di Maurizio Guaitoli

Parola d’ordine: Sburocratizzazione!

Insomma: dalla stanza dei bottoni alla… battaglia dei bottoni(ricordate l’esilarante film dal titolo omonimo?). In realtà, occorrerebbe urgentemente un antidoto al veleno dell’intossicazione antiburocratica, con cui la Politica si va inutilmente stracciando le vesti da mezzo secolo a questa parte. Perché poi è verissimo che tutti si abbeverano dalla bottiglia opaca della P.A. senza minimamente conoscerne il contenuto che li avvelena. Romanzando un po’ la cosa, la Burocrazia è un soggetto patologico che presenta in pubblico uno smisurato ventre batraciano in cui si nasconde l’apparato riproduttivo che l’ha partorita, ovvero la iperproduzione normativa di Parlamenti e Governi bulimici e di una miriade di soggetti regolatori, che hanno prodotto nel tempo centinaia di migliaia di norme secondarie e pararegolamentari, alle quali la P.A. e il cittadino debbono obbligatoriamente sottostare.

Ma guai provare a mettere ordine collocando in smart-working milioni di burocrati. In primo luogo, perché anche quando quest’ultimo strumento dovesse (e non accade oggi!) funzionare egregiamente, succederebbe come a Milano, in cui intere cittadelle e fortezze burocratiche, ospitate in verticali e giganteschi dolmen di vetrocemento, vengono svuotate dagli storici occupanti, provocando così un crollo dell’indotto commerciale che si nutre dei loro stipendi e della loro presenza quotidiana!

Per cui, a destra come a manca, risuona un solo grido: “tornate a lavorare!”, sennò, detto tra di noi, la microeconomia locale non tira, e chissene… se in compenso ci guadagna la società civile, con la scomparsa di file interminabili per le pratiche burocratiche. Una società sana farebbe spallucce dato che, dal punto di vista sistemico, tra guadagni di produttività, risparmi energetici e riduzione drastica dello stress, del traffico e dell’inquinamento urbano, la bilancia produttiva e il contribuente traggono immensi benefici dalla digitalizzazione integrale dei mestieri burocratici. Va detto però che, soprattutto dalle parti del Pubblico Impiego, se molti trovano comodo e rilassante organizzarsi autonomamente il lavoro e la vita da casa, altrettanti travet semianalfabeti digitali non godono degli stessi vantaggi e benefici, anche perché, per ogni procedura e procedimento amministrativo, i computer hanno la pessima abitudine di conservare tutti i passaggi relativi, memorizzando le singole operazioni nelle loro banche-dati. Cosa che penalizza e sanziona a cielo aperto (a causa della trasparenza!) l’incompetenza e la pigrizia indomita dei burocrati. Ma se l’Impiegato è un bersaglio fin troppo facile, il suo Burattinaio politico non lo è altrettanto.

Da un lato, infatti, la manna del pubblico impiego ha rappresentato (e continua a farlo) un immenso, inesauribile ammortizzatore sociale per assorbire disoccupazione intellettuale soprattutto meridionale, e a mantenere in vita con il denaro pubblico vasti feudi politici clientelari per l’indirizzamento del voto elettorale. Dall’altro, come in queste fasi successive al post-lockdown, la Burocrazia è il capro espiatorio di tutte le avversità e le cose che non funzionano in questo tragicomico Paese, accusata cioè di mettersi di traverso e di impedire qualsiasi moto di rinnovamento che ridia vigore al motore corroso e corrotto dell’economia italiana.

Ma è davvero così? O vale sempre, dal 1948 a oggi, il patto scellerato tra Amministrazione e Governo per cui all’impiegato pubblico si dice: “Ti do’ poco ma ti chiedo quasi nulla in cambio come risultato”?

