di Andrea Cantadori

Sul voto referendario riguardante la riduzione del numero dei parlamentari ha inciso fortemente il sentimento dell’antipolitica che soffia sulle istituzioni rappresentative da molti anni.

È un sentimento da sempre esistente, ma che dopo tangentopoli ha preso forte vigore e si è ulteriormente rafforzato con la nascita del movimento fondato da Beppe Grillo.

Con il termine “casta” si è anche identificato il nemico da combattere, causa di tanti mali.

Occorre dire che la politica poco o nulla ha fatto per contrastare gli attacchi che le erano rivolti, anzi ha fatto di tutto per meritarli.

Anziché mettere mano ai tanti intollerabili privilegi(che i beneficiari preferiscono chiamare con il termine più edulcorato di “prerogative”), si è preferito andare avanti come se niente fosse cambiato nel Paese.

Non bisogna credere che il problema riguardi solo i rami alti delle istituzioni, perché non è così.

Esiste anche una miriade di organismi pubblici che hanno lasciato la strada dei buoni propositi per trasformarsi in occasioni di lottizzazione clientelare.

Alcuni di questi organismi sono addirittura sconosciuti ai più.

Tanto per fare un solo esempio, si pensi alle Unioni di Comuni: sorte come forme associative volontarie per ottenere risparmi di scala, si sono spesso trasformate in casse di espansione del potere politico locale e in centri di spesa fuori controllo.

L’autoreferenzialità della classe politica ha prodotto e continua a produrre sfiducia e disgregazione.

Al punto che alcuni poteri, come finanza, informazione e talune procure, hanno occupato spazi lasciati liberi senza avere alcuna investitura democratica.

Cosa sta facendo la politica per recuperare il rapporto con gli Italiani e, con esso, una sua condivisa legittimità a decidere le sorti della nazione?

Non molto, a giudicare da come si muovono i partiti.

Nati per dare forza alle grandi ideologie aggregando i cittadini, oggi sembrano essersi trasformati in club dalla forte impronta personalistica.

È ovvio che in questo modo hanno perso di attrattività.

Qualche anno fa il senatore Matteo Richetti presentò una proposta di legge per rendere più trasparente il processo decisionale all’interno dei partiti, partendo dal presupposto che la partecipazione alle scelte è il requisito alla base di ogni organizzazione democratica.

Per quale motivo ci si dovrebbe avvicinare alla politica se non vi è la convinzione di potere incidere sulle sue decisioni?

Ovviamente non se ne fece nulla.

E anche coloro che criticano il perfettibile sistema di votazione on line ideato dalla piattaforma Rousseau non brillano certamente per sistemi di partecipazione.

È la politica che deve tornare ad aprirsi ai cittadini, se vuole recuperare consenso e credibilità.