molti impegni.

Mi viene assicurato tutto l’appoggio possibile e compatto di iniziativa ‘92, alla quale hanno aderito tanti giovani.

Le successive telefonate di Pierluigi Magliozzi e di Antonella Scolamiero, collega amica che aveva lavorato e lavorerà con me per anni in più occasioni, fanno il resto.

Mi giunge anche una graditissima telefonata di sostegno da Anna Maria D’Ascenzo del Personale.

Insomma, capitolo e accetto.

Mi iscrivo all’A.N.F.A.C.I. l’ultimo giorno utile e mi presento nella lista di iniziativa ‘92 in Puglia, dove vengo eletto ai primi di maggio in vista di Montesilvano.

Dimenticavo.

La lista sosteneva tra l’altro, e in ciò ho sempre creduto avendo alla lunga ragione, il ruolo centrale di amministrazione generale del Ministero e del prefetto quale rappresentante dello Stato e del Governo, in esso ovviamente ricomprese le delicatissime competenze di Autorità provinciale di pubblica sicurezza, e il superamento della dizione, usata nelle norme sul trattamento economico, “personale di cui all’art. 40” della riforma ex legge n. 121/1981, che estendeva al personale (direttivo) prefettizio, senza che questo avesse nessuna(!) voce in capitolo, il trattamento economico delle corrispondenti qualifiche dei funzionari della Polizia di Stato.

L’altra lista, capitanata da Procaccini, Pecoraro, Paternò, Piscitelli, Cono, Tranfaglia, era viceversa orientata verso la accentuazione dell’aspetto della sicurezza e dell’autorità di p.s..

Due cenni di contestualizzazione.

Era appena terminato il maxi-processo a Lecce contro la Sacra Corona Unita e, a seguito delle ripetute minacce di cui ero stato fatto segno, mi era stata imposta la scorta; si erano svolte le elezioni politiche; il Presidente della Repubblica Cossiga si era dimesso in anticipo; Tangentopoli stava dilagando con arresti; uno dei miei figli si era laureato in quei giorni a Siena.

Soggiungo che il 21 maggio è S. Vittorio e il 24 maggio giocava la mia Roma con il Bari (poi vinta 2-0).

Tornando a noi.

Eccoci dunque a Montesilvano, a quei fatidici 22, 23 e 24 maggio 1992.

Il Ministro dell’Interno stavolta non c’è, trattenuto a Roma da impegni inderogabili.

Di solito non mi capita, questa volta, però, lo ammetto, mi sento come frastornato, spaesato.

Chissà, sarà perché l’evento, al quale mi sono ormai “condannato” a partecipare in qualche modo da protagonista, è contrassegnato, forse per la prima volta, da grandi consensi come da vivaci contrapposizioni.

Sono d’altra parte consapevole che, oggi, senza esagerazione alcuna, e ben al di là delle effettive intenzioni di ciascuno, siamo tutti in procinto di scrivere insieme una fondamentale pagina di storia che riecheggerà nei destini futuri, certo della Associazione, ma pure del Ministero e delle Prefetture.

Forza allora, animo, coraggio… e un po’ di incoscienza.

Ultima sistematina al nodo della cravatta e… via, andiamo, si comincia!

Uccio e Magliozzi, alla stregua di fidatissimi… pretoriani, non mi perdono di vista nemmeno per un istante.

Mi accompagnano ovunque, lavorano, interloquiscono, trattano, limano, rilanciano infaticabilmente, con me e per me, nei vari incontri con i tanti presenti.

Fra i quali, non posso dimenticare Betty Belgiorno, che aveva lavorato con me all’Ufficio Affari Legislativi e collega sempre vicina fino al termine della carriera.

Ma anche Mariolina Caprara, Alessandra de Notaristefani di Vastogirardi, Eugenio Soldà, Angelo Ciuni, Matteo Piantedosi, Ignazio Portelli, che saluto oggi, altri che poi furono nominati in segreteria e altri ancora che la memoria, purtroppo….

Mia sostenitrice fu anche Anna Maria Lodovici, mia viceprefetto vicario a Siena, che mi accompagnerà poi in altre esperienze fino, fra le prime donne, alla sua nomina a prefetto.

Più d’uno, per lo più ministeriale, sembra invece quasi evitarmi, ovvero tenta una impossibile captatio benevolentiae.

Mio malgrado, le turbolente vicende di Lecce e le telefonate con mia moglie Maria Franca, preziosissima consigliera di una vita, mi costringono a frequenti passaggi nella mia stanza d’albergo, la 304, ricordo.

Negli innumerevoli capannelli che vanno formandosi e dissolvendosi nell’arco di un battito di ciglia, divampano intanto polemiche e contrasti per la forte contrapposizione in atto tra le liste e per le posizioni nette, erroneamente ritenute barricadiere e coscientemente sottovalutate dagli avversari, assunte da iniziativa ‘92.

Nella notte, naufragano gli ultimi tentativi di formare una lista unica.

È il 23 maggio.

Una data destinata a rimanere tragicamente marcata a fuoco nella memoria dell’intero Paese: vengono barbaramente uccisi, a firma della mafia, Falcone, la amatissima moglie, gli uomini della scorta.

Un colpo durissimo, una tragedia che aleggerà cupamente sul Consiglio Nazionale.

Dove peraltro si stanno per tirare le somme, si va alla ormai inevitabile conta.

iniziativa ‘92 fa saltare il banco: 60% dei voti.

Un trionfo!

Da stropicciarsi gli occhi!

E io…, incredulissimo… Segretario Generale!

Al mio fianco, Uccio, giovanissimo vicesegretario, Magliozzi, Giacchetti, Rizzi, Allocca, Cossu, Falco, Fontana, Macrì, Piantedosi e, circostanza allora decisamente significativa, le colleghe De Miro, Palombi, Palumbo, Scandura: la Segreteria Nazionale.

Presidente, Antonio Di Giovine.

Vice, Aldo Buoncristiano.

Nel mio intervento riprendo anche temi della mozione poi approvata e insisto sul ruolo centrale del prefetto e del ministero; su di una A.N.F.A.C.I. non mera continuazione con altri mezzi della Amministrazione, bensì “interfaccia costruttivo” e più presente e coordinata sul territorio; sulla professionalità e sulla valorizzazione dei giovani; sulla unicità della carriera; sulla circolarità delle notizie e sulla trasparenza; sulla necessità di seguire le contrattazioni concernenti il personale; sulla riforma dell’Amministrazione Civile dell’Interno.

Come pure sulla non condivisione del disegno di legge, all’esame del Parlamento, in tema di contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego, compreso l’intero personale dell’Amministrazione Civile dell’Interno.

Non mancano Scuola e appuntamento con l’Europa.

Ma non c’è tempo per i festeggiamenti.

Improvvisamente, è come se io senta tutto assieme il peso della responsabilità che mi è stata conferita: rappresentare i colleghi, tutti.

Non deluderli.

23 maggio 1992: la nascita di un nuovo corso.

Così almeno dovrebbe essere.

Si appalesano invece le prime avvisaglie delle difficoltà che, paradossalmente, incontreremo specie nei rapporti con l’Amministrazione.

Il Ministro Scotti, evidentemente “insufflato”, convoca il 29 successivo la neo-Segreteria e quella precedente, presenti i big dell’Amministrazione (il Capo della Polizia Parisi, il Direttore del Personale Carleo, il Capo Gabinetto Lauro) per esternarci alcuni “messaggi” volti a evitare atteggiamenti “arroganti” e al ricompattamento delle posizioni.

Rispondo aperto al dialogo e al confronto, ma fermo, senza tentennamento alcuno; assicuro impegno unitario nel perseguimento di obbiettivi comuni.

Parisi, pur dispiaciuto per la soccombenza della lista che appoggiava, da gran signore qual è, formula comunque i più sinceri auguri a noi “giovani” vittoriosi, convinto della nostra attività a sostegno dell’Amministrazione e offrendo il proprio contributo rimanendo iscritto all’Associazione.

Luglio. Siena, Palio del 2 luglio.

Pochi giorni dopo, il Governo Amato, Ministro dell’Interno Mancino, mi nomina Prefetto (allora) di 1^ classe e vice Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ove assumo servizio il 20, all’indomani dell’attentato mortale a Borsellino.

Incidentalmente.

Numerose le lamentele a Lecce per il mio trasferimento, addirittura una interrogazione parlamentare.

A Roma sono ovviamente più vicino e libero di muovermi, circostanza determinante come si vedrà.

La documentata attività dell’Associazione si esplica dapprima principalmente in iniziative e incontri sul territorio, nelle prefetture, con i colleghi e con le segreterie regionali.

Per economia di illustrazione mi limito, qui, ad alcuni eventi e fatti di assoluto rilievo che restano nella storia e costituiscono la declinazione in concreto delle linee strategiche e di pensiero di iniziativa ‘92.

1992, settembre.

A Genova, con l’organizzazione della valente viceprefetto Narcisa Brassesco (che aveva sostenuto l’altra lista) e, per la Segreteria Nazionale, della “nostra” bravissima Vanna Palumbo, si tiene il Convegno di studio, impostato dai precedenti organi statutari, su L’organizzazione dello Stato nella prospettiva dell’unificazione europea, con gli interventi dei Prefetti Carmelo Caruso, allora Capo del Personale, Aldo Camporota, altro grande dell’Amministrazione, del Prefetto francese Paul Bernard, Presidente della omologa Associazione transalpina (di cui fui ospite a Lione tempo dopo da Prefetto della provincia di Torino), nonché con la partecipazione del Ministro Mancino, di autorità, esperti e studiosi di altissimo livello, italiani e stranieri.

Sempre in sintesi, numerosi furono gli incontri con il Ministro Mancino e con il Capo del Personale Caruso, con il Prefetto Sabato Malinconico, Direttore dell’Ufficio centrale Legislativo, e varie lettere, argomentate e agli atti, furono rivolte all’Amministrazione, con i contributi e lo stimolo del sempre “giovane” Buoncristiano, della Segreteria e soprattutto di Uccio(autentica, inesauribile “anima” di iniziativa ‘92) e Magliozzi  (la nostra… “Cassazione”, per la sua assoluta competenza in campo giuridico), su tutti i temi di interesse.

Indicativamente: ruolo del Prefetto nell’ordinamento regionale e nell’allora emergente federalismo; contesto europeo; Commissari di Governo; criteri di selezione per le nomine a prefetto e per le promozioni; Segretario generale della P.S.(da noi fermamente avversato pure presso la competente Commissione in Senato); Segretario Generale del Ministero; rapporto funzionale con la Presidenza del Consiglio-Prefetti; ordine e sicurezza pubblica; nomina funzionari nelle Commissioni e Commissariati straordinari negli Enti locali e nelle allora Commissioni di controllo regionali; mobilità e trattamento economico dei funzionari; cd. “galleggiamento” (una vicenda a dir poco… incredibile); limiti di età per la pensione (noi contrari all’elevazione a 67 anni); valorizzazione, professionalità.

È bene rammentare che, come tutt’oggi, l’Associazione fosse di natura professionale e non “sindacale”.

Nondimeno, già si andavano a manifestare, sebbene con la contrarietà di molti, sollecitazioni affinché l’A.N.F.A.C.I. si facesse carico di vertenze contrattuali di carattere normativo ed economico.

Non le ignorai, anzi, proposi la costituzione di una “sezione sindacale”, così da coniugare insieme gli aspetti associazionistico e sindacale.

L’ipotesi non fu tuttavia condivisa, la storia ci dice come poi sia andata.

Per ultimo, volutamente, il momento più alto e qualificante del mio mandato.

