di Antonio Corona

Nell’ordinamento della Repubblica, la vita di chiunque è reputata bene supremo e, in ragione di ciò, caratterizzata da intangibilità e intrinseca sacralità.

Nondimeno.

Fino alla legge costituzionale 2 ottobre 2007, n. 1, il comma quarto dell’articolo 27 della Carta fondamentale recitava: “Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra.”.

Tornando alla attualità, talune fattispecie escludono la punibilità dell’autore di una uccisione.

Purché la reazione sia (riconosciuta come) proporzionata alla potenziale, paventata, ingiusta offesa, ognuno ha il sacrosanto diritto di difendersi.

Anche a costo della vita altrui.

Si chiama legittima difesa.

Montagna, scalatori in cordata.

Sfuggitagli la presa, uno di loro è ormai senza scampo in procinto di precipitare nel vuoto.

Per evitare tragedie ulteriori, si recide la fune.

Si chiama stato di necessità.

Non si comprende come possa allora essere invocato l’art. 32 Cost. a invalicabile baluardo avverso un eventuale obbligo di vaccinazione(anti-covid).

E non solamente in quanto la norma – che al secondo comma, primo periodo, dispone che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario (…)” – concluda precisando “(…) se non per disposizione di legge.”.

Ma perché, si soggiunge, tale specificazione appare persino “ridondante” in situazioni di necessità, nelle quali ipotesi lo Stato, ovvero la comunità intesa nel suo insieme, non avrebbe la facoltà, bensì il dovere di intervenire a fini di proprie salvaguardia e conservazione.

Nessuna “coercizione” illegittima, dunque.

Sempreché, ovviamente, e in ispecie se in mancanza di alternative, le/gli Autorità/Agenzie/Enti preposte/i siano realmente convinte/i della ineluttabilità (o, almeno, della efficacia) del ricorso alla vaccinazione nella azione di contrasto alla irriducibile pandemia in atto.

A sommesso avviso di chi scrive, in esito alle pertinenti valutazioni e comparazioni degli interessi in gioco e se ritenuto occorrente, Governo e Parlamento avrebbero dunque pieno titolo a tradurre siffatta indicazione in consequenziali determinazioni, al netto naturalmente di condizioni individuali di salute che la sconsiglino.

“Ma come”, pare già di udire, “non vi bastano i casi di trombosi che hanno portato al decesso di chi si è vaccinato? Il vaccino, inoltre, è pressoché sperimentale, non è stato adeguatamente testato, chissà quali effetti in futuro, ecc., ecc..”.

Fermo restando che, se la memoria non inganni, non si sia finora addivenuti a conclusioni definitive al riguardo, è sufficiente scorrere un qualsiasi bugiardino per verificare come non vi sia medicinale senza possibili – non ultimo, assai gravi – controindicazioni.

Come si dice, non c’è rosa senza spina.

“È stata accertata la possibilità che un paziente su di un milione abbia contratto (…)”, può leggersi normalmente.

Va da sé che, ove invece che a qualche migliaio, una data terapia venga somministrata contemporaneamente a milioni di persone, la “legge dei grandi numeri” renda assai probabile l’avverarsi della temuta eventualità.

Il che non inficia minimamente la validità del medicinale che rimane comunque a bassissimo rischio e i cui benefici risultano di gran lunga superiori agli inconvenienti.

“Ammesso e non concesso, perché mai dovrei vaccinarmi? Lo faccia chi ci tenga, risulterà immune a prescindere dalle mie decisioni.”.

Se non fosse che – e senza volere stare qui a soppesarne gli ingenti costi, in termini sanitari, finanziari e sociali – a forza di imperversare liberamente, e liberamente evolversi, il virus possa finalmente in qualsiasi momento riuscire a scardinare le difese finora erette con successo dai vaccini, con quello che ne possa tragicamente scaturire.

Purtuttavia, non è esattamente questo il punto.