Le colpe di avere occultato i termini veri del problema, però, risiedono nel manico: intellettuali, esperti e politici declamanti continuano a imbarcarsi allegramente sul Titanic dell’ignoranza collettiva. Tutti vogliono rinnovare la Macchina burocratica, ma nessuno sa veramente come funzioni e come si possa fare a costruirne una ex novo. In particolare, la digitalizzazione integrale della P.A. è una manna che, caduta a terra, si scioglie come neve al sole. Quando lancia i suoi ragli per la “Sburocratizzazione!”, la ciurma del Titanic non sa di che cosa stia parlando. Allora, forse, sarà meglio precisarlo, partendo dall’Estonia, il Paese più digitalizzato d’Europa(cfr. Alec Ross, nel suo Il Nostro Futuro).

Innanzitutto: quali sono i… “Beni” amministrativi(una licenza, un’autorizzazione, un permesso, una certificazione..) per i quali il cittadino è disposto a pagare? E quanto deve costare ciascuno di questi Beni e in quali tempi medi standard deve essere prodotto? Quanti sono questi Beni effettivi e quante risorse, invece, vengono bruciate in pratiche di auto-amministrazione, quelle cioè che producono ingenti, veri danni “collaterali” per gli interessi del contribuente?

Secondo quesito: come si fa a lavorare in smart-working trattando pratiche d’interesse diretto del cittadino se agli italiani non viene assegnato dalla nascita un indirizzo unico(come il Codice Fiscale) di Pec, per cui ogni mail e i suoi allegati hanno valore legale di raccomandata con ricevuta di ritorno? E come si fa a trattare in digitale le pratiche relative se per ciascun cittadino-utente non esiste un data-base nominativo e unico a livello nazionale, contenente tutti i suoi rapporti pregressi con la P.A.(corrispondenza, atti amministrativi, cartelle esattoriali e relative alla salute, possesso di status riconosciuti, situazione anagrafica aggiornata in tempo reale, etc., etc.)?

Il fascicolo unico digitale lo si doveva iniziare a costruire già venti anni fa, almeno! Ora, con i soldi per gli investimenti sul digitale che la Ue metterà a disposizione dell’Italia a partire dal 2021, si dovrebbe iniziare proprio dalla costruzione di questo immenso Big-data, mettendo a disposizione del cittadino algoritmi e software molto sofisticati che trasferiscano su supporti digitali incorruttibili tutto il materiale cartaceo che lo riguarda, partendo dalla copiatura dei carteggi privati con la P.A. che ciascuno di noi conserva da qualche parte negli armadi di casa. Facile dire “digitalizziamo tutto”. Ma noi non siamo l’Estonia che vanta la Pubblica Amministrazione più digitalizzata d’Europa! Lì, tutti i rapporti tra cittadini e burocrati vengono sbrigati online. Tutti hanno la Pec e un codice identificativo unico nazionale: di conseguenza, le procedure e i processi amministrativi nascono già ottimizzati dalla penna del legislatore. Esattamente il contrario di quanto accade qui da noi, dove proprio a nessuno interessa l’impatto delle norme adottande sugli apparati amministrativi centrali e decentrati, conferendo così a questi ultimi poteri di vita e di morte sulla relativa interpretazione normativa, che a sua volta crea dal nulla una cascata oceanica di sub-norme regolamentari.

