di Leopoldo Falco
È noto che la Sicilia sia terra di straordinaria bellezza e cultura… che all’osservatore sensibile può offrire esperienze e storie incredibili…
Ogni anno, a Mazara del Vallo si celebra il Blue sea land, un Expo’ internazionale dei distretti agroalimentari del Mediterraneo e del Medioriente che riunisce i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo in una tre giorni nel corso della quale un intenso programma propone convegni, spettacoli, workshop, degustazioni e l’esposizione in stand posizionati nella caratteristica casbah mazarese delle produzioni ed eccellenze dei Paesi partecipanti.
In un confronto di culture e di idee sulle prospettive economiche del bacino mediterraneo.
Ho avuto il piacere di partecipare a due edizioni della manifestazione e le ricordo come un bagno di folla e una incredibile immersione in un mondo variopinto e rumoroso fatto di costumi, dai colori vivaci e spettacolari, prodotti del mare e della terra, confronti tra culture diverse… Un mix di tradizione e innovazione tanto allegro quanto affascinante…
Mi ritrovavo a percorrere i vicoli di quell’incredibile angolo di Africa in Italia, unitamente ad autorità civili e religiose per lo più africane, tutte di rilievo e fortemente rappresentative, unite in un caloroso e convinto percorso comune, fisico e ideale…
Col Vescovo di Mazara mi intrattenevo sui risultati che si registravano e sulle prospettive, del confronto tra gli esponenti delle diverse confessioni religiose, così importante in una fase storica contraddistinta da intolleranze e divisioni sanguinose.
Con i rappresentanti delle Forze dell’ordine che mi accompagnavano (o scortavano?) in quell’affascinante passeggiata, che percorrevo con una comitiva tanto colorata quanto originale, riflettevo sulla reale impossibilità, in quel contesto, di assicurare una protezione a quelle personalità sorridenti, anche orgogliose di essere lì a rappresentare dei popoli e delle confessioni religiose.
Al Questore avevo già detto che se fossi stato un terrorista avrei colpito lì, in quella manifestazione che proclamava la pace tra i popoli mediterranei, evidenziandone la stessa cultura e le comuni origini, in quel territorio nel quale da sempre si registravano pacifiche, storiche convivenze e anche matrimoni incrociati tra etnie diverse.
Il giorno precedente l’avvocato Tumbiolo, il dinamico organizzatore dell’evento, mi aveva invitato a una cena di presentazione che si sarebbe svolta nella tenuta agricola di un marchese mazarese, noto produttore di vino.
La tenuta, come spesso avviene in Sicilia, era a dir poco fascinosa: un antico castello situato alla sommità di un colle dominante dei vigneti distesi su delle declinanti colline, sovrastato da una torre e munito di una corte rustica al centro della quale era stato allestito il nostro tavolo.
Ebbi il piacere di cenare in compagnia del padrone di casa: piccolo di statura, molto cordiale, non potevo non chiedergli di narrarmi della sua famiglia e della storia che lo legava a quei posti.
E il racconto che seguì non tradì le mie aspettative.
La sua famiglia, di origine araba, era giunta in Sicilia attorno all’anno 1000 e aveva acquisito una proprietà terriera estesa quanto la metà della provincia di Trapani.
Per alcuni secoli aveva governato quel territorio assicurando agli abitanti prosperità e soprattutto pace ed era stata per questo motivo sempre benvoluta.
La residenza principale era in un castello che da alcuni secoli non esisteva più: quella nella quale ci trovavamo nasceva come una fattoria, e in qualche modo ne conservava il profilo, ed era stata adibita a residenza della famiglia nel 1492.
Una storia, per loro, quasi recente, che iniziava mentre altrove si scopriva il nuovo mondo.
Gli dissi che sarei rimasto ad ascoltarlo per ore e gli chiesi da quanto tempo la sua famiglia producesse quello splendido vino che stavamo degustando e se era stata casuale, tra i tanti possedimenti, la scelta di quel sito per impiantarvi il vigneto.
La scelta ovviamente non era stata casuale perché già i suoi maggiori avevano rilevato che quei terreni collinari possedevano delle caratteristiche che davano al vino una fragranza e un retrogusto diverso da quello dello stesso territorio vicino. Su quel prodotto si era nei secoli affinata una produzione che univa sapienze antiche ai più avanzati metodi di ricerca.
Ma vi era una storia ulteriore da raccontare che riguardava quei vigneti che erano diversi dagli altri viciniori in quanto, unici, avevano i filari disposti “alla francese”, ovvero con una particolare conformazione della spalliera.
Era accaduto che durante l’ultimo conflitto mondiale, il padre del mio piccolo marchese, che ci teneva a sottolineare che il genitore era molto alto e prestante, comandava un battaglione impegnato in operazioni belliche in Francia.
Avendo la necessità di far riposare le truppe, reduci da un lungo trasferimento, in un luogo che comunque le proteggesse da possibili raid aerei, il marchese le aveva accampate in un bosco situato nella proprietà terriera di un marchese francese, che abitava in un castello non distante.
Il genitore del mio narratore ritenne corretto, secondo un vecchio codice di cavalleria, andare a presentarsi al padrone di casa e, pur essendo in una posizione di forza che poteva consentirgli di requisire per esigenze belliche quanto gli serviva, gli rappresentò quali fossero le sue esigenze, precisando che, se non gli fosse stato consentito di accampare le truppe, le avrebbe trasferite altrove.
E il marchese francese, non meno cortese del suo interlocutore, lo aveva autorizzato a utilizzare la tenuta per le esigenze dei suoi soldati, anche esprimendo il desiderio di ospitarlo nel castello.
In quel contesto bellico nacque dunque, come non sembra sorprendente considerata la gentilezza di animo dei due gentiluomini, una bella amicizia, anche perché i due scoprirono di “coltivare” una passione comune: erano entrambi, per antica tradizione familiare, produttori di vino.
L’appassionato confronto tra i due marchesi, il mio narratore ci teneva a dire che erano entrambi molto alti, portò a una collaborazione e a una trasmissione di antichi saperi che, come noto, è prova certa di amicizia in quanto alcuni segreti di produzione si tramandano gelosamente in famiglia di generazione in generazione: lì i nostri, distraendosi un po’ dalle vicende militari e belliche che li circondavano, iniziarono una collaborazione che pare abbia dato reciproci e duraturi vantaggi.
Per questo, in quell’angolo di Francia si produce tuttora un vino di ottima qualità che ricorda, per gusto ed aroma, quelli siciliani e, in quella tenuta siciliana, il vigneto ha la particolare struttura dei vigneti francesi.
Commentammo che la cultura, in questo caso quella del vino, può unire i popoli anche nei contesti più difficili; che vi sono dei valori comuni, anche antichi, che possono affratellare persone con provenienze diverse; che quella storia era in piena sintonia con lo spirito dell’evento che si stava inaugurando che intendeva celebrare l’incontro tra i popoli.
Brindammo alla buona riuscita della manifestazione e ci salutammo, anche noi, con amicizia.