Dal mese di settembre del 1992, siamo impegnati in una strenua, lunga tenzone sul disegno di legge-delega sul pubblico impiego, in discussione al Senato, che “privatizza” pure il rapporto di pubblico impiego nostro e non dei diplomatici.

Una esperienza di rare difficoltà e complessità, mai prima sperimentata personalmente almeno con siffatte caratteristiche; stati d’animo su e giù, neanche si fosse sulle montagne russe; un manipolo, consentitemelo, di irriducibili, mossi esclusivamente da principî e idealità, indisponibili ad arrendersi anche di fronte all’apparente insormontabile.

Ne è valsa la pena?

Sì, ne è valsa la pena.

Infine, ce l’abbiamo fatta!

A onor del vero, inizialmente tentammo persino di fare escludere dalla privatizzazione tutto il personale dell’Amministrazione Civile dell’Interno.

In tal senso operò Uccio, che – bene accolto ovunque, devo dire – intervenne pure a nome della Associazione nelle frequenti, partecipatissime assemblee che si svolsero al Viminale di quanti, loro malgrado, sarebbero stati successivamente contrattualizzati.

La netta opposizione dei sindacati confederali, che sostenevano convintamente quel disegno normativo, ci indusse a circoscrivere l’impegno alle carriere di ragioneria e nostra.

Quindi io, Magliozzi, che avevo portato alla Presidenza, e Uccio, con diverse parti e livelli diversi, ci battiamo quotidianamente come leoni, con tutti contro a livello sia governativo sia sindacale e l’Amministrazione inizialmente non del tutto… presente.

Il Presidente Amato, cui rivolgo con l’occasione un deferente saluto, mi lascia libertà di azione assicurandomi la sua neutralità.

“Coinvolgo” il Segretario Generale di Palazzo Chigi, l’avv. Fernanda Contri, grande donna, rigorosa e preparatissima.

Il Ministro Mancino, dapprima asettico e scettico, viene fortemente sollecitato e un pomeriggio mi telefona direttamente: “Vada avanti”, mi esorta, “anche per l’Amministrazione”.

I sindacati confederali nazionali, seguiti da quelli ministeriali, prendono più volte posizione ufficiale contraria.

“Serrati” i miei scambi di opinioni con il Sottosegretario Sacconi, sostenitore di quel d.d.l., interesso della questione pure l’allora Segretario Generale della Presidenza della Repubblica, Gifuni.

Anche su mio input, prendiamo contatto con il SNDMAE, il sindacato dei diplomatici, che temevano il loro “declassamento”, promoviamo incontri con le competenti Commissioni parlamentari, con singoli parlamentari.

Teniamo riunioni e assemblee congiunte con i diplomatici (ricordo l’allora segretario Nigido), vengono pubblicati comunicati-stampa e articoli a sostegno delle nostre posizioni.

Come dimenticare gli incontri insieme a Magliozzi, in particolare, Uccio e alla fine Malinconico, da me tenuti, unitamente ai colleghi diplomatici, con le diverse Commissioni parlamentari per rappresentare e sostenere le nostre ragioni.

Quante volte ci sentiamo chiedere “ma che fate voi in concreto? chi siete?” per poi concludere, una volta “acculturati” e consapevoli, “abbiamo capito, siamo d’accordo… ma come possiamo… definirvi, possibilmente in forma sintetica e comprensibile?”.

La storia è sovente fatta di intuizioni sul momento, di parole destinate a rimanere imperiture.

Magliozzi, autentica sentinella, e io siamo in costante e stretto contatto, perfettamente all’unisono.

Non ricordo sinceramente se a lui o a me un attimo prima, ma è comunque come un lampo: “Come potreste definirci? Semplice: carriera prefettizia”.

Convince, piace.

È andata.

Meglio: è legge!

I diplomatici, carriera diplomatica; noi, carriera prefettizia.

Qualche… qualificato collega ministeriale, trova da storcere sussiegoso la bocca, la definizione, a suo dire, non è…“tecnica”(!).

Non è ancora finita, ci sono i decreti-delegati da scrivere.

Qui, purtroppo, incassiamo una dolorosissima battuta d’arresto, per certi versi inaspettata per come si sono finalmente messe le cose: non riusciamo a mantenere pubblico il rapporto di lavoro dei colleghi della carriera di ragioneria.

Nonostante i pareri a noi favorevoli rilasciati dalle competenti Commissioni parlamentari in sede di esame dello schema di provvedimento governativo, il Ministro Mancino non riesce a tenere il punto per la netta contrarietà di altre Amministrazioni.

Potete bene immaginare come io rimanga quando il Ministro me lo dice, a conclusione del Consiglio dei Ministri che ha approvato il decreto nella stesura finale.

L’epilogo della vicenda, sebbene spiegata agli interessati fin nei minimi particolari, determina infinite polemiche e defezioni come se l’A.N.F.A.C.I., e peraltro solo l’A.N.F.A.C.I., sebbene battutasi con le unghie e con i denti, abbia la responsabilità dell’accaduto.

Ciononostante, ci impegniamo a non arrenderci, a percorrere ogni possibile strada per recuperarli al regime pubblicistico, ritenendone e sostenendone la funzionalità della attività alla azione di governo.

Tutto inutile.

Purtroppo con analogo esito, tentativi in tal senso saranno esperiti pure dai miei successori.

Nel frattempo, “nasata” l’aria che tira in Amministrazione, Uccio si dice convinto che, con la avvenuta consacrazione della carriera prefettizia, si sia ottenuto persino oltre l’immaginabile e che non vi sia alcun realistico spazio per il perseguimento di altri obiettivi.

Per scongiurare, secondo lui, il prevedibile, conseguente logoramento mio e della Segreteria Nazionale, suggerisce le nostre dimissioni.

Piuttosto che farlo da costretti, meglio passare ora la mano, sostiene, da “vincitori”, ricaricare le pile ed eventualmente ripartire.

È forse l’unica volta che ci ritroviamo su posizioni differenti.

Sulle ali dell’entusiasmo, il resto della squadra è con me, continuiamo.

Inizia un periodo di confronto assai vivace con l’Amministrazione.

Non si riesce a spuntare nulla di nulla.

Desidero nondimeno ricordare che l’A.N.F.A.C.I. – grazie al lavoro del vice Presidente Buoncristiano – ebbe a elaborare una ipotesi di riforma del Ministero dell’Interno, che fu oggetto del Consiglio Nazionale del 14-16 maggio 1993, tenutosi presso la Scuola, e anche di resoconti stampa; tale ipotesi, frutto di studio approfondito, poneva ordine alle tesi sostenute in proposito dall’Associazione e  fu quindi trasmessa al Ministro Mancino, al Capo Gabinetto Lauro e al Direttore generale del Personale Caruso, di certo rinvenibile agli atti dell’Associazione e del Ministero.

Il suddetto Consiglio terminò con l’approvazione unanime (tranne Buoncristiano, mi pare) di mozione unica dopo più tentativi di mediazione, portati avanti da me e Magliozzi con Pecoraro e il compianto Paternò, tra le manifeste perplessità di Uccio.

La crisi del Governo Amato portò al Governo Ciampi e alla mia nomina, dal 27 maggio 1993, a Commissario Straordinario del Comune di Genova, a seguito dell’arresto del Sindaco Burlando, allontanandomi da Roma e dalla attività piena dell’Associazione, tanto che a dicembre del 1993 mi dimisi da Segretario Generale, e, nel gennaio 1994, fui nominato Prefetto di Firenze, ove avrei voluto stare almeno per cinque anni.

Il Consiglio Nazionale del 18-20 febbraio 1994, procedette alla mia conseguente sostituzione.

Mi subentrò il collega Mauriello, eletto dopo due votazioni e lista infine condivisa, che si appellò per l’appunto all’unità e alla vicinanza all’Amministrazione e a Caruso, Capo del Personale, che aveva abbandonato il Consiglio dando le dimissioni dall’Associazione, credo in contrasto con la mia Segreteria.

La domenica 20, al termine dei lavori, rimasi a pranzo con giovani colleghi di iniziativa ’92.

La sensazione era che la situazione si fosse ormai “tranquillizzata”, diciamo… “normalizzata”.

La mia “avventura” terminò concretamente lì.

Mi limitai poi a sostenere Uccio che, non senza qualche clamore, di lì a non molto sarà eletto Segretario Generale, e Magliozzi, che volli come mio vice nel settembre 1994 quando fui nominato Direttore Generale del Personale, su proposta del Ministro Maroni, che, ricordo, inizialmente voleva sopprimere le Prefetture (e vi risparmio le “litigate” che io e il Capo Gabinetto prefetto Maria Teresa Dell’Orco dovemmo fare col Ministro, che poi cambiò parere).

Pensate: mi trovai davanti ancora Uccio, allora Segretario Generale, per parlare, guarda caso, sempre di quei temi, ed anche l’eterno Buoncristiano, dinamico ed entusiasta come sempre, e, prima di essere nominato, dopo appena un anno, prefetto di Torino, la Direzione Generale ebbe a trasmettere a tutte le strutture del Ministero uno schema articolato di riforma dell’Amministrazione, che di certo aveva fatto tesoro di quella ipotesi dell’Associazione, con previsioni anche coraggiose, parte delle quali trovarono poi forma nei successivi interventi riformatori.

Ma questa è tutta un’altra storia.

Posso solamente aggiungere che quell’esperienza, cominciata con iniziativa ‘92 e continuata al timone dell’A.N.F.A.C.I., mi tornò oltremodo utile in particolare quando, nominato dal Governo Consigliere di Stato nel 2004 (ove sono rimasto fino al 2015, quando mi fu attribuita ad honorem la qualifica di Presidente di Sezione), fui eletto nel Consiglio di Giustizia Amministrativa per la componente “governativa”, grazie anche al collega Carlo Mosca, recentemente scomparso.

La condivisione di quei momenti ha ulteriormente raffinato la “abitudine”, già abbondantemente maturata in tanti anni di carriera, al confronto e alla diversità delle opinioni, ai contrasti e alle contrapposizioni, alla ricerca delle possibili mediazioni quando ritenuto occorrente, e mi ha infatti reso più solido e completo, non ultimo sul piano della conoscenza e della ponderazione, aiutandomi pure altresì nel prosieguo della vita professionale in circostanze più o meno simili.

I miei incarichi in giro per l’Italia o ai vertici della P.A., mi allontanarono progressivamente dall’Associazione.

All’assemblea dell’ottobre 1996 al Viminale – coordinata dal presidente Mosino, che ha sempre assicurato il suo sostegno – contro il d.d.l. Bassanini, che come sostenuto da molti ha provocato riflessi incisivi sulle competenze e funzionalità delle strutture dello Stato centrale e periferico, dovetti comunque rimanere defilato.

Ero stato nominato da poche ore Direttore dell’allora SISDE, dopo i noti scandali e ove sono rimasto per ben cinque anni, un record!, con cinque Governi e da cui sono uscito, come dico sempre, “vivo e pulito”.

Ho partecipato al Consiglio di Lucca del 2005, Presidente Carlo Mosca, sono stato vicino all’amico Riccardo Compagnucci, che, Segretario Generale, tentò di ricoinvolgermi, per finire, nel 2019, alla Prefettura di Firenze, con un intervento a un master sull’Intelligence, Segretario Generale Laura Lega, che saluto.

Ricordo infine i buoni rapporti con il nascente SINPREF e la mia ideale adesione allo sciopero del marzo 1999 (come Direttore del SISDE, versai un contributo di solidarietà).

Mi sono lasciato andare ma, ripeto, ho attraversato un periodo della storia del Ministero con la carriera prefettizia nel cuore e perennemente nella memoria.

con la carriera prefettizia nel cuore e perennemente nella memoria.

