di Marco Baldino
Anche i ballottaggi si sono conclusi. Tutte le città hanno i loro sindaci. E noi possiamo voltare pagina e pensare alle prossime elezioni.
Tuttavia, mai come quest’anno sono state sollevate critiche e palesate criticità che riguardano l’intero sistema e, dunque, non credo che potremo limitarci a girare pagina e girarci dall’altra parte. Una serie di riflessioni risulta improcrastinabile.
Nelle righe che seguono mi permetto di sottolineare tali criticità, lette o vissute, e, fra il buon senso e la provocazione, proverò a suggerire possibili rimedi.
Allora facciamo un viaggio a ritroso e partiamo dalla presentazione delle candidature, dove tutto si ufficializza.
Cominciamo il discorso con le Commissioni e le Sottocommissioni elettorali circondariali che, in questo prodromo di campagna elettorale, hanno il delicatissimo compito di esaminare e ammettere le candidature.
Quando vi erano i gettoni di presenza, vi era la fila per fare parte di questi organismi, che si riunivano quotidianamente anche per il mero aggiornamento di alcune voci delle liste elettorali. Ora che tutto è gratuito, il deserto. Se non venissero tenute in piedi da noi dirigenti e dai nostri colleghi funzionari della Prefettura non sapremmo come fare, dal momento che i designati dagli Enti Locali preferiscono fare altro.
E non parlo di quella inutile attività di spostare gli elettori da un casella all’altra, che a quello possono pensarci i Comuni. Mi riferisco al compimento di quelle delicatissime operazioni di ammissione delle candidature, di esame delle sottoscrizioni, di verifica della proporzionalità di genere… e così via. In Italia, purtroppo, o si tiene acqua e bambino, o si buttano entrambi. E invece andrebbe fatta una distinzione.
Nel momento in cui la Commissione è chiamata alla verifica delle candidature, lì andrebbe somministrata una adeguata indennità, commisurata al rischio e alla delicatezza del compito. Per il resto basterebbero i Comuni, in attesa del varo dell’ANPR e della estensione della sua gestione onnicomprensiva anche alle liste elettorali.
Parliamo ora delle sottoscrizioni. Ogni anno la stessa storia. Firme farlocche, autentiche dubbie. Sottoscrizioni plurilista che obbligano a verifiche e alla eliminazione dei pluriduplicati, con il rischio di una non ammissione, per lo più contestabile perché, ancorché ammessa più tardi, la lista potrebbe essere stata sottoscritta in anticipo… E tutto questo impazzimento a volte per liste che prendono percentuali da prefisso telefonico.
Allora, qui una provocazione. Aboliamo le sottoscrizioni e sostituiamole con una cauzione commisurata alla entità delle consultazioni elettorali. Se la lista elegge almeno un rappresentante, la cauzione si restituisce. Altrimenti viene assorbita dal Comune che ci paga le spese elettorali. Un po’ la stessa filosofia del Soccorso Alpino per quegli avventurosi che sovrastimano le proprie capacità e sprecano risorse destinate a chi ne abbia veramente bisogno. Un po’ come avviene per le cosiddette “liti temerarie”. Ecco, una “lista temeraria” e recidiva deve capire quando insistere nel presentarsi e quando cambiare target e goal.
Passiamo poi alla campagna elettorale, disciplinata da normative piene di buone intenzioni ma totalmente archeologiche nei tempi attuali.
Non ci si può concentrare esclusivamente sulla pubblicità dei cartelloni, che oggi quasi tutti ignorano, quando si lasciano fuori altre forme più moderne e utilizzate, quali la pubblicità sui mezzi pubblici, quella dei gazebo, nelle sedi che oramai sono dei candidati e non più dei partiti, e, soprattutto, la rete. Oggi campagna elettorale si fa su internet e sui social in tutti i modi e in tutti i tempi, anche mentre si stanno svolgendo le votazioni. Perché la rete è libera totalmente.
Allora, forse, un po’ meno repressione, oggi inutile, e un po’ più di moderna regolamentazione: ma di ciò che si fa realmente oggi, non di come si faceva campagna ai tempi di Ugo Zatterin.
A ciò aggiungerei una parola su quel tabù che si chiama “silenzio elettorale” e che, per poca chiarezza e assoluta inattualità della legge, oggi è interpretato ad libitum. Silenzio significa silenzio. Non parziale attività.
Rete a parte, che come dicevo è intoccabile, che significa interrompersi il venerdì a mezzanotte se la domenica a più di 200metri si può fare ancora campagna? Non sarebbe meglio fare iniziare il silenzio da sabato a mezzanotte e proibire, per tutta la giornata di domenica, qualsiasi forma di propaganda in qualsivoglia modalità e a qualsivoglia distanza?
Passiamo al voto.
Da anni si riscontra un progressivo calo dell’affluenza. Non si tratta più di sbandierare il diritto-dovere previsto dalla Costituzione. Oggi il voto è essenzialmente motivazione e ci va chi vuole lanciare un segnale e dire qualcosa a favore o contro chi governa. Ma chiamare al voto le persone, con questa fragilità motivazionale, due volte in quindici giorni, non è un po’ giocare con il fuoco? E che dire delle “complicazioni democratiche”, quali il voto disgiunto? Non sarebbe meglio renderci la vita più semplice e diretta?
E andiamo al dopo-voto, dove quest’anno si sono verificati episodi a dir poco allucinanti.
Novara, che di solito fa le cose per bene, e al massimo chiude alle 5 di mattina, quest’anno ha concluso le operazioni alle 10,30 e solo perché una task force del Comune è andata in tutti i seggi, trovando ragazzi addormentati e presidenti nel panico e in preda a una matematica diventata drammaticamente una… opinione.
La giustificazione risiede nella sempre minore esperienza e nel numero di ore ininterrotte di attività. Allora forse dovremmo fare una riflessione anche qui.
Che garanzia possono offrire persone in genere non navigate e che sono in piedi da oltre 24 ore, per certificare dati che dovrebbero disegnare la realtà politica di un quinquennio? Non sarebbe piuttosto il caso di potenziare il compenso, per adeguarlo alla delicatezza del compito, e di scegliere non soltanto persone pseudo-bisognose, ma persone veramente all’altezza, eliminando anacronistiche incompatibilità professionali e anagrafiche e rivalutando l’esperienza acquisita?
Se poi aggiungessimo anche una vera e propria rivisitazione in senso semplificatorio di tutte le procedure forse non sarebbe male. Magari introducendo anche l’ausilio di strumenti meccanici come i “conta schede” che almeno certifichino gli esatti totali.
Forse ho detto troppo. Però da dieci anni riscontro un progressivo scollamento fra regole e realtà che, quest’anno, a mio giudizio ha raggiunto il punto di non ritorno.
La soluzione?
Affidare ai nostri bravissimi colleghi della Direzione Centrale dei Servizi Elettorali il compito di redigere un nuovo testo legislativo elettorale onnicomprensivo che fotografi le esigenze della realtà e possa anche essere oggetto di aggiornamenti annuali veloci ed efficaci. Ai politici poi il compito di approvarlo, senza troppo modificare. Proprio nel rispetto della sublime qualità dei nostri colleghi che, fra l’altro, sono in continuo contatto con noi “periferici” che costantemente li aggiorniamo sulle nostre esigenze.
Questo scritto è anche l’occasione per ringraziarli per la loro continua presenza, inalterabile cortesia, irraggiungibile competenza.