di Antonio Corona

san_francescoBanale quanto si voglia ma, di per sé, una carica esplosiva è neutra, indifferente.

Né buona, né cattiva.

Dipende da come la si utilizzi, per scavare un tunnel sotto una montagna, o per compiere un attentato.

Può in generale asserirsi più o meno lo stesso riguardo architetture istituzionali e sistemi elettorali, anche i più diversi.

Hillary Clinton ha ottenuto complessivamente più voti in termini assoluti, ma ha perso.

The Donald, il contrario.

Ottenendo però la maggioranza dei grandi elettori, quella che veramente conta.

Può capitare.

È la conseguenza delle regole liberamente datesi dagli Stati Uniti d’America, paradigmatica espressione della (imperfetta) democrazia occidentale.

Viene perciò da pensare che, come avvenuto in passato, gli sconfitti di turno si riorganizzino per provare a rifarsi nella tornata successiva.

Democratici, Repubblicani, la storia degli States è storia di alternanza al potere ritmata dalla scadenza delle chiamate alle urne.

Sennonché, come probabilmente mai in precedenza, almeno in siffatte dimensioni, fiumi in piena di persone si riversano nelle strade, al grido di “non sei il mio Presidente”.

Disordini, scontri, incidenti.

Una vittoria data fin troppo per scontata alla vigilia, si è ben presto tradotta in cocente delusione per il mancato successo.

Sarebbe accaduto altrettanto se nella corsa per Washington avesse prevalso per la prima volta “la” democratica?

Sia come sia, non sembra così fuori luogo la vecchia massima “chi semina vento, raccoglie tempesta”.

In questo, Hillary e Donald hanno profuso il peggio del loro repertorio.

A forza di darsele di santa ragione, hanno seminato i prodromi di delegittimazione del successo di chiunque dei due avesse infine prevalso.

I veleni si sono sparsi e insinuati ovunque.

Ci vorrà tempo per rasserenare gli animi.

Molto dipenderà dalle capacità e dai passi del prossimo inquilino della Casa bianca.

Singolare peraltro che gli ambienti democratici gli stiano intanto rimproverando di volersi circondare di persone che ne condividono le idee…

Assonanze con la corrente tenzone referendaria in Italia?

Tra gli schieramenti opposti stanno volando gli stracci.

E meno male che si stia discutendo(?) della carta fondamentale, perno della ordinata e civile convivenza, intorno alla quale sentirsi tutti affratellati…

La controparte rappresenta i contrari alla riforma come il passato in cerca di rivalsa che non si rassegna a passare, come la casta, come i privilegiati che temono per la poltrona, come una accozzaglia.

I fautori dei nuovi assetti sono viceversa dipinti come congiurati intenti a tessere trame autoritarie nell’ombra.

Chi più ne ha, ne metta.

Il “contenuto” della Costituzione che si vuole modificare o mantenere?

Quasi confinato sullo sfondo, riesumato all’occorrenza in ossequio a consunte liturgie dialettiche e secondo convenienza, foglia di fico di un latente, non dichiarato scontro all’arma bianca.

A forza di solleticarne la pancia, le parti dirimpettaie sembrano fronteggiarsi quali irriducibili nemici.

Se possibile, da sconfiggere definitivamente senza chance alcuna di rivincita futura.

Chi semina vento, si diceva, raccoglie tempesta.

D’altronde, è da ormai troppo tempo che interi settori della società vengono a turno messi alla gogna.

Oggi a me, domani a te.

E giù botte.

Restituite con gli interessi quando finalmente “tocca all’altro”.

In attesa di riprenderle.

E ricominciare.

Tutti contro tutti, rockeggiando con Stadio ft Vasco.

Povera Patria, con un Battiato di inizi ‘90 del secolo scorso.

Nessuno si fida più di nessuno, delle promesse, degli altrui solenni impegni.

Il Paese sembra profondamente diviso, l’appuntamento del 4 dicembre foriero di ulteriori lacerazioni.

Puntuali e sacrosanti i richiami del Presidente della Repubblica a una coesione sociale scossa da crisi economica, immigrazione, calamità naturali.

Tensioni sopite ed emergenti rischiano di miscelarsi in un cocktail esplosivo.

Mors tua, vita mea?

Quale che sia il risultato del referendum, si avrà da fare per ricucire strappi e lenire ferite.

Deprimente se l’esito della consultazione si risolvesse in una inconfessabile resa dei conti.

Sconfortante il solo pensare che quello che sta accadendo in queste settimane possa rivelarsi mero antipasto del “clima” delle prossime elezioni politiche.

Sta a vedere alla fine che per il referendum sarebbe stato preferibile, sempre il 4, ma di ottobre, non di dicembre.

E non per chissà quali retropensieri o calcoli.

San Francesco, da lassù, per favore, butta un’occhiata.

Abbiamo faticato così tanto per tornare a essere un popolo, unito, dignitoso…

Insomma, dacci una mano.

Grazie sin d’ora.