Credo fermamente nella necessità di ricordare quelle vicende che nel tempo hanno inciso positivamente su quella storia e mi rammarica assai quando qualcuno, talvolta anche a livello ufficiale, o non conosce o, peggio, si dimentica, sottovaluta o ritiene superato il passato e, in tutta franchezza, non mi importa se per grossolana superficialità o altro.

La forza profonda dell’Amministrazione va senz’altro ricercata nelle tradizioni, nella memoria storica delle sue radici e della sua continuità.

Beninteso, coniugate con la costante, ineludibile esigenza di dinamico, fattivo adeguamento al momento istituzionale e sociale.

Si tratta comunque di vita vissuta e voglio solo soggiungere che il percorso nell’Amministrazione non finì lì ma, come emerge anche da quanto raccontato, ha avuto sviluppi che non avrei e non avevo mai pensato, sempre in ruoli di vertice di estrema responsabilità, di cui sono onorato e orgoglioso.

Ma pure questo è un altro film.

Probabilmente, la sto tirando un po’ per le lunghe.

Ma, confesso, sto facendo veramente fatica, io, il “granitico” Vittorio, ad accomiatarmi da questo momento di profonda commozione, sovrastato come sono da un’ondata di struggente malinconia…

Sinceri, vivissimi complimenti per il “trentennale”, unitamente a un sentito e affettuoso grazie all’amico Uccio, che sempre ha ricordato quei trascorsi anche quando fu poi eletto Segretario Generale, vivendo altri impegnativi confronti.

Continuando tuttora, indomito, nel solco tracciato di quel patrimonio di idealità mai tramontate, dismesse, tradite.

Quindi, un grazie enorme al comm. Franco Lotti, ovunque da lassù mi senta, per la preziosissima collaborazione che ha sempre assicurato nella gestione della Associazione.

Ai colleghi, giovani e non.

Guardate avanti, inseguite i sogni, ma non dimenticate da dove venite.

Riuscirete forse, così, a non ripetere gli errori di chi vi abbia preceduto e a farne anzi tesoro.

La carriera è importante, ci mancherebbe.

Ricordiamoci però che, prima di tutto, vengono i principî, sempre da salvaguardare; la forza delle idee con la concretezza della ragione.

La schiena dritta, la dignità.

Stabilite voi, in quale ordine.

Concludendo davvero.

Cosa è stata, in definitiva, iniziativa ‘92?

La rivendicazione, a viso aperto, di un intero Corpo dello Stato, di essere finalmente considerato e trattato semplicemente per quello che è e che dimostra, che siamo e che dimostriamo di essere: carriera prefettizia!

Né più, né meno.

Per questo ci battemmo.

Fu questo che ottenemmo in quel lontano 1993.

Siatene orgogliosi e fieri.

A voi il testimone.

Un fraterno abbraccio.

Vostro, per sempre.

 

Antonio Corona
(riprende)

La Segreteria Mauriello rimase in carica pochi mesi, dalle dimissioni di Vittorio Stelo, fino al rinnovo a scadenza naturale degli organi associativi.

In quel periodo, ricordo, fallì un estremo tentativo di sindacalizzare la Associazione.

Di lì a poco, i relativi promotori avrebbero costituito il Si.N.Pre.F..

Non rammento esattamente quando, incontrai Santo Fabiano per i corridoi del Ministero.

Il tempo di quattro chiacchiere, chissà cosa mi sia scattato dentro…

Fatto sta che mi convinsi a riproporre la nostra lista alle elezioni del Consiglio Nazionale del 1995.

 “Perché no, d’altronde?”.

La sincera, dichiarata intenzione, era di non mandare dispersi esperienza, risultati faticosamente conseguiti, patrimonio di idee di i‘92.

Consideravo così “lunari” le possibilità di una nostra nuova affermazione, che le candidature che presentammo al Viminale furono numericamente parecchio inferiori ai seggi da assegnare.

Sennonché, ottenemmo moltissimi voti che ci avrebbero consentito invece di fare il pieno e ci ritrovammo perfino in maggioranza in Consiglio Nazionale.

“Conquistammo” nuovamente la Segreteria Nazionale.

Io, Segretario Generale.

Enzo Mosino, Presidente.

Pier Luigi Magliozzi, vice.

Non rammento purtroppo i nomi di tutti coloro che fecero parte di quella Segreteria nazionale.

Qualche avvicendamento, rispetto a quella di Vittorio.

Tra le new entry, Riccardo Compagnucci, che abbraccio con affetto.

Eletto, mi tremarono le vene e i polsi.

Inaspettatamente, mi ritrovavo a rappresentare l’intera categoria – dal vice consigliere al prefetto – non ancora trentanovenne e, all’epoca, nemmeno dirigente, appena… “direttivo”.

A incarichi di siffatto livello, di norma erano stati designati dei prefetti,.

Forse pure per questo, arrivando in ufficio al Viminale il lunedì successivo alla mia elezione, avvertii attorno a me un’atmosfera a dire poco glaciale.

Di lì a poco, ci trovammo a fronteggiare il vento “federalista” da cui avremmo potuto essere spazzati via.

Con una Amministrazione dell’Interno incomprensibilmente silente, passiva, se non, paradossalmente, addirittura… a noi “avversa”(!).

A darci dentro assieme a me, tuttavia, c’erano uno straordinario Enzo Mosino(gustosi, e indicativi del… “personaggio”, gli aneddoti a sua firma riportati in questa medesima raccolta); un impareggiabile Pier Luigi Magliozzi; una tetragona Segreteria Nazionale.

Ricordo gli incontri, Pier Luigi e io, nella primavera del 1996, con alcuni dei futuri maggiori esponenti del costituendo I Governo Prodi, gli incessanti rapporti con tutti i gruppi politici.

Fummo ricevuti dallo stesso Franco Bassanini.

“Va dato un segnale alle istanze sollevate dal nord”, ci ammonì, intelligenti pauca….

Ci ascoltò con molta attenzione, riempì un foglio di appunti.

L’idea che suggerimmo, prendeva spunto dalla Conferenza Stato-Regioni.

Perché non costituire, nella prefettura, un unico punto di riferimento, per gli enti locali, di tutti gli uffici dello Stato sul territorio?

Mostrò vivo interesse.

La Bassanini 1 ne è la riprova, sia per alcune delle competenze amministrative che ci riguardano, originariamente non previste e che poi vennero conservate allo Stato; sia per la delega alla riorganizzazione, anch’essa originariamente non prevista, degli uffici periferici della amministrazione dello Stato.

In attuazione della quale, per intenderci, sono stati istituiti gli Uffici territoriali del Governo.

Mai tuttavia decollati seriamente, probabilmente anche per lo scarsissimo appeal – esercitato sugli amministratori locali, che non da ora hanno le regioni come principali interlocutori – del veramente “poco” rimasto dello Stato sul territorio oltre a prefettura, forze di polizia, vigili del fuoco, con cui le cennate amministrazioni hanno da sempre intessuti eccellenti rapporti.

In risposta a perplessità manifestate sulla compatibilità dell’istituto prefettizio con un ordinamento di accentuata impronta federalista, fu sempre a me, a quel tempo, “enucleare” la “funzione di garanzia” dall’insieme di alcune significative attribuzioni del rappresentante del Governo sul territorio.

Proprio incentrato sulla funzione di garanzia, il documento di contributi che nell’aprile del 1997 inviammo, presieduta dall’On.le Massimo D’Alema, alla Commissione bicamerale per le riforme costituzionali.

Chissà che non ne sia rimasta traccia nell’archivio della Associazione.

““(…) Può ragionevolmente sostenersi che le materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato sono in gran parte sostanzialmente riconducibili a “garantire” la tenuta complessiva del sistema-Paese (…) a rendere cioè solido il “pavimento su cui tutti i cittadini camminano” riservando invece alle Regioni l’effettiva regolazione della vita pubblica, il quadro di riferimento delle scelte per lo sviluppo dei territori di riferimento. (…) È pertanto in tale funzione di “garanzia” – in parte di essa ovviamente, non in quella, per esempio, propria della funzione giurisdizionale – che può trovare effettivo spazio e ruolo l’istituto prefettizio, come organo di esplicazione di tale funzione sul territorio in nome e per conto del Governo di cui è il rappresentante generale. (…)””, sosterrò, attualizzando le riflessioni contenute in quel documento, in L’istituto prefettizio nello Stato “federale”, in Amministrazione Pubblica, nn. 41-42(ed. 2005), pagg. 71 e segg..

Maggio 1997.

Semplicemente inaudito: sciopero!

Insieme, A.N.F.A.C.I. e Si.N.Pre.F. ai primi passi.

Oceanica assemblea congiunta al Teatro Nazionale, proprio davanti al Ministero.

Corriere della Sera: Il primo sciopero dei prefetti-«Che cosa sarà di noi dopo le riforme federaliste?».

La Stampa: Prefetti in sciopero: la Lega ci vuole cancellare-Il malessere della categoria: «Delegittimati, e al Nord derisi».

la Repubblica: Prefetti in sciopero.

l’Unità: Prefetti, primo sciopero in 50 anni-«Non si minacci l’unità del Paese».

Se non altro riguardo gli aspetti di carattere istituzionale, ci si sarebbe attesa perlomeno la… “neutralità” della Amministrazione.

Dall’Ufficio di Gabinetto del Ministro viene invece diramato informalmente, a Prefetti in sedi di particolare rilievo, il testo di una comunicazione-tipo di non condivisione della suddetta azione, da veicolare, a cura dei medesimi Prefetti, agli organi di informazione.

Alcuni, si allineano.

Altri Prefetti, appallottolano quei messaggi e li fanno finire dove meritano: nel cestino.

Novembre 1997.

Dopo essermi tormentato per una intera estate, accetto infine una candidatura al Consiglio comunale di Roma.

Contestualmente, mi auto-sospendo dall’incarico di Segretario Generale.

La mia auto-sospensione, come spiego con estrema chiarezza in una lettera aperta ai colleghi, sta a significare tangibilmente che la mia sia una scelta del tutto autonoma e personale, che non intenda in alcun modo coinvolgere l’Associazione.

Al contempo, non esito peraltro a sottolineare, essendone profondamente convinto, che la candidatura offertami appaia soprattutto quale riconoscimento indiretto della visibilità, istituzionale e mediatica, che siamo riusciti a ottenere come Associazione professionale.

A torto o a ragione, sin dall’inizio pavento che detta scelta possa essere strumentalmente utilizzata da qualcuno per crearci qualche difficoltà.

Non me ne preoccupo eccessivamente, non mi/ci si può attaccare direttamente, c’è poco da fare, in Consiglio Nazionale i numeri sono nostri.

A meno che…

A meno che il bersaglio grosso non venga disgiunto e isolato dalla Segretaria Nazionale e da i‘92, da sempre identificata in me.

Il bersaglio sia dunque io, ed io soltanto.

In particolare, la mia “degnità”, l’essere io “degno” di rappresentare la categoria.

Saltato io, salteranno tutti.

Non c’è neanche bisogno di esporsi personalmente.

È sufficiente fare alzare il classico “venticello”, soffiarlo quel tanto che basta a instillare e fare ribollire la indignazione in qualche “vestale” di turno, che tanto si trova sempre, e che, meglio se in perfetta buona fede, si sporchi le mani.

“A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”?

La risposta, al paziente lettore.

Fatto sta che, al Consiglio Nazionale immediatamente successivo alle elezioni amministrative, ecco partire il siluro.

Vengo attaccato pesantemente con argomentazioni che non fanno certo onore a chi le sostiene.

Mi si accusa persino di avere strumentalizzato l’Associazione a fini elettorali/politici personali.