Intanto, poiché spetti a chi di competenza – e sicuramente non allo scrivente, che bene o male si occupa di tutt’altro – argomentare “scientificamente” pro o contro, analizzare e agire nella materia in trattazione anche, si ripete, imponendo un obbligo.

Nel mentre, i mass media stanno continuando a martellare incessantemente l’opinione pubblica con appelli accorati alla vaccinazione.

Ciononostante, almeno sino ad ora, di obbligo neanche quasi a parlarne, se non tra le righe di rinvio a modalità surrettizie(es., frequentazione di taluni ambienti ammessa soltanto se muniti di green pass, ecc.).

Ora.

Se rimesso al personale convincimento di ognuno, può ragionevolmente venire da pensare che, tutto sommato, il vaccino non sia imprescindibile.

Nel qual caso, liberi tutti di assumerlo o meno.

Al contrario…, avanti senza indugi e ritardi.

O no?

Pure a considerarne la sola parte inerente al divieto di trattamento sanitario senza consenso, la dianzi rammentata disposizione costituzionale può trovare piena applicazione esclusivamente quando la questione concerni la sola persona(es., riguardo un tumore), non parimenti se dalla decisione di quella stessa persona possa dipendere la sorte di altre.

Allora perché, almeno fino a oggi, tanto pudore sull’obbligo di vaccinazione – questione, beninteso, di indubbia delicatezza comunque la si pensi – lasciando inoltre nelle peste i titolari in loco delle strutture sanitarie, costretti ad arrabattarsi, nei confronti del personale sanitario recalcitrante, con provvedimenti di dubbia legittimità, poiché non espressione o conseguenza di atti di potestà legislativa?

L’impressione, forte, è che siffatta, peraltro comprensibile ritrosia, consegua a una vulgata dilagante che tenda ad anteporre puntualmente, in ogni occasione, la autorevolezza alla autorità, la persuasione all’ordine.

Non ti costringo, ti convinco, secondo il principio, assunto a inderogabile, che ci si sottoponga meglio a un precetto se condiviso, anziché imposto.

Principio certo condivisibile in linea di massima – in particolare se si disponga del tempo occorrente, che però pare purtroppo scarseggiare – purché da non prendere talebanamente alla lettera.

Diversamente, sarebbe come se, a ogni “rosso” o “alt” di semaforo, in quanto “ordini” categorici impartiti al popolo dei conducenti di veicoli e dei pedoni, si pretendesse di aprire un dibattito(in mezzo all’incrocio…), in stile… ballarò.

Impensabile.

Con “buona pace” dell’articolo 16 della Costituzione, in ragione del quale, “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”.

Sebbene, toh?!?, pure qua, “(…) salvo le limitazioni che la legge (…)”.

La sensazione è che il descritto stato di cose sia il risultato: da un lato, di una sistematica, costante opera di smantellamento della idea di autorità, erroneamente o volutamente associata a prescindere alla sua patologia, l’autoritarismo; dall’altro, della estremizzazione del relativismo del “valido tutto e il suo contrario”, invero deriva, malattia infantile di ogni democrazia e non, come viceversa contrabbandato, sua intima essenza.

Bisognerebbe piuttosto rispolverare il reale significato di responsabilità, corollario indefettibile, in un Paese democratico degno di questo nome, del principio di autorità.

È l’autorità senza responsabilità, e non meramente l’autorità in quanto tale(e correlata potestà di fare e di disporre), a potere smarrirsi nella arbitrarietà.

Una questione, la suddetta, che pare talvolta strumentalmente reclamata a fondamento dell’incessante florilegio di “tavoli”, “protocolli”, “commissioni” e quant’altro.

Utili, se finalizzati alle migliori sinergie e/o a consentire, a chi ne sia investito, di assumere decisioni con maggiore cognizione di causa.

Deleteri, se interpretati in concreto quali comodi alibi per differimenti sine die e condivisioni non previste di responsabilità.