di Antonio Corona*
Dalla verticalizzazione della rappresentanza alla verticalizzazione del potere.
In questo potrebbe cogliersi passaggio ideale di testimone e distinzione tra le ere berlusconiana e (in fieri) renziana.
La prima, con il leader a sostituirsi, di fatto, al partito tradizionale, come polo di riferimento di visioni e/o interessi e, quindi, di coagulo del consenso.
Con la clamorosa affermazione alle “politiche” del 1994, Silvio Berlusconi dimostrò di avere intuito per tempo le conseguenze che, sin nel medio termine, tangentopoli, terremotandolo, avrebbe prodotto sul sistema politico dell’epoca.
In ragione anche dei successi conseguiti in campo imprenditoriale, il Cavaliere propose agli elettori di scommettere direttamente sulla sua persona.
Modifiche intervenute e recente ritorno alle origini non ne hanno modificato la sostanza, potendo avere viceversa contribuito a impedire la incubazione di un reale delfino all’interno di una classe dirigente rimasta in parte incompiuta.
Non sembra perciò un caso che a ogni tipo di consultazione elettorale la differenza l’abbia fatta sempre e soltanto Berlusconi, autentica cassaforte di voti, che ebbe ripetutamente la meglio, tranne che alle consultazioni elettorali del 1996 e del 2006, quando perse: nell’un caso, per la Lega presentatasi da sola; nell’altro, fermandosi letteralmente a un passo da una impensabile quanto straordinaria rimonta sul filo di lana.
Il limite del progetto arcoriano fu di ritenere sufficiente, per governare il Paese, avere i numeri in Parlamento.
Così non era e non fu.
Le sue più sonore sconfitte le riportò infatti al di fuori delle aule legislative.
La maggiore, per opera di Sergio Cofferati, con i suoi senza se e senza ma a infiammare i tremilioni di manifestanti al Circo Massimo e a ridare fiato a un centrosinistra uscito annichilito dalle “politiche” del 2001.
Al di là dei controversi rapporti intercorsi con magistratura, Presidenti della Repubblica intanto succedutisi e quant’altro, negli anni del “biscione” la rappresentatività forte fu contrappesata e lentamente consumata dalla insignificanza berlusconiana nelle articolazioni della società civile.
Abile com’è, Matteo Renzi pare avere appreso la lezione.
La fretta per le riforme, in particolare costituzionali ed elettorale, sembra dettata dalla necessità di stabilire quanto prima i presupposti di esercizio di un potere, del leader, legittimato dalle urne quanto scarsamente infiltrato nel sistema.
Varrà rammentare, in proposito, la fulmineità della sua scalata al Partito Democratico e quindi al Governo, favorita da situazioni tanto non pronosticabili quanto sapientemente utilizzate.
Da Presidente della Provincia, prima, da Sindaco del comune di Firenze, poi, Renzi non ha avuto materialmente modo e tempo di creare una significativa pattuglia di fedelissimi su scala nazionale – nei quali riesce difficile enumerare i consueti e volatili “soccorritori del vincitore” della ultima ora – con cui andare a presidiare le diverse caselle del potere.
Salvo forse il solo Nardella a Firenze, non si rinvengono suoi “notabili” di peso sul territorio.
Quando, alle “regionali” del 31 maggio u.s., ha “provato” a inventarli e sostenerli, li ha visti sonoramente battuti. Viceversa, la vittoriosa candidatura di De Luca, fortemente radicato di suo in Campania, è stata probabilmente non del tutto voluta ma necessitata.
Da osservatori esterni, viene da ipotizzare che non potere contare su una pletora di validi e affidabili pretoriani, renda perciò obbligato ridurre i gangli ove apporre le bandierine.
Da qui, consequenzialmente, la irrefrenabile ansia di semplificazione, cui beninteso non rimangono estranee le suggestioni della esperienza personale di sindaco.
L’Italicum pare inscrivibile nel delineato contesto: ovvero – specie in assenza di reali competitor di schieramenti avversi e sempre che non si riesca a conseguire subito il 40% dei consensi – giocarsi la maggioranza assoluta alla Camera, mal che vada, in una tenzone a due.
Non è ovviamente scontato che i numeri assicurati dal premio di maggioranza durino effettivamente cinque anni. Ma, come si usa dire, si vedrà, una cosa alla volta.