Figuriamoci…

“Avere strumentalizzato”, io, proprio io, “l’Associazione”, una Associazione, per inciso, pressoché sconosciuta nel “circuito mediatico” prima del nostro insediamento.

Che vergogna…

Che vigliaccata…

Che ignobile cattiveria….

Che pugnalata alle spalle!, peraltro né la prima, né l’ultima.

Ancor più, però, se possibile: che delusione…

A parte Vittorio Stelo, nessuno si alza per ribattere a quelle infamanti illazioni.

A quel punto, non lo faccio nemmeno io.

Se anche in sola, pura ipotesi, difendermi da quelle infamie significherebbe avvalorarne la verosimiglianza.

E questo, con tutta la migliore volontà, mi è assolutamente impossibile accettarlo.

Non è facile spiegare lo stato d’animo di quei momenti.

Non ci sono i tempi tecnici per consentire la presentazione di una annunciata mozione di sfiducia.

Qualcun altro forse se ne gioverebbe, magari per fare decantare la situazione.

Non io, non mi appartiene, non voglio davvero sottrarmi, ancor più per l’altissimo valore della posta in gioco: il mio onore!

Di lì a poco, quindi, nuovo Consiglio Nazionale.

Marcello Palmieri, che pure mi conosce sin da Grottaferrata, da quel I corso per vice consiglieri di prefettura, non mi risparmia una irripetibile… “maramaldata” (le mie dimissioni sono infatti irrevocabili), di rigido tenore moralistico, “etico”(brrr…).

Col senno di poi, non gliene faccio nemmeno una colpa.

Si sa cosa accade quando la si metta così, si parte lancia in resta e…

Rimane peraltro che, per anni, mi rifiuterò di stringergli la mano.

Ciò che non avevo mai fatto con nessuno.

Come accennato, le mie dimissioni sono irrevocabili.

La mia coscienza sa meglio di chiunque altro quanto siano infondate, malevolmente gratuite quelle accuse.

Nondimeno, nulla posso contro un montante senso di nausea che mi assale, una vera e propria crisi di rigetto, verso “quei” miei colleghi, quegli stessi colleghi per i quali mi sono battuto con tutto me stesso per un tempo infinito.

Ma che, per il loro comportamento, d’un tratto non intendo più rappresentare.

Che se ne vadano tutti al diavolo.

Basta!, me ne vado, non ne voglio sapere più niente, non mi venissero più a cercare.

Esorto vigorosamente i fedelissimi a votare la ratifica delle dimissioni.

Matteo Piantedosi, un fratello incontrato lungo quel cammino, uno dei migliori talenti in assoluto tuttora in circolazione,  non ce la fa proprio, si ribella: alza la mano, si esprime contro.

È finita.

In un estremo sussulto di dignità, mi rivolgo a Carlo Mosca, che sta per subentrarmi: “A questo punto, avrei votato chiunque. Ma con te, caro Carlo, con te è del tutto diverso. Lo farò convintamente, per i profondi affetto e stima che nutro nei tuoi confronti.”.

Ringrazio Nostro Signore del dono, immenso, di non provare invidia, di non essere capace di serbare rancore.

Quanta amarezza, però…

Resterà per sempre con me, non me la laverà niente e nessuno.

Come per certi versi in effetti è stato, è sembrato che mi si sia voluto fare pagare qualcosa.

L’avere osato, io, “sfidare” il Palazzo.

L’essermi permesso, io, “misero” aggiunto, rappresentare non tanto la carriera, quanto piuttosto anche i relativi vertici: i prefetti.

“Confesserà” serenamente qualche anno dopo Mario Licciardello, con la onestà intellettuale che non gli fa difetto, ai colleghi-prefetti della regione Emilia-Romagna in occasione di un loro incontro, io testimone diretto: “(…) Diciamocelo con franchezza, quello che noi prefetti non abbiamo mai perdonato, a Uccio, è essere stati rappresentati, con lui, da un… direttivo.(…)”.

Così, con la sola, imperdonabile colpa, nel corso della mia vita associativa, di avere speso tantissimo di me stesso in favore della carriera prefettizia e del Viminale – senza mai, sottolineo mai, averne tratto alcun vantaggio personale, anzi – sottraendomi però a vetuste logiche di “palazzo”, mi sono ritrovato…

In quel periodo, vagavo tra l’altro stordito in cerca di una nuova collocazione lavorativa appena decente.

Nonostante il generoso impegno di Achille Catalani, Direttore generale del Personale, e di Francesca Garufi(“scuola D’Ascenzo”), suo valentissimo “braccio destro”, per i quali non smetterò mai di serbare il mio più grato pensiero, nessuno mi vuole con sé, neanche io sia un appestato.

Francesca mi propone allora di trasferirmi alla Prefettura di Rimini, Umberto Calandrella ha richiesto un capo di gabinetto.

E poi, chissà?, nessuna promessa, ma forse l’anno successivo – la anzianità c’è, ora pure l’incarico “pesante” – me la potrei addirittura giocare seriamente per la promozione a viceprefetto ispettore…

Annuisco, in fondo cosa mi rimane ancora da perdere…

Rifaccio le valige.

In Romagna.

Vi conoscerò Paola, la mia futura, adorata moglie.

Umberto è lì ad accogliermi, lui e la sua bellissima famiglia quasi mi coccoleranno.

Ne ho avuto veramente bisogno.

Devo loro veramente molto.

Finale di stagione.

Quel giorno, in quell’amaro Consiglio Nazionale, insieme a me, ha preso definitivamente commiato iniziativa ‘92.

Non le sue idee, che intanto avevano saldamente attecchito.

Le idee…

Siamo noi, a “inventarle”, oppure, già di per sé esistenti, a noi sta semplicemente scoprirle, al massimo elaborarle?

Al di là di come la si pensi, le idee non vengono giù dal… pero(immagine mediata da una tipica, felice espressione romagnola).

È accaduto pure per i‘92.

Si è detto della influenza su di essa esercitata da Aldo Camporota.

Enorme rilievo ha avuto altresì Carlo Mosca persino, come dianzi accennato, nostro sponsor dichiarato.

Ho avuto la fortuna, il privilegio di esserne stato diretto collaboratore nel suo periodo di Capo della Segreteria Speciale all’Ufficio di Gabinetto del Ministro.

E che Capo…

Un giorno, io ancora molto giovane, mi chiama e: “Allora, Uccio, al tavolo, la delegazione del nostro Ministero, la guidi tu.”.

Deve avere letto tutta la mia sorpresa nei miei occhi sgranati alla… “Leopoldo maniera”.

Non mi da neanche il tempo di…

Segno della croce, e via.

Incontriamo i nostri interlocutori.

Un Paese amico, abituato, però, a dettare le regole e a dare le carte.

All’ordine del giorno, le modalità, da concordare, con le quali gestire congiuntamente una certa situazione, decisamente delicata, di quelle che, se qualcosa va storto…

Previsto all’occorrenza l’impiego, sul campo, di Forze di polizia e Vigili del Fuoco.

Ci viene proposto un protocollo operativo, asseritamente sperimentatissimo, che a mio avviso li lascia troppo esposti.

Chiedo pertanto una integrazione, che però mi viene rifiutata.

Ho pochissimo tempo.

Tra lo stupore di alcuni miei stessi colleghi, replico secco: “Bene. È così? Vorrà dire che non se ne fa nulla! Non mandiamo al macello i nostri ragazzi”.

Gelo nella stanza.

Che momenti…

D’intesa, breve pausa, per riordinare le idee.

Mi precipito a telefonare a Carlo.

Gli racconto tutto.

Dall’altra parte del telefono: “Uccio, fai tu, fai quello che credi giusto e opportuno, non stare a preoccuparti. Poi chiamami, fammi sapere.”.

Carlo: che Capo!

Una volta deciso di puntare su di me, non mi scaricò.

Al contrario, mi rincuorò, mi rinfrancò, mi restò accanto, mi coprì le spalle, ben sapendo di esporsi in prima persona.

Da parte mia, non tradii la sua fiducia, piuttosto sarei morto, mi feci coraggio, conscio delle responsabilità.

Magari per merito dello stellone, portai comunque a casa il risultato.

Alla fine, la spuntai.

La spuntammo.

Carlo: che Capo…

Quante volte abbiamo parlato, ragionato insieme, io – solamente gli innati garbo e delicatezza di Carlo riuscivano a non farti sentire un nano al suo confronto – ad abbeverarmi, quasi rapito, alla sua straripante intelligenza, al suo enciclopedico patrimonio di conoscenza.

Le posizioni di i‘92 sulla sicurezza sono pure il frutto di quel continuo speculare a margine delle attività d’ufficio, l’orologio a battere inascoltato le 23.00, 23.30,…

Peccato, veramente, che in seguito sia accaduto qualcosa che mi è sembrato allontanarci.

Ci ho pensato e ripensato…

Sarà un caso, ma il tutto mi è parso coincidere con L’avvicendamento alla Prefettura di Roma-U.t.G., a mia firma, sulla raccolta 17(15 novembre 2008) de il commento.

Le idee, dunque.

Ancora maggiormente dal raffronto con la disciplina normativa precedente, risalta evidente il segno profondamente impresso da i‘92 su importanti provvedimenti che ci hanno riguardato, riforma dei ministeri, della carriera tra gli altri.

Il punto, peraltro, è il medesimo che afferisce alle leggi, alle novità in generale.

Se, la loro concreta attuazione, applicazione, sia maneggiata da coloro che non le condividano, mal le digeriscono o, banalmente, non le “comprendano”…

Questa, incidentalmente, a mio avviso, una delle ragioni qualificanti il “necessario” rapporto fiduciario che dovrebbe intercorrere tra autorità politica e vertici della amministrazione, non in termini clientelari, funzionale al conseguimento di un obiettivo, quale esplicazione di una condivisa visione della realtà in cui si opera.

La attuazione di disegni normativi, insomma, andrebbe affidata quantomeno a chi ne sappia interpretare correttamente il senso.

La permanenza di Vittorio Stelo alla Direzione generale del Personale è stata probabilmente troppo fugace.

Avviandomi alla conclusione (non dicono così, quelli che ne sanno?).

Sotto le “complici” ali di i‘92, nacque, crebbe, si affermò, si diffuse il Si.N.Pre.F., che per certi versi ne è una costola.

Personalmente, al termine di una lunga pausa, e contravvenendo a una promessa che pure mi ero solennemente prestato, con colleghi e amici ho fondato AP-Associazione Prefettizi – ben si comprenderà, per quanto dianzi rammentato, la non infrequente assonanza di posizioni con il Si.N.Pre.F. – tuttora sindacato rappresentativo del personale della carriera, e il commento, che ci ospita.

Ci ritornerò, se ce ne sarà un giorno tempo e modo.

Questo racconto è peraltro inevitabilmente incompleto.

Nulla:

  • sul Consiglio Nazionale del 1996 – alla cui prima giornata, vertici al completo, intervennero il Ministro Giorgio Napolitano, nonché l’A.N.C.I., l’A.N.M., il S.N.D:M.A.E., l’A.N.F.P. – che approvò le monumentali Tesi programmatiche, in cui vennero tra l’altro ridisegnati i possibili ruoli e compiti, dell’Amministrazione dell’Interno e dell’istituto prefettizio, nel sistema fortemente “decentrato” immaginato dalla riforma Bassanini. Quelle “tesi”, e con esse io che le redassi, furono contestate dal Prefetto a riposo Giovanni Fortunati – confidenzialmente, “cravattino”, per il papillon abitualmente indossato, persona di rara intelligenza, figura storica di primissimo piano di “precedente” Associazione – così… vivacemente, da suscitare la vigorosa replica persino del collega, per bene, educato, pacato, misuratissimo nei modi e nelle espressioni, Paolo Guglielman. Fu in quella medesima occasione, nel pieno della stagione bassaniniana, che pubblicamente incalzai il Ministro – seduto ad ascoltarmi lì, davanti a me in platea – sulle sue tiepidissime posizioni a tutela della carriera, che tra l’altro era uso citare non come tale bensì, indisponentemente, neanche gli procurasse disdoro pronunciarne il nome, mera “risorsa”;
  • sulla memorabile, partecipatissima assemblea al Viminale con il Sottosegretario Vigneri per il Governo, obiettivo della contestazione(vedi il rammentato gustoso ricordo di Enzo Mosino, su queste stesse colonne);
  • sull’interminabile “serpentone” che, forse proprio al termine di tale assemblea, improvvisammo per i corridoi del Viminale, fin sulla soglia dell’Ufficio di Gabinetto del Ministro.

