di Antonio Corona

islam19 marzo, San Giuseppe.

È una esistenza spesso in solitario, la nostra.

Una vita professionale trascorsa tanto velocemente da sembrare iniziata non più tardi di ieri. Di città in città, città dopo città. Non per tutti è lo stesso.

Meglio per loro.

Per molti altri di noi, invece…

Lontani la famiglia, gli affetti, gli amici. Capita allora che sia  così  anche oggi, quest’oggi festa del papà.

Dall’altra parte del filo, mio figlio questa mattina mi ha invaso le orecchie con quella vocina allegra da bambino smanioso di crescere: “Auguri, babbo!”.

Sì: babbo.

E dire che gli abbiamo(a essere sinceri, gli ho) imposto un nome romano, quello del console Corvo. Quante volte gliene ho raccontato la storia mentre il suo sguardo rincorreva rapito chissà quali avventure.

D’altra parte è nato a Bologna e, mentre continuo nel mio girovagare per lavoro, vive sulla riviera adriatica con la mamma, mia moglie, romagnola d.o.c..

Insomma, non c’è proprio verso che mi chiami papà. Tutt’al più, talvolta, papino. Un vezzeggiativo solitamente ambasciatore di desideri in procinto di essere espressi accompagnati, come impavidi cavalieri di tempi lontani, da profondi occhioni scuri ad affogare nei miei. 

L’ennesimo nerf o il telefonino che è ancora troppo presto a venire?

Ha appena undici anni e mezzo, è in prima media.

La giornata è volata via e volge al termine.

Una passeggiata per prendere una boccata d’aria e poi di nuovo in alloggio.

S’è fatta ora di cena.

Patate surgelate, le solite, da infornare,

hamburger da scottare in padella.

E sì, pure qualcosa con cui pagare pegno alla gola: non è anche questo, certe volte, un modo di farsi un po’ di compagnia?

Un’occhiata alla tivvù accesa.

Avessi almeno Sky o Mediaset Premium…

Ma no, meglio di no, almeno stasera: la Roma le sta prendendo sonoramente all’Olimpico dalla Fiorentina.

Sembra una eterna Cenerentola questa squadra, magnifici cavalli e splendida carrozza che, di punto in bianco, riprendono inesorabilmente le sembianze di… topolini e zucca.

Quant’è difficile essere romanisti.

Va bene che la Roma non si discute, si ama: dovrà però pur esserci un limite…

Lo zapping mi porta su RAI2. È in onda Virus.

Stanno parlando del terribile attentato a Tunisi, tra i morti e i feriti stavolta ci sono anche alcuni italiani.

Il conduttore racconta l’esito di un sondaggio in una scuola del settentrione del nostro Paese, non ricordo se media o superiore.

“E se le bandiere dell’Is venissero piantate tra di noi?”, vengono interpellati gli studenti.

Sgomenta la risposta, addirittura più agghiacciante della domanda.

23(ventitré) su 25 si dichiarano pronti a convertirsi immediatamente all’Islam.

Eppure, mi viene da pensare, appena due giorni fa, non eravamo tutti(tutti?!?) a celebrare insieme il 154° anniversario dell’Unità, a cantare a squarciagola “stringiam’ci a coorte, siam pronti  alla morte, l’Italia chiamò!”?

Intere schiere di ragazzi, a quell’epoca, non esitarono a offrire e a sacrificare la vita sull’altare dell’ideale di Patria: su barricate o in polverosi campi di battaglia, in camicia rossa ridotta a brandelli o raccontati da una spigolatrice persasi nello sguardo fiero e nobile di un patriota massacrato davanti ai suoi occhi con altri trecento, giovani e forti.

Magari, quei ventitré studenti di oggi, trovandosi davvero di fronte gli assassini in nero…

Ma il dubbio si insinua, rimane e insolentisce il cervello.

Nessuno, beninteso, desidera la guerra:

v i v a la p a c e!

A che prezzo?

