di Antonio Corona*

Sebbene neanche più di tanto, qualche rumore hanno comunque destato, in tema di immigrazione, i malumori manifestati da taluni protagonisti del proscenio nazionale verso la attuale inquilina del Viminale.

Questione che non può evidentemente prescindere dal dettato dell’art. 95 Cost.: “Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promovendo e coordinando l’attività dei ministri. (…)”.

Ministri, continua la norma, che a loro volta “(…) sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri. (…)”.

Al riguardo, per chi ne abbia eventualmente interesse.

“(…) Il Governo (…), in quanto espressione di una determinata maggioranza, è l’organo al quale (…) è affidata, assieme alle Camere, l’attività di direzione politica ed al quale spetta (come Consiglio dei ministri) di determinare collegialmente la politica generale del Governo e, ai fini dell’attuazione di essa, l’indirizzo generale dell’azione amministrativa (…). La nostra Costituzione ha, tuttavia, riservato una posizione di preminenza al Presidente del Consiglio nell’esercizio della funzione di direzione politica(art. 95 Cost, v. supra, n.d.a.). (…) È bene notare che la direzione della politica generale del Governo non implica anche il potere di determinazione della stessa che, come si è detto, è attribuito al Consiglio dei ministri, ma implica una serie di poteri(v. art. 5, l. n. 400/1988, n.d.a.) (…) che fanno del Presidente del Consiglio l’organo che presiede allo svolgimento dell’indirizzo politico, nel senso che egli è l’organo al quale spetta di assicurare che il programma enunciato dal Governo innanzi alle Camere venga effettivamente realizzato e venga realizzato unitariamente. A tal fine, la Costituzione gli attribuisce anche il compito di mantenere l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri. Spetta in tal modo al Presidente del Consiglio fra l’altro (…) il potere di indirizzare ai ministri le direttive politiche ed amministrative in attuazione delle deliberazioni del Consiglio dei ministri, nonché quelle connesse alla propria responsabilità di direzione della politica generale del Governo; di coordinare e promuovere l’attività dei ministri in ordine agli atti che riguardano la politica generale del Governo; di sospendere gli atti dei ministri competenti in ordine a questioni politiche ed amministrative, sottoponendoli al Consiglio dei ministri nella riunione immediatamente successiva. Alla posizione di preminenza del Presidente del Consiglio (…) corrisponde la sua responsabilità politica, nel caso in cui le Camere ritengano che la politica generale del Governo non rispetti gli impegni che questo ha assunto al momento della sua formazione (o nel corso della sua attività). Accanto alla maggiore responsabilità del Presidente del Consiglio si pone, però, la responsabilità anche (a seconda dei casi, collegiale e individuale, n.d.a.) dei ministri, sia come organi di governo (…) sia come organi burocratici (…). Occorre a questo punto rilevare che la regola della determinazione collegiale dell’attività politico-amministrativa del Governo non sempre viene rispettata (…). Risulta infatti difficile che la compagine governativa acquisti un certo grado di omogeneità (…). I ministri, dal canto loro, non di rado si sottraggono alle direttive loro rivolte dal Presidente del Consiglio al fine di coordinarne l’azione o seguono, alle volte, una loro linea politica non sempre in armonia con la politica generale prestabilita dall’intero Consiglio. Quanto al Parlamento, avrebbe i mezzi per intervenire e richiamare, nell’esercizio della sua funzione di controllo, Presidente del Consiglio e ministri al rispetto dell’indirizzo concordato ovvero per impartire direttive al Governo in ordine all’integrazione od all’attuazione dell’indirizzo politico; ma la sua azione è non di rado debole, non coordinata, improduttiva, soprattutto quando la linea di demarcazione fra maggioranza e opposizione non è netta e definita. (…).”(Martines, T., Diritto costituzionale, XIV edizione, Giuffrè Editore, Milano, 2017, pagg. 377-379).

Per ciò che attiene al tema in argomento, sembra dunque potersi concludere che è in conformità alle linee di politica generale stabilite dal Governo che al Ministro dell’Interno competa gestione – e relativa responsabilità politica limitatamente alla gestione medesima – del fenomeno in narrativa e delle afferenti problematiche.