E quant’altro.

Ce ne sarebbero, da raccontare.

Sono nondimeno convinto che ve ne sia sin donde, per chi lo voglia, di pervenire a un proprio convincimento.

Tuttavia.

In risposta ad alcune mie rammaricate osservazioni circa la mancanza dei vertici al Consiglio Nazionale svoltosi nel 2016(v., VIII raccolta 2016 de il commento), questa la replica del Presidente pro-tempore della Associazione: “(…) Ora, se ho ancora buona memoria, neanche negli anni di maggiore entusiasmo associativo il Consiglio nazionale ha visto la presenza compatta dei massimi esponenti dell’amministrazione centrale(Capo della polizia, Capi Dipartimenti, Capo Gabinetto, Capo Legislativo), salvo che non fossero personalmente interessati, come è accaduto in passato per Carlo Mosca, e come accade oggi per me. (…)”.

Senza indugiare oltre, sul punto, tanto per rinfrescare la memoria, mi limito a rinviare al parterre dell’accennato Consiglio Nazionale del 1996.

E potrei continuare.

Motivo di tante qualificate presenze?

Prestigio, autorevolezza, conquistati faticosamente sul campo.

Un ultimissimo episodio.

Ero Segretario Generale.

In servizio all’Ufficio di Gabinetto del Ministro.

Capo di Gabinetto?

Aldo Marino, al quale, all’epoca, era stato altresì conferito l’incarico di Direttore generale del Personale.

Come Associazione, eravamo contrarissimi ai doppi incarichi, se per aggiunta di quella importanza…

Sulla questione, scrivo dunque una lettera aperta al Ministro e mi recò diligentemente proprio da… Aldo Marino(!) per la consegna.

Cuore comprensibilmente in tumulto.

Siamo soli.

Prende la lettera, la scorre senza battere ciglio.

Quindi, calmissimo: “Se la riprenda”.

È quello che faccio.

Saluto, giro i tacchi, esco.

La notte me la rileggo una infinità di volte, elimino un passo forse effettivamente ultroneo senza però modificare minimamente la sostanza.

Il giorno dopo, toc! toc!, rieccomi dal Capo.

Seduti davanti alla sua scrivania, entrambi i “vice”, Peppino Pecoraro e Andrea De Martino.

Salivazione azzerata, la mia ovviamente.

“Grazie, Eccellenza, l’ho riguardata, un periodo mi è parso superfluo, l’ho espunto.”.

Tra l’incredulo stupore degli altri presenti, e suo, gli porgo la lettera.

Saluto, me ne vado.

Credo sia stato uno dei momenti in cui mi sono maggiormente sentito leggero, sereno, a posto con me stesso.

Non è stata affatto una passeggiata.

Ma spettava a me e, come sempre, non mi sono tirato indietro.

Ne sono stato e ne sono tuttora fiero e orgoglioso.

Piuttosto, sono persuaso che, nonostante tutto, Aldo Marino mi abbia voluto un gran bene, come d’altronde io nei confronti dei suoi cari e suo.

Purtroppo, ci siamo trovati su sponde opposte.

Rimpianti, riguardo il mio mandato di Segretario Generale?

Non avere organizzato convegni, momenti conviviali, ma avevamo veramente molto altro di diverso cui attendere.

 Se iniziativa ‘92, e la mia interpretazione di quel mandato, abbiano avuto ripercussioni negative sul piano della carriera?

Bella domanda.

Mettiamola così.

Diciamo che, al netto della stima e della considerazione di cui ho generalmente e generosamente sempre goduto, le mie vicende in Associazione prima, in AP in seguito, non mi hanno propriamente agevolato.

E poi, dai, un prefetto che canta, un prefetto così… “alternativo” nel porsi… è funzionale o no, al “sistema”?

Comunque sia, in piena libertà, ho scelto di non farmi fagocitare, pur naturalmente assicurando in ogni situazione il meglio – tanto o poco, lascio agli altri – di me.

A più d’uno, per il conseguimento di legittime aspirazioni, è risultato sufficiente assai meno di quanto richiestomi?

Bravò!

Recriminazioni?

Ma dai…

Buoni, cattivi, alti, bassi, siamo tutti in fondo chiamati a recitare una parte su questo immenso palcoscenico che è la Vita.

E la Vita, non si preoccupa davvero di essere giusta.

Che Vita sarebbe, altrimenti?

Pure filosofo…

Sul piano personale?

Gioie, dispiaceri, speranze, ansie, quant’altro, preferisco tenerli gelosamente custoditi dentro di me.

Se rifarei tutto, dunque?

Sì, perché credo abbia proprio ragione chi sostenga che “chi nasce tondo, non può morire quadrato”.

E di nuovo, con tutto me stesso: sì!, convintamente e per sempre, sì!, perché, oggi come ieri, posso guardare dritto negli occhi chiunque, me stesso allo specchio, senza tema di dovere abbassare lo sguardo.

Per carità, pur con e tra ogni debolezza, smarrimento, propri della condizione di esseri umani, imperfetti, quali indifferentemente tutti siamo.

Soprattutto, però, in coerenza con il più prezioso lascito, dei nostri genitori, a mia sorella Roberta e a me: onore; rispetto per gli altri e per sé; dignità.

p.s.

Prima di essere licenziato, ho sottoposto questo testo, per una sua sincera opinione, a una amica e collega leale, intelligente, sincera, che apprezzo e stimo molto, di cui mi fido.

 Lei.

““Lungo sì, ma (…) molto scorrevole e soprattutto ricco e coinvolgente… Forse a pagina… (riguardo le mie dimissioni, n.d.r.) le tue osservazioni possono sembrare forti ma questo è il giudizio di una mite…”

La mia risposta

“”…intanto, complimenti a te per essere riuscita a leggerlo tutto.

Su pag….

Non l’ho fatta più grossa di quanto non sia effettivamente stata.

È la realtà, non io, che è eventualmente forte, lo sono i sentimenti, ciò che ho provato, la amarezza per quello e come sia accaduto e che mi è rimasta dentro.

“(…) Chi tradisce è la solita gente

Che ti lancia un’occhiata e stranisce

Quando in fine hai raggiunto il tuo culmine

Alle spalle crudele colpisce

Ho giurato di amarvi un po’ tutti

Se soltanto riusciste a capire (…)”(Tutti gli zeri del mondo; Renato Zero).

Quante volte l’ho cantata alla Scuola.

E quante volte, tra il serio e il faceto, dedicandola a tanti di noi. (…)””.

Sipario!

 

Pier Luigi Magliozzi

Nel giugno del 1970, l’ordinamento amministrativo delle autonomie, come previsto dall’art. 130 della Costituzione, trovava una prima, tardiva attuazione con l’elezione dei Consigli regionali nelle quindici Regioni a Statuto ordinario.

Il nuovo assetto coinvolse in modo diretto e immediato il mondo delle prefetture, dovendo adeguarsi all’ordinamento costituzionale repubblicano che comportava l’immediata cessazione di ogni funzione di controllo sugli atti degli enti locali, limitando le loro funzioni amministrative ad assicurare il regolare funzionamento degli organi di detti enti locali.

Il mutamento ordinamentale veniva sentito particolarmente nella regione toscana, dove allora prestavo servizio presso la prefettura di Pistoia, tenuto conto sia dello spirito autonomistico, fortemente coltivato in realtà locali che vantavano tradizioni storiche tra le più antiche d’Italia, sia dall’appartenenza della quasi totalità degli amministratori locali al maggiore partito politico di opposizione.

Molti dei funzionari di prefettura si avvalsero della possibilità di esodo anticipato, previsto dalla riforma della dirigenza, determinando in tal modo una drastica riduzione delle presenze sul territorio.

Era evidente che in simili frangenti occorresse scoprire un nuovo modo di concepire il ruolo delle prefetture, da organo principalmente di controllo a soggetto garante del rispetto del principio di legalità e fortemente impegnato a favore della coesione sociale.

Occorreva, altresì, trasfondere una iniezione di fiducia e un forte spirito di corpo nei pochi funzionari rimasti.

Il Prefetto Aldo Buoncristiano fu chiamato a esercitare le funzioni di prefetto della provincia di Firenze e di Commissario del Governo nella regione Toscana dal 1973 al 1977.

Seppe leggere in modo compiuto il momento di difficoltà delle prefetture e dell’apparato periferico statale nel suo complesso.

Furono attivate riunioni di coordinamento a livello regionale che, per la prima volta, videro i funzionari delle nove prefetture della Toscana fianco a fianco con i responsabili degli altri uffici statali al fine di concordare una comune linea operativa di dialogo e collaborazione con riferimento alle esigenze degli enti locali.

L’utilità delle riunioni di coordinamento, l’opportunità di approfondire la conoscenza personale fra i funzionari, indussero Buoncristiano a programmare delle riunioni mensili itineranti presso ciascuna delle nove prefetture.

Fu così che imparammo a conoscerci.

Sono convinto che fu proprio in occasione di tali riunioni che Buoncristiano immaginò la costituzione di una associazione di categoria, quella che, su sua iniziativa, sarebbe stata l’A.N.F.A.C.I..

Nel marzo del 1977, allorché il Prefetto Buoncristiano fu nominato Direttore generale del Personale, le aspettative di un ministero più attento e consapevole delle esigenze della periferia divennero una corrisposta speranza.

In effetti, nella primavera del 1978 le prefetture furono invitate a fare partecipare propri qualificati rappresentanti, a Roma, alla assemblea costituente di una organizzazione che desse voce alle esigenze professionali e ordinamentali di una amministrazione che da sempre aveva costituito sul territorio un sicuro riferimento per le istituzioni e i cittadini.

Unitamente ad altri tre colleghi, presenziai anch’io per le prefetture toscane.

Come preannunziato, a larga maggioranza la prima decisione fu di privilegiare una sempre più qualificata professionalità in un quadro ordinamentale che conservasse il tradizionale rapporto con gli enti locali in una ottica, non più di sovra ordinazione e controllo, bensì di collaborazione e coordinamento con tutti gli apparati amministrativi pubblici presenti nel territorio.

Per rivendicare gli aspetti più strettamente legati al rapporto di lavoro, nacque quindi, non un sindacato, ma una associazione professionale che si ponesse come interlocutrice qualificata per un migliore e più funzionale assetto degli apparati amministrativi centrali e periferici dello Stato.

Il progetto fu accolto in modo ampiamente favorevole tra i funzionari delle prefetture, con l’auspicio di un recupero qualificante delle funzioni che sarebbero state esercitate nel nuovo assetto ordinamentale fissato dalla Carta costituzionale.

Avendo personalmente partecipato alla assemblea costituente dell’Associazione e alla prima elezione degli organi statutari, ebbi peraltro la netta sensazione che i colleghi del ministero, per essere stati loro i promotori della “adunata”, volessero gestire il nuovo organismo rappresentativo in una ottica più attenta alle esigenze ministeriali che non a quelle del territorio, tradendo di fatto la vocazione propria dell’istituto prefettizio e delle prefetture.

