di Marco Baldino

costituzioneIl lettore mi perdonerà quest’approccio montano, ma sono da poco tornato da una splendida settimana nelle Dolomiti, che ha lasciato il segno anche più del consentito.

In ogni caso l’argomento del mio scrivere non sono consigli di trekking ma più accademicamente una riflessione sulle due importantissime e contestatissime riforme istituzionali i cui esiti intervallano la oramai tragica cronaca quotidiana: quella costituzionale, sulla quale in autunno andremo a votare il referendum confermativo o dissolutorio e che, da mesi, è oggetto di accesi dibattiti non solo dottrinali; quella elettorale che, entrata in vigore da  poche settimane, nonostante la sua effettiva approvazione risalga a oltre un anno fa, è già oggetto di proposte di modifica che non definirei affatto marginali.

Ecco, il titolo del mio scritto in sostanza vuole porsi questo quesito: di fronte a due tentativi di riforma che, pur non rappresentando la panacèa, pur tuttavia in maniera inequivoca rappresenterebbero un passo in avanti verso la semplificazione e la modernizzazione del nostro Paese, sarebbe opportuno acquisire il livello di cambiamento proposto e poi magari in seguito compiere un ulteriore passo in avanti e, quindi, optare per la “mezza costa” , oppure rinunciare per l’ennesima volta a una qualsiasi modifica, azzerare tutto, tornare a “valle” e chissà se e quando ripartire?

Certamente il  mio non neutrale approccio semantico fornisce già la risposta.

Iniziamo dalla riforma costituzionale.

Sono 30anni che facciamo finta di volere riformare la Costituzione, così come facciamo finta di volere costruire la Torino-Lione. Facciamo come quel calciatore che prende la palla dal suo portiere, la porta avanti e avanti e avanti, smarca tanti avversari e, quando si trova di fronte al portiere avversario, che fa? Volontariamente calcia la palla fuori, perché gli piace più ricominciare che concludere. Così succede da tre decenni.

Credo che questa dovrebbe essere l’ultima volta. O cambiamo o lasciamo perdere. È questione di serietà.

Non che l’attuale riforma sia la panacèa, ma riesce a superare tanti limiti che una pur buona costituzione con 70anni di età mostra. Soprattutto perché fu partorita all’indomani del fascismo e, nella compressione del potere esecutivo, nella esaltazione del consociativismo di quello legislativo, mostra tutti i suoi limiti di contingenza storica.

Certo si poteva fare di più. Essere più netti sul Senato, riservandogli un ruolo di “condominialità legislativa” solo ed esclusivamente nelle materie afferenti i governi territoriali, ma lasciando in ogni caso l’ultima parola alla Camera, unico soggetto parlamentare effettivamente politico e così semplificando davvero il procedimento legislativo che, in effetti, al momento sembra più complicato di prima. Magari una ulteriore sforbiciata al numero di deputati non avrebbe fatto male.

Ma d’altra parte va molto apprezzata la razionalità e la giusta gerarchia nei rapporti fra Stato e Regioni che supera la conflittualità scaturita dalla riforma del 2001. Certo, viene ucciso il federalismo. E a me dispiace molto, perché nel federalismo avevo creduto. Ma dopo anni di vita e lavoro al nord ho capito che quel sistema funziona solo fino al Po. Al di sotto si traduce in confusione e arbitrarietà.

Vanno tuttavia apprezzati, nella riforma, i tempi certi nella definizione dei procedimenti legislativi.

Un grosso passo in avanti è nella costituzionalizzazione del valore della trasparenza nella azione amministrativa, dato quasi mai pubblicizzato né pro né contro.

Intelligente l’idea di un vaglio costituzionale preventivo delle leggi elettorali, che così impedirebbe il parto di assemblee legislative di fatto illegittime nelle persone e negli atti.

Insomma, sono molte le innovazioni che permetterebbero, se approvate, di far fare un buon passo avanti al nostro sistema istituzionale. Che potrebbe realizzare magari un primo step e, fra dieci anni, una volta a regime, costituire il nuovo punto di partenza per una ulteriore modernizzazione.

Ma, riprendendo il mio titolo, non possiamo arrivare in cima se almeno non arriviamo a mezza costa.

E invece su cosa si basano i pro e i contro?

Non su idee o concezioni istituzionali, ma su persone, con tutti i limiti che una personalizzazione esasperata può portare a una seria disputa su idee, principi e sistemi. Ma tant’è.

Stesso discorso può innestarsi sulla riforma elettorale.

Abbiamo avuto una legge elettorale per 10anni più criticata che esaltata.

Dopo 10anni la Corte costituzionale ha stabilito che presentava seri dubbi di costituzionalità e ne ha cassato una buona parte, facendo fare acrobazie ai costituzionalisti per tenere in piedi idealmente i parlamenti succedutisi in questi anni e gli atti legislativi da essi prodotti.

Ora ne abbiamo un’altra che, analogamente a come dicevo nella riflessione precedente, non è la panacèa, ma supera le perplessità e le “cassazioni costituzionali”.

È vero, mantiene i capilista bloccati, ma solo i capilista, perché gli altri eletti li possiamo scegliere noi con le preferenze. E poi questa dei capilista pur invisa alla gente in realtà è una imposizione delle forze politiche che non si “fidano” del fiuto dell’elettore e vogliono imporre i “paracadutati”. Quindi?

Dà un premio di maggioranza, è vero, e come tale il premio di maggioranza in un certo senso altera la proporzionalità fra voti ed eletti. Ma è il controcanto della governabilità. E poi non conferisce un premio “a vanvera” ma solo in presenza del raggiungimento di una determinata percentuale. Peraltro assai alta.

Certo, forse di questi tempi di assenteismo marcato il doppio turno non è proprio una scelta felice. Ma anche qui si potrebbe provare, vedere “di nascosto l’effetto che fa” e poi fra 10anni cambiare se non si ravvisano più le necessità.

Ma anche qui la battaglia è stata personalizzata e allora, pur di contrastare chi si vuole contrastare, si rivorrebbe indietro il pur vituperato vecchio sistema.

Inoltre, ed è un altro durissimo scoglio da superare,  in questa nuova normativa c’è anche il netto e poco italiano concetto di “lista” che sostituisce quello tipicamente italico e consociativo di “coalizione” ove tutti, anche i “prefissi telefonici”,  hanno un potere di veto e di imposizione.

E allora si capisce perché non riusciamo a calciare in porta…

L’estate sta finendo… l’autunno arriverà…

E allora potremo toccare con mano se saremo una squadra di centravanti o di… portieri.