Unitamente, vale soggiungere, al qualificatissimo contributo che in proposito, a motivo di ciò, è in grado di(/è tenuto ad) apportare in sede di definizione della politica generale del Governo, in termini pure, si è dell’avviso, di valutazione della effettiva sostenibilità di un determinato orientamento e della sua preferibilità rispetto a possibili alternative.

In materia (non solo) di immigrazione, gli elementi da potere(/dovere) tenere in considerazione, si presentano assai diversificati e complessi, come si riscontra dalla contraddittoria trasversalità di posizioni.

Trasversalità altresì connotata da repentini scostamenti di rotta che, di sicuro, non favoriscono linee strategiche di medio/lungo periodo sufficientemente condivise perlomeno nei fondamentali.

Nel quadro tratteggiato, un posto di significativo rilievo spetta senz’altro di diritto al sistema di accoglienza, che tanto impatta sulla attività degli uffici centrali e sul territorio della Amministrazione dell’Interno.

Ancor più, in questo momento, in conseguenza: da un lato, degli avvenimenti occorsi in questi giorni in Afghanistan; dall’altro, dei continui approdi di migranti alle coste italiane.

Da qui la lettera aperta del 31 agosto u.s., in allegato, con la quale AP inoltre chiede doverosamente al Signor Ministro dell’Interno un incontro, auspicabilmente in tempi brevi per la rilevanza e urgenza della questione “ospitalità”.