Agli inizi degli anni ‘80, non ultimo sulla base di alcune proposte parlamentari e su sollecitazione delle organizzazioni sindacali confederali, al Viminale si pose l’attenzione su un riordino dell’apparato civile e militare della polizia.

Si ritenne opportuno trasformare in personale civile i militari del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, dando così vita a un unico ruolo civile comprendente sia i funzionari di polizia, sia gli ex militari.

La Direzione generale della P. S. fu trasformata in Dipartimento per la sua organizzazione interforze, estesa alle cinque Forze di polizia.

Per superare la frequente conflittualità tra personale prefettizio e della polizia di Stato assegnato al Dipartimento, si ritenne opportuno e utile prevedere l’inquadramento automatico di una aliquota dei Dirigenti Generali di P.S. nella qualifica di Prefetto.

Le cennate modifiche ordinamentali finirono per riconoscere a livello centrale una maggiore autonomia agli appartenenti alla polizia di Stato e un conseguente ridimensionamento della loro subordinazione ai funzionari prefettizi di carriera.

A livello provinciale, il punto di equilibrio fu trovato nel riconoscere al questore la responsabilità tecnica dell’ordine e della sicurezza pubblica, al prefetto il coordinamento delle Forze di polizia e il raccordo con il mondo delle autonomie.

Questi sommari cenni servono a evidenziare come, dopo la realizzazione dell’ordinamento regionale, anche nell’ambito dello stesso ministero dell’Interno occorresse un ripensamento e un più corretto equilibrio nell’esercizio delle rispettive attribuzioni funzionali.

L’opinione prevalente tra i funzionari prefettizi, specie al centro, era di prendere atto dei nuovi equilibri funzionali e di utilizzare per quanto possibile la stessa riforma della polizia per le specifiche esigenze della carriera prefettizia.

Un primo problema era costituito dall’istituzione, operata con il d.P.R. n. 748/1972, delle qualifiche dirigenziali nell’ambito della carriera direttiva senza disciplinarne l’accesso.

La riforma della polizia prevedeva una delega che disciplinasse i compiti di supporto che l’Amministrazione civile avrebbe dovuto assicurare a quella della pubblica sicurezza.

La disciplina di funzioni diverse, si configurava indubbiamente come un eccesso di delega.

All’epoca ero approdato all’Ufficio legislativo centrale e fui direttamente testimone dell’impegno dell’Amministrazione a utilizzare tale strumento per disciplinare la progressione dalle qualifiche direttive a quelle dirigenziali.

L’iniziativa trovò la “comprensione” del Dipartimento della Funzione pubblica e delle Commissioni parlamentari.

Ciononostante, si attese con trepidazione il controllo di legittimità che la Corte dei Conti esercitava sui decreti delegati prima della loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Da quel momento, ogni qualvolta occorresse intervenire a favore dei funzionari di prefettura, si scelse di utilizzare una formula molto vaga e generica che facesse riferimento al “personale di cui alla legge 121/1981”.

Perseguivamo così i nostri obbiettivi, senza espressamente figurare quali destinatari nella normativa in parola.

La mia esperienza in Associazione durò dalla sua costituzione nel 1978 sino al 2009, allorché fui collocato a riposo per raggiunti limiti d’età, venendo nel tempo, sulla fiducia dei colleghi, rieletto sempre al Consiglio Nazionale, prima in rappresentanza delle prefetture della Toscana e successivamente, con il trasferimento al Ministero, in rappresentanza degli uffici centrali.

Rimasi sempre convinto che i colleghi chiamati a governare l’Associazione, scelti in maggioranza tra i ministeriali, e in particolare fra quelli in servizio presso il Dipartimento della P.S., fossero poco attenti alle problematiche vissute sul territorio dalle prefetture con l’attuazione dell’ordinamento regionale e sui rapporti a volte difficili con i vertici provinciali dell’Amministrazione della P.S., che rivendicavano una maggiore autonomia tecnica dopo anni di subordinazione formale e sostanziale nei confronti dei prefetti che, per esempio, persino redigevano i rapporti informativi annuali dei funzionari di polizia.

Allorché il collega e amico Antonio Corona mi propose di aderire a iniziativa ‘92, per tentare di dare un nuovo governo alla Associazione basato su funzionari più giovani e che esprimessero le aspirazioni periferiche dell’Amministrazione, mi venne naturale accettare.

Ricordo, in vista dell’imminente rinnovo degli Organi statutari, le riunioni con i colleghi in servizio nelle varie regioni e l’esame degli obbiettivi programmatici che ci saremmo posti in caso di raggiungimento in Consiglio Nazionale della necessaria maggioranza.

Un pensiero particolare va all’incontro con i colleghi della Sicilia, nell’occasione guidati da Ignazio Portelli, l’attuale Presidente.

Altra circostanza che mi indusse ad aderire, fu la candidatura a Segretario Generale di Vittorio Stelo, collega cui ero molto legato per il comune lavoro svolto presso l’Ufficio legislativo, collaborazione che sarebbe proseguita con la costituzione del Governo Amato I, allorché entrambi fummo chiamati, con diversi livelli di responsabilità in considerazione della qualifica rivestita, a operare presso il Segretariato generale della Presidenza del consiglio.

Circostanza, quest’ultima, che si rivelò in seguito molto preziosa per il perseguimento dei nostri fini.

Eletti i Consiglieri nazionali, la Segreteria in carica convocò il Consiglio Nazionale, per il rinnovo delle cariche, per i giorni del 22, 23 e 24 maggio a Montesilvano (Pescara), che sarà purtroppo tragicamente funestato dall’attentato che massacrò il giudice Falcone, la consorte e parte della scorta.

Solo quando fummo tutti nell’albergo sede del Consiglio Nazionale, apparve più evidente che la Segreteria uscente difficilmente avrebbe avuto i voti per una riconferma, che così attivò immediati contatti con gli esponenti più conosciuti di iniziativa ’92, per addivenire a un accordo per una lista unitaria o, in subordine, raccogliere adesioni fra quanti avessero potuto avere ripensamenti.

Personalmente rammento un contatto con Pasquale Piscitelli, che sperava mi facessi carico di caldeggiare la lista unitaria, deludendone peraltro le aspettative e ribadendo invece che la maggioranza dovesse democraticamente manifestarsi in assemblea con il voto.

Altro ricordo nitido è legato allo scrutinio per l’elezione del Segretario Generale, con il buon Sergio Ferraiolo che, accanto a me, annotava ogni singolo voto fino ad annunciare il superamento del 50% dei votanti favorevoli alla nostra lista, percentuale che a scrutinio concluso arrivò al 60%!

Vittorio Stelo, eletto Segretario Generale, annunciò la composizione della Segreteria, che fu immediatamente convocata per la assegnazione dei diversi incarichi.

Il nostro primo, sentito, doveroso atto, fu quello di esprimere la vicinanza di noi tutti alla Associazione Nazionale Magistrati.

Pochi giorni dopo l’assemblea di Montesilvano, il 28 giugno 1992, si insediò il I Governo Amato.

Il Presidente chiamò Vittorio Stelo a svolgere le funzioni di vicesegretario generale della Presidenza del Consiglio e contestualmente chiese il mio comando presso il medesimo segretariato.

Si ricostituiva così una collaborazione che aveva già operato presso l’Ufficio legislativo al Viminale e che i superiori dell’epoca avevano avuto modo di apprezzare.

Uno dei primi provvedimenti approvati dal nuovo governo, fu il disegno di legge-delega per la revisione della disciplina del rapporto di pubblico impiego, introducendo sia per lo stato giuridico, sia per il trattamento economico, istituti di diritto privato, con la previsione da parte del pubblico dipendente di appositi contratti individuali e conseguentemente delegificando l’intera materia.

Veniva mantenuta la disciplina pubblicista solamente per la magistratura, gli avvocati dello stato, il personale militare e delle forze di polizia, i dirigenti generali e il personale diplomatico.

Nell segreteria A.N.F.A.C.I., apparve a tutti chiaro che tale iniziativa avrebbe comportato una nuova discriminante tra i prefetti, autorità provinciali di P.S., e gli appartenenti alla polizia di Stato chiamati ad assolvere ai medesimi interessi pubblici.

L’amministrazione dell’Interno, pur perplessa sulla opportunità di siffatta diversa disciplina, esitava a proporre iniziative emendative in sede governativa da presentare durante l’esame parlamentare del disegno di legge.

Vittorio Stelo ne parlò con il Presidente Amato acquisendo la non contrarietà a emendamenti parlamentari che integrassero l’elenco delle amministrazioni escluse dalla privatizzazione del rapporto d’impiego.

Risultò particolarmente utile l’esperienza maturata presso l’Ufficio legislativo dell’Interno.

A me fu affidato il compito di contattare il relatore del ddl in V° Commissione Senato per verificare la disponibilità e praticabilità dell’emendamento da noi proposto

 Nel merito, considerate le categorie già elencate, non appariva insuperabile l’integrazione specie ove si tenesse conto che veniva espressamente menzionato il personale diplomatico, la cui missione è la rappresentanza dello Stato all’estero, mentre il prefetto rappresenta lo Stato sul territorio nazionale.

Si richiedeva peraltro una riscrittura concisa e condivisa con i diplomatici.

Avvisai Stelo e, mentre con l’aiuto del relatore riformulai il testo con “personale delle carriere diplomatica e prefettizia”, Vittorio acquisì l’assenso dell’ambasciatore Nigido segretario del SINDMAE, sindacato di categoria dei diplomatici.

Tornai al Senato l’indomani e potei verificare che l’emendamento, nel testo concordato con il relatore, era stato approvato.

Mentre mi trattenevo ancora nel corridoio, vidi arrivare il collega Malinconico, in atto capo dell’Ufficio legislativo dell’Interno, per un esame della situazione e che prese atto della modifica apportata dalla commissione.

Come A.N.F.A.C.I., pur consapevoli dell’importante risultato conseguito, si pose peraltro il problema dei colleghi della carriera di ragioneria che non potevano rientrare nel testo approvato.

Il disegno di legge fu approvato definitivamente dal parlamento il 22 ottobre 1992, non restava che tentare in sede di decreto delegato.

Tra la mia presenza in Parlamento, e i frequenti contatti personali di Stelo con i parlamentari più autorevoli e a noi vicini, riuscimmo a ottenere il parere favorevole delle commissioni di Camera e Senato sulla estensione della disciplina pubblicistica ai colleghi della carriera di ragioneria.

Non fu sufficiente, il Consiglio dei Ministri decise diversamente.

La segreteria Stelo rimase in carica ancora per un anno.

Il tentativo di dare seguito alla salvaguardia dello status pubblicistico della carriera, così brillantemente conseguito in Parlamento e con il tacito assenso del Presidente Amato, con una riforma organica della stessa si scontrò con le resistenze dell’Amministrazione e il sostanziale rifiuto del progetto proposto dall’Associazione e redatto dalla commissione Buoncristiano.

Vittorio Stelo, nel frattempo, a seguito della formazione del Governo Ciampi, lasciava l’incarico alla Presidenza del Consiglio e veniva nominato Commissario straordinario al comune di Genova.

La spinta innovativa e riformatrice della segreteria A.N.F.A.C.I. incontrò ulteriori difficoltà sul piano operativo, tutto ciò indusse il Segretario Generale a rassegnare le proprie dimissioni, prima della scadenza del mandato, alla fine del 1993.

Venne conseguentemente eletta una nuova Segreteria, guidata dal collega Mauriello, per completare il mandato.