Ed è così che le leggi appena adottate, fattrici in genere di una pletora di altri decreti applicativi e regolamenti che spesso non arrivano mai e, quindi, le rendono di fatto disapplicate in tutto o in parte (!), si sovrappongono e stridono con un’altra miriade di quelle già esistenti, generando una confusione sempre più grande essendo tutte mal scritte (verrebbe da dire appositamente!). Semplificare vuol dire in primis mettere la museruola e un bel cane da guardia a mordere le terga di sfaccendati e ignoranti legislatori, impedendo loro di fare troppi danni con i loro parti legulei sfornati in sede di drafting dagli stessi potentati amministrativi(gabinetti e uffici legislativi) che dovrebbero poi applicarli. Disboscare l’Amazzonia, velenosa, fitta e impenetrabile dell’ingarbugliato, spinoso e gigantesco tessuto normativo di questo disastrato Sistema-Paese, vuol dire liberare ossigeno per cittadini e imprese, ma a una condizione: cambiare prima le teste, ovvero il modo di pensare di dirigenti pubblici e di legislatori improvvisati e ignoranti. Finché si continua a credere che la tutela di troppi diritti(privi del contrafforte di corrispondenti e seri doveri) passi attraverso la scrittura di una legge e non di una silenziosa rivoluzione etico-culturale dei cittadini, noi continueremo a incartarci nel politically-correct destinato a dare vita a populismi sempre più scatenati e a democrature illiberali sempre più verticistiche. L’Estonia gode di un invidiabile Stato leggero grazie, rispettivamente: alla configurazione della sua piramide d’età(gli estoni non soffrono del nostro tasso di invecchiamento e di sterilità riproduttiva…); alla densità molto bassa di popolazione estone sul proprio territorio; all’elevato grado di disciplina dei suoi cittadini. Tutte doti che all’Italia mancano da sempre. Infatti, a mio avviso, a noi servirebbe un Recovery Fund etico-morale che imponesse ai Governi di non praticare il gioco delle tre carte tra i miti della semplificazione e della digitalizzazione.

I due concetti non sono conseguenza l’uno dell’altro pur essendo strettamente correlati, dato che la prima sottende una decisione innanzitutto politica mentre l’altra è essenzialmente tecnica. Tuttavia, una cattiva e irrazionale digitalizzazione può addirittura causare paralisi amministrativa a procedure che si intendono semplificate in astratto senza, cioè, nessuna conoscenza a priori sui processi e sulle sequenze operative reali che li contraddistinguono. Per di più, la Dea digitale necessita di una vera e propria rivoluzione organizzativa, con la riconversione sia formativa che culturale del personale pubblico destinato a gestire in remoto processi che non assomiglieranno in nulla a quelli manuali attuali, bizantini e farraginosi. Nessuno ha idea, né di conseguenza sa quantificare, il passaggio da migliaia di tonnellate di archivi cartacei correnti delle PP.AA. a quelli digitali, per la formazione preliminare di quei Big Data che serviranno ai nuovi sistemi informativi per gestire in remoto e in smart working decine di milioni di pratiche quotidiane. Servono a tal fine algoritmi molto sofisticati che operino, da un lato, su banche dati unificate in modo da eliminare, integrandole e razionalizzandole, tutte quelle esistenti(e oggi rigidamente separate e compartimentate per gelosie di apparato!) nelle Amministrazioni pubbliche. Dall’altro, occorre che questa rivoluzionaria digitalizzazione sia altamente funzionale e efficiente(garantendo l’implementazione necessariamente progressiva del suo complesso sistema informativo), in grado di supportare il sistema per obiettivi/risultati da assegnare ai singoli operatori(impiegati e dirigenti), che formano la rete territoriale nazionale integrata dei milioni di lavoratori in smart working.

Concludo con una citazione illustre(che mi da pienamente ragione!). Nell’intervista al quotidiano Libero del 29 giugno rilasciata dal social liberista Ignazio Visco, l’ex Ministro del Tesoro del Pd avanza una severa censura sull’attitudine modaiola e parolaia della ciurma del Titanic che (s)parla di rivoluzione dei modus operandi della Pubblica Amministrazione, fondata sul mito della digitalizzazione e dello smart-working. Stigmatizza, infatti, Visco: “Il punto è riorganizzare le procedure interne, fare un piano industriale per ogni settore della P.A. così come si fa nelle aziende private, dando poi ai dirigenti pubblici responsabilità e autonomia: bisogna passare da una logica giuridico-formale a un approccio produttivo. Ma ci vuole collaborazione da parte del settore: nessuna riforma può essere fatta contro chi deve subirla!”.

Mi ripeto, in aggiunta: occorrono sistemi informativi e algoritmi molto potenti e performanti, per tenere in piedi il modello per obiettivi e verifica dei risultati, come accade per le grandi aziende private, previa adeguata formazione avanzata delle risorse umane(milioni di impiegati!) disponibili.

Sennò, meglio affidarci agli amanuensi benedettini!