Complementare diventa la riforma del Senato, tesa, per come allo stato concepita, a non disturbare il dominus della Camera.
Come, pure, salvo che non si riesca a gestirla, il ridimensionamento di ogni istanza intermedia, istituzionale o rappresentativa, che, in corso d’opera, possa frapporsi tra Palazzo Chigi e popolo sovrano.
Verticalizzazione del potere, quindi, edificata sul controllo di gangli vitali del sistema opportunamente ridimensionati “a numeri” compatibili con la (attuale) penuria di autentici pretoriani posti a presidio.
Il tutto, motivato pubblicamente con la ineludibile necessità di semplificazione degli apparati per esigenze di speditezza decisionale e risparmio di risorse pubbliche.
Quali riflessi in “casa nostra”?
Se la analisi svolta risulti non manifestamente infondata, potrebbe così spiegarsi la trasformazione delle Prefetture-UU.tt.G. in UU.tt.S., presentati di fondo come equivalenti, benché non lo siano affatto.
L’U.t.G., successivamente Prefettura-U.t.G., nasce nel periodo riformatore bassaniniano del federalismo amministrativo a Costituzione invariata.
Ferme restando le proprie funzioni, è concepito per assicurare “(…) l’esercizio coordinato dell’attività amministrativa degli uffici periferici dello Stato” e garantire “la leale collaborazione di detti uffici con gli enti locali (…)”(art. 11, c. 2, d.lgs n. 300/1999, Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della l. 15 marzo 1997, n. 59).
Con l’U.t.S., si vuole costituire invece il punto di contatto unico tra amministrazione periferica dello Stato e cittadino(art. 7, c. 1, lett. d, d.d.l. recante Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, A.C. n. 3098), amministrazione periferica peraltro pressoché ormai inesistente tranne per ciò che riguarda Prefetture e poco altro.
Senza entrare in tecnicismi, la differenza balza evidente agli occhi.
La Prefettura-U.t.G. viene diluita in un U.t.S. che pare somigliare tanto a una agenzia mera erogatrice di servizi, con il Prefetto responsabile nei riguardi dei cittadini, sebbene abbia solo funzioni di coordinamento dei dirigenti degli uffici facenti parte dell’U.t.S. medesimo(art. 7, c. 1, lett. d, A.C. n. 3098, cit.).
Per quanto lo si voglia depotenziare, rimangono nondimeno importanti compiti e funzioni appuntati sull’organo Prefetto. Su tutti, quelli di partecipazione al governo del territorio.
Ecco allora il ruolo unico dei dirigenti statali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri dove fare “eventualmente”(!) confluire il personale appartenente alle carriere speciali – in pratica, della sola carriera prefettizia – ad esclusione della carriera diplomatica(art. 9, c. 1, lett. b, n. 1, A.C. n. 3098, cit.).
Invero, l’esclusione di quest’ultima, esplicitata con apposito emendamento al Senato ma prevista già sin dalla relazione di presentazione al d.d.l. in parola, non sorprende più di tanto. Opera all’estero e, a differenza della prefettizia, non esercita alcun potere di qualche apprezzabile rilievo.
La liquefazione della carriera prefettizia nel ruolo unico consente, almeno in prospettiva se non immediatamente, la individuazione di Prefetti provenienti da ogni dove.
Limitatamente a una determinata aliquota, ciò è possibile anche a ordinamento vigente.
Si pensi ai vari Dalla Chiesa, Sica, Lauro.
Nomine però eminentemente “politiche” e, come tali, eccezionali.
Nella nuova configurazione diverrebbero invece la norma, senza destare attenzione e bisogno di alcuna giustificazione.
Infine.
Non è detto che gli UU.tt.S. portino in dote tutti i compiti e funzioni dell’Istituto prefettizio, che potrebbero anzi trasmigrare altrove, a iniziare da parte di quelli in materia di ordine e sicurezza pubblica.
Coerentemente con il ragionamento svolto precedentemente, tuttavia, meno UU.tt.S. ci sono, meno “caselle” sono da presidiare.
Di qui, la loro riduzione(art. 7, c. 1, lett. d, A.C. n. 3098, cit.) che, secondo boatos, potrebbero persino più che dimezzare il numero delle attuali prefetture.
Tutto frutto di pura fantasia?