Difficile dimenticare quel fine settembre 1938, quella Monaco nella quale i quattro Grandi si riunirono per decretare lo smembramento della Cecoslovacchia in favore della Germania nazista.

Si pensava in tal modo di placare la fame insaziabile di quell’ex caporale austriaco deciso a maramaldeggiare, incoraggiato dal balbettio di coloro che, pur potendo, non si decisero a fermarlo per tempo.

Se non quando tutto ciò finì con il costare 50milioni di morti.

La guerra è tragedia, distruzione, lutto, dolore.

A volte è sbagliata. A volte è necessaria.

Specie quando cerchino di sopraffarti e di renderti succube.

Senza la seconda guerra mondiale, chissà come sarebbe il mondo.

Chissà se le svastiche continuerebbero a garrire prepotenti al vento e i camini di Treblinka o di Auschwitz-Birkenau a impestare l’aria.

Che  esempio  stiamo  dando  ai  nostri figli?

In Iraq, in Siria, a loro coetanei, novelli spartani in salsa jihadista, stanno insegnando a usare le armi, a farsi saltare in aria, a presentarsi in video di propaganda dove, neanche teen, uccidono a sangue  freddo inermi prigionieri.

Siano stramaledetti coloro che rubano l’innocenza a un bimbo!

Cosa stiamo però facendo noi adulti per scongiurare che i nostri figli, le nostre donne, le nostre compagne, i nostri vecchi, i nostri infermi, i nostri vulnerabili, possano trovarsi a scontare sulla propria pelle l’indifferente atrocità di pensiero e di credo di persone spogliatesi di ogni briciola di umanità?

Cosa raccontiamo ai nostri figli mentre sullo schermo della televisione si susseguono senza posa scene di inenarrabili barbarie?

Cosa “ci” raccontiamo?

Quanti politici ed esperti di turno intenti a quietare le coscienze, a offrire giustificazione alla nostra inanità, al nostro non fare niente.

Diplomazia, corpi speciali. Meglio, diciamocelo, se ci si riesca a limitare a forniture di armamenti – anche obsoleti, non stiamo a sottilizzare – a quanti siano disposti a farsi ammazzare per conto nostro.

Il feroce tiranno Assad torna a essere un possibile protagonista dell’area.

L’Iran, fino a un recente passato in cima alla lista nera dei Paesi terroristi, diventa interlocutore credibile e forse alleato, al quale potere consentire l’arricchimento dell’uranio.

Al Sisi? Che diamine, ce li metta lui i boots on the ground, sta già lì!

A proposito di Libia: e una bella iniziativa politica europea per convincere i governi di Tripoli e Tobruk a fare fronte comune e combattere l’Is invece di continuare a massacrarsi tra di loro?(good luck!).

Piuttosto, che romantici e commoventi quei peshmerga curdi laggiù a Kobane. Visto? C’erano anche delle donne! Fiere e toste, eh? Mosul? Peccato per quei monumenti distrutti. D’accordo, patrimonio universale dell’umanità ma, tutto sommato, pur sempre di semplici statue di pietra si tratta, alla fine non è stato fatto del male a nessuno.

Un po’ la medesima logica di riduzione (a ogni costo) del danno – e di forze di polizia che da noi, per essere legittimate a ristabilire la legalità violata di un Paese democratico, devono rassegnarsi a prenderle e a essere insultate prima di santa ragione – delle dichiarazioni riguardo la barcaccia a piazza di Spagna stuprata da hooligan olandesi in preda ai fumi dell’alcool.

Cedevolezza, un tempo appeasement: salvo che si tratti di imporre inesorabilmente l’osservanza di parametri economici, sembra questa la parola d’ordine oggi imperante in questa   nostra Europa altrimenti tetragona solamente a parole.

Cedevolezza alla quale pare siano già pronti a uniformarsi quei 23 studenti pronti a convertirsi.

I seguaci dell’Is sono pochi. Per ora.