I “giovani funzionari”, che avevano aderito in modo convinto alla formazione in Consiglio Nazionale della larga maggioranza che aveva consentito l’elezione della segreteria Stelo, ritenevano doveroso portare avanti i progetti innovativi appena avviati.

Antonio Corona, ideatore e fondatore di iniziativa ‘92, alla scadenza naturale degli organi associativi, ripropose la propria lista ottenendo l’elezione in Consiglio Nazionale di una maggioranza che gli consentisse di guidare la nuova Segreteria

Il sottoscritto ritenne, anche al di fuori della partecipazione alla Segreteria, di mettere a disposizione la propria esperienza e i contatti acquisiti in Parlamento negli anni di servizio prestati presso l’Ufficio legislativo, per agevolare il possibile conseguimento degli obbiettivi perseguiti, anche se non condivisi e sostenuti dalla Amministrazione.

Fui in questo anche agevolato dal fatto che, a differenza di Stelo, con la nomina a Prefetto del marzo 1993, rimasi fuori ruolo presso la Presidenza del consiglio ricoprendo vari incarichi.

Nel mese di ottobre del 1994, fui richiamato al Viminale per collaborare ancora una volta con Vittorio Stelo, neo-Direttore generale del personale, quale suo vice.

Nell’anno di servizio presso il Personale, si tentò di proporre una revisione dell’ordinamento della carriera prefettizia e un riordino complessivo del ministero, alla cui stesura collaborammo io, Antonio Corona e qualche altro collega, progetto che peraltro non trovò il necessario sostegno dei vertici amministrativi e di quello politico e non ebbe quindi alcun seguito.

Dopo l’anno al Personale, Stelo tornò in prefettura, mentre io fui preposto alla Direzione centrale dei servizi elettorali, materia che mi aveva appassionato sin dal mio ingresso in carriera nel servizio prestato presso la prefettura di Pistoia.

Ero il primo Direttore centrale “non interno” e che avesse diretto un ufficio elettorale sul territorio.

Nel maggio del 1996, si insediò il I Governo Prodi.

Il Sen. Franco Bassanini fu nominato Ministro per la funzione pubblica e gli affari regionali.

Si apriva una stagione proiettata a un riordino generale dei ministeri in un quadro che privilegiava il trasferimento di nuove funzioni alle regioni e agli enti locali, un vero decentramento amministrativo a Costituzione invariata.

Inizialmente, il rapporto della nostra Amministrazione con il Ministro Bassanini fu molto conflittuale, la deroga alla privatizzazione della nostra carriera e di quella diplomatica appariva come un vulnus a una riforma complessiva del rapporto di pubblico impiego.

Ricordo che in modo sofferto ma convinti arrivammo a proclamare uno sciopero contro i progetti riformatori di Bassanini.

Con il tempo riuscimmo a convincere il Ministro che un riordino della carriera era possibile pur mantenendo una disciplina pubblicistica del rapporto di lavoro.

Contestualmente, alla Presidenza si lavorava sul trasferimento delle funzioni amministrative a regioni ed enti locali, per quanto ci riguarda il trasferimento riguardò principalmente le pensioni di invalidità civile.

Un problema di rilievo si pose sulle funzioni statali delegate agli enti locali(anagrafe, stato civile, liste elettorali).

Si intendeva trasferire la materia dell’elettorato attivo ai comuni, confondendo la mera tenuta delle liste elettorali con i diritti civili dei cittadini, nella sostanza demandando a ottomila comuni una disciplina potenzialmente assai diversificata e che invece non poteva che essere unitaria, nazionale e quindi statale(!).

Ministro dell’Interno era allora Giorgio Napolitano.

Apparve subito difficile immaginare un suo intervento sulla Presidenza sul tema del trasferimento delle funzioni amministrative, bandiera e immagine di quel governo.

Per l’incarico rivestito sentivo molto il problema e l’intervento emendativo parlamentare doveva essere condotto con molta cautela e con l’auspicabile tacito consenso della Presidenza del consiglio.

Fortunatamente i miei collaboratori mi dissero che sottosegretario all’editoria era il Prof. Arturo Parisi, noto esperto di temi elettorali, con il quale intrattenevamo cordiali rapporti di amicizia.

Parisi ci procurò un appuntamento con il Vicepresidente del Consiglio Walter Veltroni e toccò a me, con tutto il garbo possibile, evidenziare il problema.

Veltroni escluse ogni intervento governativo ma ci assicurò che sul punto si sarebbero rimessi alle decisioni del Parlamento.

Il passo successivo fu quello di contattare il Senatore prof. Elia che si dichiarò immediatamente disponibile a presentare il necessario emendamento, il cui testo fu redatto contestualmente.

Ricordo che allorché l’emendamento fu posto in votazione nell’aula del Senato, il governo, ratione materiae, era rappresentato dal Ministro Napolitano e, con mia soddisfazione, udii la sua pronuncia favorevole.

Ritengo che anche questo intervento debba essere ricompreso nella visione propria di iniziativa ‘92, come quello di una carriera posta nei suoi fini istituzionali a tutela dei diritti civili e politici dei cittadini.

La salvaguardia della disciplina pubblicistica del rapporto d’impiego della carriera prefettizia costituiva un primo risultato ma occorreva dettare norme sulla progressione nelle qualifiche e sul trattamento economico. Nel nostro ministero non maturavano proposte concrete, al ministero degli esteri il Ministro Dini sembrava avere maggiormente a cuore la questione e venivano attivati contatti con il ministro Bassanini per la predisposizione di un apposito disegno di legge.

Il collega Antonio Corona, tenendo presente che ministro pro-tempore era Napolitano, ritenne opportuno chiedere un incontro al responsabile dei temi della pubblica amministrazione del partito Ds on. Folena per sondarne la disponibilità a presentare una eventuale proposta parlamentare.

L’appuntamento ci fu concesso e io e Uccio, a nome dell’A.N.F.A.C.I., prospettammo l’esigenza di una nuova disciplina del trattamento economico e dello stato giuridico della carriera.

La disponibilità fu pronta ma limitata al tema del trattamento economico ritenendo più opportuno lasciare al governo la regolamentazione dello stato giuridico.

Il 24 febbraio del 1998, fu presentata alla Camera dei Deputati la proposta Folena, Massa (A.C.4600).

Nel frattempo, i contatti fra il dipartimento della Funzione Pubblica e il ministero degli esteri si stavano concretizzando in uno schema di disegno di legge in cui si introdussero anche norme a favore delle forze armate e di polizia su richiesta dei ministeri della difesa e dell’interno.

Si pose subito l’esigenza di integrare il provvedimento con le norme sullo stato giuridico e il trattamento economico della carriera prefettizia, da parte del ministro Bassanini vi era una piena disponibilità.

La questione fu posta all’attenzione del ministro Napolitano che ritenne più corretto operare nell’ambito dell’iniziativa governativa in itinere anziché affidarsi unicamente alla proposta parlamentare presentata.

Nel mentre, lo stesso ministro Napolitano mi aveva preposto alla direzione dell’Ufficio legislativo e, conseguentemente, toccò a me seguire la vicenda in sede sia governativa, sia parlamentare.

Il concerto con la funzione pubblica fu rapidamente concluso, confermando una analogia di disciplina con la carriera diplomatica, e il 20 ottobre 1998 il disegno di legge fu presentato alla Camera dei Deputati per un esame congiunto con la proposta parlamentare Folena, Massa.

Ebbi, quindi, il privilegio di seguire personalmente i lavori parlamentari che portarono alla approvazione della legge 266/2000.

Per la prima volta dall’unità nazionale le assemblee parlamentari furono chiamate a disciplinare la carriera prefettizia e, ben diversamente dalla sempre ricordata invettiva einaudiana, l’allora maggioranza, unitamente a larga parte dell’opposizione, approvò con un larghissimo consenso(in entrambi i rami del parlamento il voto favorevole delle aule si aggirò intorno all’80% dei presenti) un testo normativo che riconosceva un ruolo e una valenza altamente istituzionale al prefetto.

Dell’iter parlamentare ricordo in particolare due aspetti, uno tecnico-giuridico e l’altro di natura personale.

Il 21 ottobre del 1998, si insediò il governo D’Alema e ministro dell’Interno fu nominata Rosa Russo Jervolino, prima donna a ricoprire l’incarico.

I miei rapporti con il nuovo ministro, dopo un’iniziale incomprensione, divennero ottimi conquistando la sua piena fiducia con la professionalità e l’onestà intellettuale.

Nel mese di marzo del 1999 iniziò l’esame da parte dell’aula della Camera del disegno di legge in questione e non vi erano avvisaglie di particolari difficoltà per la sua approvazione.

Mentre seguivo i lavori fui contattato telefonicamente dal ministro Jervolino per informarmi che i rappresentanti del neo-costituito sindacato dei funzionari prefettizi(SINPREF) si opponevano all’approvazione del riordino in mancanza di una contestuale copertura finanziaria degli oneri necessari a coprire la contrattazione sul trattamento economico.

Il problema era noto, ma solo nella legge finanziaria per l’anno 2000 sarebbe stato possibile prevedere l’accantonamento finanziario, una volta approvato il disegno di legge.

Insistere su una copertura immediata avrebbe solo comportato lo stralcio, il ministro condivise tale avviso acconsentendo all’ulteriore iter del provvedimento.

Il riferimento personale è legato a quanti, insieme a me, seguirono tutto il percorso parlamentare, mi riferisco al diplomatico del gabinetto deli Affari esteri e al Sottosegretario alla Difesa.

Io, da sempre appassionato di calcio, riconobbi subito Gianni Rivera, ex Golden boy del Milan.

Si potrà facilmente immaginare come ebbi modo di scambiare con lui qualche divagazione sportiva nelle ore trascorse nei corridoi di Camera e Senato.

Il provvedimento fu approvato dai due rami del parlamento in unica lettura il 21 luglio del 1999 e venne promulgato come legge il 28 luglio 1999, n.266.

Il nuovo impegno fu di predisporre in tempi brevi, e in corretta attuazione della delega conferita, il decreto legislativo con la disciplina compiuta dello stato giuridico e del trattamento economico della carriera.

Una prima delicata questione si pose, sul piano giuridico, a seguito del riconoscimento della qualifica dirigenziale a tutti i funzionari prefettizi.

Nel pubblico impiego le qualifiche dirigenziali erano articolate su tre livelli e non appariva praticabile una progressione di carriera su più di tre gradi, indubbiamente la progressione in carriera andava compressa e limitata ma il sacrificio e l’esperienza limitata richiesta per l’accesso alla qualifica di vertice veniva ampiamente compensata dal conferimento delle funzioni dirigenziali specie nei rapporti con le altre amministrazioni pubbliche statali o locali.

Comunque, il mio impegno come Direttore dell’Ufficio Legislativo fu di attivare tempestivamente il concerto con il Ministero del Tesoro e con il Dipartimento della Funzione Pubblica.

In corso d’opera ci fu un avvicendamento nella responsabilità politica del ministero e la Jervolino fu sostituita da Enzo Bianco, il rapporto fiduciario era tutto da ricostruire pur conservando la stima e il credito maturato con il ministro Bassanini e i suoi uffici.

Se da un lato questi rapporti esterni mi aiutavano nella stesura di un testo normativo condiviso, dall’altro provocavano sospetto e diffidenza nel ministro Bianco che vedeva spesso non accolte le proprie proposte dal collega di governo.

Riuscii a completare il lavoro e portare in gazzetta ufficiale il d.lgs 19 maggio 2000, n.139.

 Qualche giorno dopo, il ministro Bianco mi avvicendò nell’incarico con il collega e amico Carlo Mosca e, previo collocamento fuori ruolo presso la Presidenza del Consiglio, mi affidò la segreteria della Conferenza Stato-Città e autonomie locali.