*Presidente di AP-Associazione Prefettizi

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    Allegato

“”Signor Ministro,
negli occhi esterrefatti, nei cuori straziati di ognuno di noi, rimarranno indelebilmente impresse le immagini di quelle madri afghane, imploranti, le braccia protese in un estremo, disperato gesto d’amore, a offrire e affidare i propri stessi figli a sconosciuti soldati occidentali perché li portassero seco verso lidi lontani e sicuri.
Via! Via da Kabul! Via dal calvario infinito di quel Paese, neanche fosse condannato a espiare e redimere i peccati della umanità intera!
A esasperare il clima di parossistica confusione, gli attentati suicidi di qualche giorno fa, che l’Isis non ha esitato a intestarsi immediatamente.
Decine e decine di donne, uomini, bambini, civili, soldati, riversi disarticolatamente sul nudo terreno gli uni accanto e sugli altri, i corpi dilaniati dalle esplosioni a far mostra della ennesima efferatezza a opera di esseri che, di umano, sembrano avere conservato solamente le fattezze.
Morti, feriti, sangue, dolore.
Un copione visto e rivisto.
Magari fosse quello di un film.
Magari fosse la trama di un incubo da cui potersi risvegliare dandosi semplicemente un pizzicotto, per poi riprendere rinfrancati il sonno bruscamente interrotto.
È purtroppo invece la cruda realtà.
Forse, l’inizio appena di una tragedia.
L’ennesima.
 Non sta a questo sindacato soffermarsi su cause e responsabilità della corrente congiuntura.
Vi è piuttosto che, come ampiamente riportato dai mass media, stiano prendendo forma e consistenza i prodromi di una autentica catastrofe umanitaria.
Scade oggi il termine per la conclusione delle operazioni di evacuazione.
Il dichiarato intendimento del costituendo governo talebano è di non consentire ulteriori fuoriuscite di cittadini afghani oltre la data suddetta.
Difficile pronosticare cosa accadrà.
Se non, pare di capire, che in molti proveranno comunque a forzare i confini e a dirigersi altrove, prevedibilmente lungo rotte e percorsi già da altri ampiamente sperimentati e utilizzati.
Auspicabile quanto improbabile che il fenomeno possa essere adeguatamente “governato” con la creazione e nell’ambito di ipotizzati corridoi umanitari.
Coloro che, per una qualsiasi ragione, non riuscissero a trovarvi collocazione, difficilmente si rassegneranno a non tentare la sorte per strade diverse.
L’Unione Europea si sta attivando affinché una significativa quota di torme siffatte, annunciate come imponenti, trovino sistemazione e ospitalità nei Paesi limitrofi all’Afghanistan.
Nulla è però scontato, garantito.
Il che impone all’ordine del giorno il tema, tra gli altri, della accoglienza (pure) nel nostro Paese.
Per quanti giunti per il tramite del ponte aereo organizzato dal Ministero della Difesa, il Viminale ha avviato una meritoria iniziativa, benché con profili attuativi da approfondire e verificare, diretta a coinvolgere attivamente nella ospitalità soggetti pubblici e privati, semplici cittadini.
Trattandosi di provvedere per qualche migliaio di persone – e sull’onda dell’emozione, dell’orrore suscitati dai recenti, tragici eventi – vi è ragionevolmente da confidare che l’operazione sia in definitiva votata a esito positivo.
Sempre che non costituisca altresì una sorta di sondaggio per “censire” sin d’ora disponibilità di ricovero per future evenienze, l’appello rivolto al Paese a sostegno del cennato progetto richiama nondimeno alla mente l’idea di una… “mobilitazione generale”.
Circostanza, questa, suscettibile di ingenerare perplessità, per non dire viva preoccupazione, riguardo la capacità di tenuta complessiva del sistema di accoglienza.
Se, cioè, sin d’ora si ritiene di ricorrere a una “chiamata” di tal fatta – per, come pare, un tutto sommato contenuto numero di persone – cosa mai avverrà, come prima accennato, ove centinaia di migliaia di profughi bussassero tra qualche mese alle porte, quando tra l’altro “emozione” e “orrore” saranno probabilmente… “evaporati”?
Con i se e con i ma la storia non si fa.
Ciò, tuttavia, è valevole per il passato, non per l’avvenire.
Non, per intendersi, in sede di elaborazione e definizione di scenari, obiettivi, criticità, conseguenti soluzioni.
Inoltre, nel mentre degli avvenimenti in corso, continuano gli sbarchi sulle coste nostrane di migranti a centinaia per volta, migranti che la esperienza fin qui maturata insegna come peraltro soltanto in trascurabile percentuale aventi potenzialmente titolo a permanere sul territorio nazionale.
Approdi che, certo non da ora, stanno mettendo alla frusta un sistema di accoglienza evidentemente tarato, in via ordinaria, su “contingenti” decisamente assai più contenuti.
Sistema di accoglienza, appunto.
Già normalmente, di fatto esso grava e si regge in massima parte su strutture… straordinarie(!): gli attuali CC.A.S., di loro in costante, grave affanno, accentuato di recente anche dalla necessità di essere tramutati in un battibaleno in luoghi ove fare svolgere le quarantene covid ai nuovi arrivati, con quello che ne può conseguire in caso di sopravvenienti, accertate positività.
Al netto di ogni altra riflessione, distrarli per dette necessità, riduce contestualmente la (limitata) disponibilità dei posti di accoglienza per le esigenze originarie.
Va con l’occasione doverosamente soggiunto in proposito che, per quanto consta, i CC.A.S. risultino sempre maggiormente difficili da reperire e ottimizzare, non ultimo per effetto di disposizioni normative, e afferenti interpretazioni, maggiormente consone a occorrenze di quotidiano piccolo cabotaggio piuttosto che di interminabile straordinarietà, quali invece appaiono quelle che connotano la gestione del fenomeno in parola, vieppiù aggravata dalla irriducibile pandemia in atto.

 Signor Ministro,

non si intende abusare della Sua cortese attenzione, tantomeno su situazioni che Ella compiutamente e più di chiunque ben conosce.
Compreso il relativo loro pesantissimo impatto sulle articolazioni centrali e sul territorio della Amministrazione dell’Interno, non di rado chiamate da un momento all’altro a misurarsi con questioni di inusuale complessità.
Articolazioni, va sempre rammentato, in grave deficit di risorse di personale a tutti i livelli.
I competenti uffici del Viminale e le prefetture, in questa come in ogni altra contingenza, continueranno a profondere il meglio di sé nel fornire le risposte loro richieste e nel contribuire al superamento delle problematiche in agenda.
Anche a fronte di condizioni persino sotto il limite di una accettabile sostenibilità.
Benché, per i miracoli…
Per questo, per rispetto al loro immancabile e infaticabile impegno, questa AP, a motivo di quanto in precedenza sinteticamente tratteggiato, viene doverosamente a chiederLe un incontro, auspicabilmente in tempi brevi. In attesa di gentile riscontro, si porgono sentiti saluti.

(AntonioCorona)””