Nel frattempo, musulmani, cristiani, ebrei, e chi più ne ha ne metta, continuano a essere massacrati.

Sembra che soltanto dalla finestra di San Pietro quell’omino tutto vestito di bianco ne colga in pieno orrore e angoscia.

Come peraltro potersi escludere che, per come siamo fatti, ove quelle bandiere nere dovessero mai veramente sventolare sur cupolone, qualcuno tra di noi non trovi da ridire: “Beh, dai, un po’ la Chiesa se l’è andata a cercare… Quell’Urbano II, quelle benedette crociate…”.

Semplicemente fantascientifico che l’Is possa mai invadere Italia e continente.

Ed è vero, gli interventi in Afghanistan e in Iraq, poi in Libia, hanno come scoperchiato il vaso di Pandora.

Mancava il progetto politico per il dopo, è stato eccepito, ci si è affidati esclusivamente alle armi e allo stellone.

Soprattutto, però, a differenza di quanto accadde nella seconda guerra mondiale, il lavoro non è stato portato a termine. Fra divisioni, ripicche, cambi di fronte, si sono probabilmente fatte le valigie prima del dovuto.

In cosa dunque consisterebbe questo progetto ammantato per ora da soli pii propositi e roboanti dichiarazioni di principio?

Con l’avvertenza che, se ci si decida infine a contrastarlo, ma efficacemente, senza comunque cedere alle sue provocazioni dirette a innescare un folle e anacronistico conflitto tra civiltà, l’Is andrà annientato perché altrimenti, prima o poi, eventualmente sotto altre forme…: come un cancro che, se non definitivamente debellato, torni ad aggredirti finché non riesca a farti fuori.

Non si può intanto rimanere in eterno sulla difensiva, è impensabile tenere all’infinito  in  massima  allerta  il  sistema  di sicurezza interno su di una infinità di obiettivi. Nella migliore delle ipotesi, pericolosissimi cali di attenzione e logorio.

Tutti d’accordo che vada esclusa qualsiasi crociata in versione moderna.

Un qualsiasi intervento militare, che abbia chiaro l’obiettivo politico da conseguire e specialmente se energico e devastante, deve essere quanto più mirato, con la consapevolezza di non potere tuttavia eliminare completamente il rischio di danni collaterali.

Mentre si disquisisce più o meno finemente, rimane al contempo che, non trovando un fermo argine, in primis, da parte dell’Occidente(e chi sarebbe mai, però, questo Occidente?), le atrocità possano altresì solleticare gesti emulativi.

“Visto? Uccidiamo impunemente centinaia, migliaia di persone, uomini, donne, bambini, sradichiamo croci, distruggiamo antiche vestigia patrimonio culturale dell’umanità e non accade nulla. Anzi, iniziano persino ad avere paura a chiamarci con il nostro nome e ad autolimitarsi nella satira nei confronti del nostro credo. Forza, allora, datevi da fare. Mal che vada, sarete ricompensati nell’aldilà. E voi, musulmani moderati, non negateci il vostro sostegno, va bene anche silenzioso, perché si ricordano di voi soltanto dopo che si sia sgozzato qualcuno dei loro”, pare di udire dai jihadisti.

Qui in Occidente siamo consumati e straordinari maestri nel manifestare sdegno, a organizzare cortei, manifestazioni e fiaccolate a ogni occasione.

È comprensibile come qualcuno, ingenuamente, in assoluta buona fede, possa essere portato a confidare in un seguito concreto al profluvio di ispirate iperboli dialettiche.

Forse, una ripassatina alla storia…

Com’era? “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur!”.

Ehi, che ore si sono fatte?

Devo proprio essermi addormentato.

Tutte quelle patate, di sera, che strani pensieri devono essermi passati per la testa…

La televisione è rimasta accesa, adesso la spengo.

Tra poche ore, di nuovo in piedi e via, si ricomincia.

Non prima, però, di un colpo di telefono a casa, per un bacio e l’augurio di una bella e serena giornata.

Clic. Buonanotte.