Nella XIII legislatura, con i governi Prodi, D’Alema e Amato, il ministro Bassanini, con delega alla Funzione Pubblica, avviò un riordino dei ministeri, che furono ridotti nel numero, e una organizzazione della Presidenza del Consiglio che privilegiava le funzioni di indirizzo e coordinamento, trasferendo ogni attività di gestione amministrativa ai ministeri competenti per materia.

Veniva altresì rivista l’articolazione periferica degli uffici delle amministrazioni statali privilegiando le funzioni di raccordo, supporto e collaborazione con le regioni e gli enti locali.

Il riordino, previsto nella legge delega n. 59/1997, fu attuato con il d.lgs n.300/1999.

Ricordo ancora la trepidazione con cui si viveva il momento nei ministeri e come l’unica notizia fornita fosse la bozza di articolo, contenente la definizione delle funzioni istituzionali affidate a ciascun dicastero, consegnata brevi manu dal Cons. Paino, Capo di Gabinetto del Tesoro, ai singoli responsabili degli uffici legislativi.

Veniva consentita solo qualche limitata proposta emendativa nel quadro delle funzioni definite.

Per quanto riguarda la nostra amministrazione, vista prevalentemente come preposta all’ordine e alla sicurezza pubblica, fu necessario evidenziare come gli enti locali fossero destinatari di materie statali delegate(anagrafe, stato civile, tenuta liste elettorali) e che permanevano funzioni di controllo sul regolare funzionamento degli organi elettivi a garanzia sia dei cittadini, sia della salvaguardia degli apparati amministrativi e politici da infiltrazioni della criminalità ordinaria e mafiosa.

La richiesta fu accolta e si rivelò particolarmente utile in occasione della modifica del Titolo V della Costituzione.

Altro profilo delicato era costituito dall’accorpamento delle otto direzioni generali del ministero in quattro dipartimenti: attribuiti, infatti, due dipartimenti rispettivamente all’Amministrazione della p.s. d al Corpo nazionale dei VV.F., si discuteva se la direzione del personale dovesse unificarsi con la direzione degli enti locali, come da me ritenuto per motivi storici e per il rilievo politico delle funzioni esercitate dai prefetti in tale ambito; ovvero, come sostenuto dal grande saggio prefetto Buoncristiano, in pensione dal 1983 ma sempre pronto a suggerire progetti di revisione dell’amministrazione e a me particolarmente vicino nei due mandati di direzione dell’ufficio legislativo, si dovesse tenere conto della crescente tematica dell’immigrazione e quindi collocare la direzione del personale nel dipartimento che avrebbe dovuto trattare i temi dell’immigrazione per gli aspetti non attinenti alla pubblica sicurezza.

In sede di predisposizione dell’art.14 del d.lgs n. 300/1999 prevalse la tesi da me sostenuta, ma a riprova del fondamento delle intuizioni di Buoncristiano non posso non ricordare come nel regolamento interministeriale di attuazione del T.U. sull’immigrazione(d.P.R. n. 394/1999) furono collocati presso le prefetture gli appositi consigli territoriali.

Una vera sorpresa per l’amministrazione fu costituita dall’art.11 del d.lgs. n. 300/1999, con la costituzione degli Uffici territoriali del Governo.

Il progetto prevedeva l’accorpamento nelle prefetture, trasformate in UU.tt.G, delle strutture, dei servizi comuni e delle funzioni strumentali degli uffici periferici dello Stato, nonché la dipendenza funzionale dell’U.t.G. dai ministeri di settore.

Una misura così incisiva sulle strutture periferiche dello Stato veniva peraltro mitigata con la contestuale esclusione di ben sei ministeri.

A rendere ancora più difficile l’attuazione del disegno organizzativo provvide il regolamento di attuazione che affidava al prefetto la proposta per una più razionale distribuzione delle competenze tra i vari uffici dello Stato, la cura delle procedure decentrate di reclutamento del personale, la gestione dei servizi comuni e delle funzioni strumentali ispirati al criterio della concentrazione funzionale, organizzativa e logistica.

Veniva previsto l’istituzione di un fondo unico nel quale le amministrazioni centrali dovevano versare le spese di funzionamento, spese da rendicontare unitariamente e attribuendo successivamente a ciascuna amministrazione la quota spettante.

Per chiunque abbia una qualche conoscenza degli assetti organizzativi statali e delle norme di contabilità di stato, un simile progetto richiedeva tempi e risorse non facilmente reperibili, si aggiunga come l’intera operazione era soggetta alla vigilanza del Dipartimento della funzione pubblica e all’assenso del ministero dell’Interno.

Ricordo come in occasione dell’annuale Forum della P.A., fu unanime il rifiuto del progetto da parte delle poche amministrazioni effettivamente ricomprese tenuto conto dell’invasività della Funzione pubblica e del ministero dell’Interno nell’esercizio di funzioni proprie.

Indubbiamente un avvalimento delle prefetture avrebbe potuto essere gradito ma doveva escludersi ogni ingerenza di altre amministrazioni centrali.

Il fallimento del disegno di integrazione degli uffici periferici dello stato negli UU.tt.G. indusse il ministro Pisanu a riscrivere l’art.11 del d.lgs n. 300/1999 puntando a un più efficace coordinamento dell’apparato periferico statale nonché ad affidare, in sede locale, al prefetto l’essenziale funzione di garante della leale collaborazione tra Stato e autonomie territoriali.

Non ebbi modo di esaminare con l’amico e collega, così voleva che lo considerassi, Aldo Buoncristiano tale progetto con il quale si provvedeva, fra l’altro, a denominare i nostri uffici Prefetture-Uffici territoriali del Governo, incorporando così nel nuovo nome quello storico a cui tutti eravamo legati.

Non mancò comunque di giungermi, in occasione della pubblicazione in gazzetta ufficiale del provvedimento, un suo biglietto di motivato e puntuale apprezzamento e con il quale poneva, altresì, il problema di una compiuta attuazione di tali disposizioni, auspicando una intelligente opera dell’amministrazione sia sul piano normativo sia su quello dell’attività operativa.

Con questo viatico mi accinsi a elaborare il regolamento di attuazione del nuovo articolo 11, regolamento che avrebbe dovuto sancire ancora una volta il forte senso dello Stato quale dote essenziale del prefetto quale rappresentante sul territorio del governo e dell’unitarietà dello Stato.

Non starò ora a illustrare il d.P.R. 3 aprile 2006, n.180, in cui cercai di calare la quasi quarantennale esperienza di servizio alla luce anche della piena attuazione dell’ordinamento regionale previsto dalla Costituzione e della successiva revisione del Titolo V.

Sarei soddisfatto se qualche giovane collega, leggendolo, trovasse una nuova e più completa ispirazione alla missione chiamata a svolgere.

Un ultimo ricordo che mi lega ad Antonio Corona, in sostanziale coerenza con gli ideali che erano stati alla base di iniziativa ‘92, è quello di avere potuto portare la voce e il pensiero dei funzionari della carriera prefettizia e dell’A.N.F.A.C.I. nelle aule parlamentari, allorché veniva discussa la modifica del titolo V° della costituzione.

Chiedemmo di essere ricevuti da tutti i gruppi parlamentari di Camera e Senato, sottoponendo alla loro attenzione puntuali e mirati emendamenti integrativi del testo in questione in una ottica di salvaguardia dell’unicità e indivisibilità dello Stato repubblicano e della potestà legislativa esclusiva spettante allo Stato.

Restai colpito dalla disponibilità all’ascolto e dell’attenzione che ci fu prestata, d’altro canto le nostre proposte erano coerenti e conformi con il d.lgs n. 300/1999, concernente l’organizzazione e le funzioni ministeriali, curato a suo tempo dal ministro Bassanini.

In particolare, si volevano tutelare i diritti civili e politici dei cittadini sul territorio nazionale mantenendo in capo allo Stato la disciplina dei sistemi elettorali degli enti locali, la garanzia del regolare funzionamento degli organi elettivi degli stessi, lo stato civile e l’anagrafe della popolazione residente.

Le richieste trovarono accoglimento già in prima lettura del disegno di legge costituzionale presso la camera dei Deputati, nella sostanza avevamo ottenuto di costituzionalizzare le principali funzioni istituzionali del ministero dell’Interno nel rapporto con le autonomie territoriali.

Quando nel settembre del 1968 entrai in Amministrazione, prendendo servizio presso la prefettura di Pistoia, l’assetto ordinamentale e funzionale era ancora quello delineato dal T.U.L.C.P. n. 383/1934 e non c’era alcuna attività amministrativa nella provincia che non vedesse la partecipazione diretta od indiretta del prefetto.

Come già ricordato, l’attuazione dell’ordinamento regionale previsto dalla Costituzione e la riforma della polizia provocarono uno sconcerto generalizzato fra i funzionari prefettizi, sembrava crollasse un mondo che avrebbe travolto la stessa amministrazione per una carenza funzionale irreversibile.

Molti decisero di cercare una diversa collocazione nella pubblica amministrazione convinti della irreversibilità di un ulteriore imminente ridimensionamento dell’istituto prossimo alla soppressione.

Personalmente, recente vincitore di concorso, per la giovane età decisi di rimanere a osservare come la situazione si sarebbe evoluta.

Avevo come diretti superiori funzionari molto qualificati, i migliori forse conosciuti nella mia esperienza lavorativa, che non si erano scoraggiati e seppero insegnarmi come trovare spazi di operatività in campi non compiutamente disciplinati normativamente assumendo il compito di promotori e difensori del pubblico interesse nei confronti di uffici ed amministrazioni inerti o trascurate.

Nel novembre del 1980, per motivi di famiglia, dovetti rientrare a Roma e mi capitò di incontrare al ministero il collega Vittorio Stelo, già capo di gabinetto della prefettura di Arezzo, che mi propose di lavorare con lui all’Ufficio legislativo.

In prefettura, l’Ufficio legislativo era conosciuto solo per la richiesta di elementi per gli atti di sindacato ispettivo parlamentare, temevo che la scarsa conoscenza dei compiti che sarei stato chiamato a svolgere mi avrebbero messo in difficoltà e di non riuscire ad essere particolarmente utile.

Non voglio tediarvi con la storia del mio percorso professionale ma quello che posso e voglio dirvi è che con l’impegno e la crescente esperienza mi sono trovato a essere testimone e, nel modo che mi veniva concesso, partecipe di un periodo di grandi riforme funzionali dell’amministrazione dell’Interno.

Ricordo in modo esemplificativo il nuovo ordinamento degli enti locali(l. n. 142/1990, l. n. 265/1999); la normativa sull’immigrazione che da semplice titolo del T.U.L.P.S. acquisiva una autonoma disciplina con un apposito T.U. e con il successivo regolamento attuativo e integrativo; la già illustrata riforma della carriera e del ministero nonché, da ultimo, la modifica del Titolo V della Costituzione.

In tutti questi testi l’istituto prefettizio compare in modo funzionale e pressoché insostituibile nel raccordo e coordinamento degli uffici statali territoriali con il mondo delle autonomie regionali e locali.

I dubbi e le incertezze degli anni ‘70 sono stati sicuramente superati conservando dignità e prestigio al rappresentante del Governo e dello Stato sul territorio.

Porgendo le mie scuse per questo pistolotto finale, vorrei ricordare, a coloro che oggi prestano servizio in una Amministrazione con due secoli di storia, e dunque a voi, giovani colleghi!, che sta portare avanti gli ideali che ci hanno ispirato e ci hanno consentito di superare difficoltà apparentemente insormontabili.

Vi abbraccio, certo che non deluderete chi vi ha preceduto!

fine parte prima

(continua)

Di admin